Andreatta: i salvataggi non salvano la chimica

Andreatta: i salvataggi non salvano la chimica Parla chi doveva essere «supercommissario» Andreatta: i salvataggi non salvano la chimica "Meglio i fallimenti" - Non si vendono società indebitate TORINO — Quasi diecimila miliardi di debiti, oltre mille di perdite nel '77, altrettanti previsti per il '78, un potente d«l settore (Ursini) in carcere e un impero (la Sir) praticamente in mano alle banche. Lo sfascio dell'industria chimica, dopo tanti rinvìi, è finito, come una bomba, sul tavolo del governo. E il disastro è talmente grande da far parlare, per la prima volta, di «fallimenti» più che di «salvataggi». Le stesse proposte del ministro dell'Industria sono di «emergenza». Una, anzi, quella di un «supercommissario» per le aziende in crisi, che prevede addirittura di cambiare il codice civile con un decreto legge, è stata bloccata dai partiti. Perché? L'abbiamo chiesto a Nino Andreatta, senatore de, presidente dell'Arel, che ha tenuto, ieri a Torino, un seminario, organizzato dalla studio Ambrosetti, per i managers delle maggiori aziende piemontesi. Andreatta è anche l'uomo che Donat-Cattin aveva indicato come candidato alla poltrona, tutt'altro che tranquilla, di «supercoTOTBissario». L'idea non era però piaciuta al senatore de che dopo aver accolto con freddezza l'ipotesi di una sua candidatura e dopo averla immediatamente girata a Leopoldo Medugno, aveva suggerito di creare, presso la presidenza del Consiglio, un alto commissario che riunisca le competenze dei ministeri del Tesoro, del Bilancio e dell'Industria. Senatore Andreatta, perché la proposta è stata bloccata dai partiti? «Forse per una ragione semplice: per la diffidenza nei confronti del ministro che chiedeva più poteri per il dicastero dell'Industria. Ma a Donat-Cattin interessava soprattutto risolvere problemi seri, anche se la materia è estremamente complessa e bisogna rivedere molte cose: a partire dal fallimento di gruppo, come nel caso Liquigas, che ha 119 aziende sparse in tutta Italia, con profonde interconnessioni finanziarie, che non è previsto dal nostro diritto. Un fallimento di questo gruppo darebbe luogo a un'infinità di procedimenti, presso tribunali diversi, che invece devono essere unificati». Ma è questo il solo problema? «No. Se ne pongono almeno altri due. Il primo è quello di permettere, durante la fase ricognitoria della situazione debitoria, che gli impianti vengano gestiti da managers non vincolati alle autorizzazioni del giudice. Il secondo è che bisogna creare una situazione privilegiata per i debiti che verranno assunti dalle gestioni transitorie che dovranno assicurare la continuità delle aziende. Ed è un discor¬ so che vale tanto per la Liquigas quanto per la Montefibre, la Snia e la Sir». E' su questa linea che si muoveva la sua proposta dell'alto commissario? «E' una figura che rientra nella necessità di coordinare l'applicazione della legge 675 con le provvidenze stabilite dalla legge sulla ristrutturazione finanziaria. Ma anche nell'opportunità di concentrare, attorno a un unico personaggio, tutte le attività che spesso sono di competenza di vari ministeri e quir.di motivo di conflitto. A me sembra assai pericoloso continuare a fornire boccate d'ossigeno a queste aziende, magari sotto forma di prefinanziamenti per le future sottoscrizioni di capitali, così come è pericoloso muoversi prevalentemente attraverso gli strumenti dei consorzi bancari. Se non si intraprendono strade più radicali — e quindi non solo l'annullamento del capitale, ma anche un taglio deciso alla massa debitoria — sarà del tutto frustrato ogni tentativo politico di mantenere queste società nel circuito dell'iniziativa privata e il solo destino sarà quello di finire nelle Partecipazioni statali». Ma quali sarebbero i poteri del supercommissario proposto da Donat-Cattin? «E' il deus ex-machina che può provocare quelle decisioni "crudeli" che le banche cercano di dilazionare in atte¬ sa che sotto il ricatto dell'occupazione Bisaglia ordini agli enti di gestione di intervenire. D'altronde la proposta di una procedura fallimentare ad hoc ha già precedenti negli Anni Trenta, anche se nella sua formulazione è imprecisa e va meglio raccordata col codice civile. L'occasione può essere un serio lavoro parlamentare sul disegno di legge sulla ristrutturazione finanziaria che si muova non più nella illusione dei consorzi interbancari, per trasformare crediti in azioni, ma prenda atto della dura situazione di insolvenza in cui sono naufragate le illusioni dell'Italia chimica ad ogni costo». Non c'è il pericolo che poi, alla fine, nasca un nuovo maxi-salvataggio, senza mutare in profondità il disastro chimico? «Non vorrei salvataggi, ma fallimenti. La possibilità di vendere gli impianti c'è, non c'è invece quella di vendere società cariche di debiti. Molto probabilmente bisognerà trovare quadri imprenditoriali fuori d'Italia, ma esistono serie possibilità di sopravvivere in attesa che si riprenda la chimica mondiale. Ma per fare ciò occorreranno misure drastiche, spesso dolorose, tenendo però conto che gli occupati, nel settore, non sono esuberanti. Insopportabile è la massa di debiti». Cesare Roccati

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