I sovrintendenti lirici in coro Sì vendetta, tremenda vendetta di Franco Giliberto

I sovrintendenti lirici in coro Sì vendetta, tremenda vendetta Feroci interventi, accuse, al convegno di Venezia I sovrintendenti lirici in coro Sì vendetta, tremenda vendetta L'incontro ha messo in luce una situazione al limite della rottura - Ha aperto le ostilità Lanza Tornasi, denunciando "delazioni e calunnie" dell'ambiente romano VENEZIA — Il male oscuro che affligge il mondo del bel canto in Italia si è ancora palesato, per sintomi verbali, al convegno sugli enti lirici organizzato dal Comune di Venezia (che ieri ha ospitato l'assise a Ca' Giustinian) e dal Comune di Firenze. Erano poche sei ore — tre al mattino e tre nel pomeriggio — per sviscerare i temi e far decantare le più acute polemiche che, negli ultimi tempi, si sono sviluppate in questo particolare settore delle «pubbliche attività culturali». Ma nel prestare attenzione ai numerosi interventi di politici e uomini d'arte presenti all'incontro, si è potuto egualmente cogliere la variegata realtà della situazione: giunta al limite di rottura, dopo la vicenda giudiziaria che ha visto temporaneamente incarcerati, un mese e mezzo fa, alcuni fra i più rappresentativi uomini del mondo musicale italiano, sovrintendenti e direttori artistici. C'era grande curiosità proprio per gli «ex arrestati». Quanti sarebbero venuti al convegno veneziano? E se vi avessero partecipato, avrebbero tenuto un comportamento dimesso, mite, da spaesati personaggi in attesa di giudìzio? Per tutti, ha fugato ogni dubbio Gioacchino Lanza Tornasi, direttore artistico dell'Opera di Roma, il cui intervento è stato di eccezionale «ferocia». Ha cominciato a parlare della propria esperienza in galera, partendo da lontano e con dovizia di dettagli sui fatti che hanno preceduto il suo arresto. Fra il pubblico più di uno spettatore ha pensato che Regina Coeli gli avesse dato al cervello, facendolo piombare nella «sindrome del perseguitato». Ma a metà dell'intervento si è capito come la sua testimonianza minuziosa, con una denuncia del «terrorismo giudiziario» messo in atto da alcuni personaggi che ruotano attorno all'Opera di Roma, non fosse che il meditato preludio a un atto di accusa senza remore nei confronti del ministero del Turismo e dello Spettacolo. Lanza Tornasi ha raccontato della «micropolitica» che affligge l'ambiente romano e di riflesso l'ambiente della lirica in Italia. Strali acuminati ha lanciato al senatore democristiano Todini, del consiglio dell'Opera di Roma, promotore delle denunce che hanno portato in carcere vari responsabili di enti lirici italiani. Ha spiegato come lo «sport del terrorismo giudiziario» sia stato praticato, in questa vicenda, senza esclusione di colpi bassi: maligne delazioni, calunnie, telefoni illegalmente controllati, buste di lettere scollate e testi fotocopiati prima di essere affidati al postino, ricatti di ogni tipo, «anche sessuali», nei confronti di chi avesse una amica e volesse mantenere discrezione su quel legame, o di chi fosse per natura «diverso». «All'origine di quella situazione — ha detto Lanza Tornasi — c'è stata una guerra fra correnti democristiane, con interventi a volte di ambiguo sapore come quello dell'onorevole Evangelisti, che chiese solidarietà per il senatore Todini quando l'elezione di quest'ultimo fu messa in discussione (sembra che il computo dei voti assegnati al senatore non sia sufficiente a mantenerlo in carica. N.dx.). Ma ciò che è peggio riguarda il presente. Il comportamento del ministero, ancora oggi, sembra dare ragione a chi adotta lo squallido sistema del terrorismo giudiziario. Dai giorni degli arresti in poi, decine di banali contestazioni ogni mese vengono recapitate al Teatro, per esempio perché un inserviente è stato spostato dalla biglietteria oppure perché un impiegato è stato trasferito in un diverso ufficio; e ognuna di queste