L'iniziativa di pace è rimasta ancora viva Tra Egitto e Israele il colloquio continua di Mario Ciriello

L'iniziativa di pace è rimasta ancora viva Tra Egitto e Israele il colloquio continua Successo della mediazione del segretario di Stato Vance a Leeds Castle L'iniziativa di pace è rimasta ancora viva Tra Egitto e Israele il colloquio continua LONDRA — Il convegno al castello di Leeds non sì è concluso, come si temeva, con un ritorno ad un ostile silenzio: ma non si è concluso neppure con una nuova e più luminosa prospettiva. Si riparte dunque per un'altra spedizione di pace nel Medio Oriente, ma senza ottimismi e senza previsioni. I risultati di due giorni di discussioni tra i ministri degli Esteri di Egitto e dì Israele, Mohammed Ibrahim Kamel e Moshe Dayan, sono stati descrìtti iersera dal segretario di Stato americano Cyrus Vance, che i colloqui ha presieduto, diretto, animalo e probabilmente salvato. «Le due parti sono divìse da profonde differenze. Ci aspetta un lavoro faticoso». Che forma assumerà tale «lavoro» non è ancora stabilito. Ci saranno altri incontri: ma il calendario diplomatico esige ancora consultazioni. Fra pochi giorni, partirà per il Medio Oriente «l'inviato speciale» americano Roy Atherton e, tra un paio di settimane, lo seguirà Vance. Se i loro sondaggi saranno positivi, si avrà un nuovo convegno dei principali interlocutori, Egitto ed Israele, forse a livello di ministri degli Esteri, forse affiancati dai ministri della Difesa: e potrebbe anche svolgersi tra luglio ed agosto. «L'iniziativa di pace è ancora viva» , ha rassicurato Vance, che però ha aggiunto: «Non esistono proposte concrete sulla data e sul luogo dei futuri colloqui». Molte e incalzanti erano le domande dei giornalisti, ma Vance è stato guardingo: e soprattutto ha evitato sempre ogni nota ottimistica. Si è compiuto qualche progresso? «Il fatto stesso che ci si incontri costituisce un progresso». Si sono prese decisioni di qualche sorta? «No, nessuna. Non si sono prese decisioni». Cosa è emerso da due giorni di conversazioni? «Abbiamo identificato elementi comuni negli atteggiamenti delle due parti». Quali elementi? «Non sono in grado di dirlo». Ma si arriverà mai a una vera pace? «Egitto e Israele la desiderano, si sono impegnati a cercarla». E' impossibile valutare esattamente l'importanza di questo nuovo dialogo tra II Cairo e Gerusalemme. Le informazioni sono discordi e contrastanti, le opinioni divergono, il quadro generale è confuso. Non si sa, ad esempio, se Dayan abbia ceduto alle pressioni di Kamel e a quelle, forse ancora più vigorose, di Vance e abbia accettato una discussione sulle ultime proposte del presidente Sadat, quelle portate a Gerusalemme dal ministro israeliano della Difesa Ezer Veizman. Ma poteva discuterle se il governo israeliano non sembra volerle esaminare prima di domenica? Quali istruzioni ha ricevuto Dayan da Gerusalemme, dove il suo governo scricchiola sotto i colpi del conflitto Begin-Weizman? Quel veicolo diplomatico che, con un'immagine un po' rozza, è sovente chiamato /'«autobus della pace» si è dunque rimesso in moto, ma è una marcia accidentata, cigolante e senza una chiare destinazione. Fra tante incertezze, una cosa soltanto è sicura: che nessun progresso sarà mai possibile sino a quando Begin non avrà accettata l'inevitabilità di un ritiro israeliano dalla Cisgiordania e da Gaza o, in altre parole, fino a quando non avrà riconosciuto la supremazia dell'ormai famosa «Risoluzione 242». Israele potrà indi negoziare, per anni se necessario, al fine di ottenere le massime concessioni, le massime garanzie: potrà chiedere modifiche di frontiera ed esigere un poderoso scudo militare con il contributo dell'Onu e degli Stati Uniti: potrà esortare Washington e l'Arabia Saudita a smorzare le eventuali simpatie filosovietiche di un eventuale Stato palestinese. Il premier Begin non sembra però ancora disposto a piegarsi dinanzi alla conditio sine qua non del ritiro. La Cisgiordania, la West Bank, sono Samaria e Giudea, quindi irrinunciabili. Vero è che nelle sue ultime proposte egli accetta il principio dì un «periodo di transizione» di cinque anni (durante il quale Cisgiordania e Gaza avrebbero maggiore autonomia, sempre però sotto occupazione militare israeliana) ma non promette nulla per il periodo successivo, s'impegna soltanto a «riesaminare la natura delle future relazioni tra le parti». Martedì, alla fine della prima giornata di lavori, Kamel commentava: «Il piano israeliano viola le risoluzioni del Consiglio di sicurezza, nega il diritto dei palestinesi al- l'auto-determinazione, mira unicamente a perpetuare l'occupazione militare». Certo, si può parlare e'negoziare, ma c'è il pericolo che tutta questa attività si riduca a quello che gli inglesi chiamano un exercise in futility. A meno che il governo Begin, intimorito da una grave crisi politica e pungolato dagli Stati Uniti, non abbia mostrato una parvenza d'interesse verso le proposte portate da Weizman: e che Dayan abbia ieri trasmesso tale reazione a Vance. Queste proposte di Sadat si basano su quelle di Brandt e di Kreisky, il cui testo sarebbe stato compilato dall'ex ministro israeliano degli Esteri Abba Eban: e con esse il raiss accetterebbe quella che era l'interpretazione israeliana pre-Begin della «Risoluzione 242». Gli israeliani si ritirerebbero su tutti i fronti, ma si negozierebbero nuove e sicure frontiere che non corrisponderebbero necessariamente alle linee armistiziali di prima del 1967. Sarebbe una svolta decisiva: e la cautela con cui si esprimono questa sera i delegati non sembra indicarla. E' una svolta quasi impensabile, perché significherebbe che Begin è pronto ad ammainare un giorno la bandiera israeliana su quello che egli considera «suolo sacro della patria». Mario Ciriello