contestazioni scritte viene trasmessa "per conoscenza" anche alla magistratura». «E' una questione di viltà — sostiene il direttore artistico dell'Opera di Roma —, viltà della burocrazia che non vuole prendere posizione, non ha il coraggio di affrontare i dissidi. E il ministro si adegua alla paura del suo ministero, a costo di dare torto a una larga maggioranza e di lasciare praticare il terrorismo giudiziario a una inqualificabile minoranza». Del convegno veneziano va registrato, per forza polemica, subito dopo quello di Lanza Tornasi, l'intervento di Carlo Fontana, responsabile nazionale del « settore musica» per il psi e assistente del sovrintendente della Scala Badini. Due gli elementi del suo discorso che hanno destato più clamore: « Bisogna che ci prepariamo a un confronto anche duro — ha detto — con i sindacati per il rinnovo del contratto di lavoro dei dipendenti del settore. Bisogna che il sindacato superi le incrostazioni corporativistiche che ancora lo appesantiscono. Ci sono i presupposti per una buona legge di riforma, ma bisognerà che i lavoratori vincano le paure fondate sulla meschinità del quotidiano ». Una seconda frecciata — da non sottovalutare, per il ruolo che il psi sta impersonando in questi ultimi mesi — Fontana ha scoccato contro l'Agis, la potente associazione che monopolizza la fornitura di servizi per lo spettacolo in Italia: « Noi socialisti cominciamo a porci questo interrogativo: come enti pubblici, quali sono i teatri stabili e gli enti lirici che possono lecitamente stare all'interno di un organismo privato come l'Agis che è al servizio di non meglio specificati interessi?». Peccato che il ministro del Turismo e dello Spettacolo Pastorino, intervenuto breve¬ mente in mattinata e presto ripartito per Roma, non abbia ascoltato questi e tanti altri interventi, che hanno fatto da contrappunto alla sua scipita relazione su ciò che il governo ha in animo di fare per la crisi degli enti lirici. (Tutto è rimandato a dopo le vacanze esUve — ha detto in pratica Pastorino — sia la leggina che stabilirà temporaneamente come scritturare gli artisti senza andare in galera, cioè senza passare attraverso le agenzie; sia l'inizio del dioattito sulla riforma globale, promessa entro il prossimo dicembre). Rammaricandosi della fugacissima apparizione e scomparsa del ministro, Giorgio Cesare, rappresentante del teatro Verdi di Trieste, ha condensato nella propria relazione la maggior parte dei motivi che provocano un generale turbamento: 1) Si spendono in Italia, per gli enti lirici, circa 140 miliardi l'anno, che appartengono a tutti, cioè alla collettività tassata; 2) In rapporto a questa considerevole somma, è irrisoria la quantità di persone in grado di fruire degli spettacoli musicali: non più di mezzo milione di individui nel Paese e nei dodici mesi. 3) Anche nelle grandi città non sono che venti, venticinquemila all'anno al massimo i fruitori degli spettacoli degli enti lirici. 4) Avvengono tuttora episodi di concorrenza fra vari teatri che fanno lievitare i cachets degli artisti, contesi a suon di milioni. 5) Sporadicamente la televi- sione riprende gli spettacoli lirici e nessuno ha capito con quale criterio: c'è anche qui il sospetto di favoritismi parlamentari e scelte clientelali. 6) Se i teatri Sono enti pubblici, e anche la televisione è un ente pubblico, che questa ultima riprenda — e non a costi proibitivi — gli spettacoli da diffondere dall'Alto Adige alla Sicilia, per far uscire gli italiani dall'analfabetismo musicale in cui sono relegati; questo vuole la prossima riforma che al primo punto parla proprio di aspetto sociale delle attività liriche. Il sindaco veneziano Mario Rigo, del psi, in apertura del convegno aveva illustrato l'accordo raggiunto in campo nazionale fra i partiti della maggioranza sulla nuova legge, la cui schematica bozza avevamo descritto pochi giorni fa. Franco Giliberto