La cultura non vive di carità
La cultura non vive di carità INTERVISTA COL PRESIDENTE DELLA "FONDAZIONE EINAUDI,, La cultura non vive di carità Al solito: i medici si consultano e l'ammalato muore. Anzi, per essere precisi, stavolta i medici manco si consultano. Rinviano, non stanno facendo nulla, e l'ammalato è lì che peggiora. E' il caso della Fondazione Einaudi, che ha una funzione insostituibile nella cultura italiana e svolge un servizio internazionale di primissimo ordine. Rischia di chiudere. Basta poco per salvarla, ma questo poco non arriva. E' sconfortante constatare la tempestività e l'efficienza con cui si affrontano i problemi del pallone e si interviene per salvare il campionato di calcio, mentre si lascia languire un istituto culturale. La Fondazione «Luigi Einaudi» di Torino è uno dei maggiori centri europei di studi post-universitari di economia e scienze sociali. «Essa eccelle per la ricchezza dei suoi archivi così come per la specializzazione e l'apertura internazionale della sua bibliote¬ ca, cresciuta sul tronco del lascilo del grande economista ed ex presidente della Repubblica, che fu altresì impareggiabile collezionista di pubblicazioni rare», dice Leo Valium. I 70 mila volumi di Luigi Einaudi si sono raddoppiali in dieci anni. Si aggiungono 1800 pubblicazioni periodiche in arrivo corrente da tutto il mondo. In campo economico e sociale è una delle più straordinarie biblioteche del mondo. La famiglia Agnelli ha prestato gratuitamente la sede del palazzo d'Azeglio. Oltre ad aprire gli archivi ai ricercatori, la Fondazione assegna borse di studio. L'anno scorso ha assistito 47 studiosi, di questi un terzo si è presentato con programmi di ricerca da effettuarsi all'estero, altri provenivano da Università straniere con programmi di lavoro da svolgere in Italia. Per l'anno accademico 1978-79 le domande dei borsisti sono una montagna. Dice il presidente Mario Einaudi, che assomiglia straordinariamente al padre: «Ci troviamo a fare moltissimo, il massimo sforzo nel momento in cui lo Sialo ci abbandona». La Fondazione Einaudi disponeva di un finanziamento decennale — impegno solenne dello Stato — che scadeva la fine dello scorso anno. A tempo di primato, la Commissione senatoriale della Pubblica Istruzione (presidente Spadolini, Bartolomei, Terracini; Cipellini. Parri, Merzagora, Saragat) varò lo scorso luglio l'appropriato strumento legislativo per un contributo di 300 milioni. Il progetto di legge è passato alla Camera e lì si è fermato. Aspettando una legge si può morire. Dice il professor Mario Einaudi: «Siamo bloccali da una motivazione di per sé degnissima, ma nell'attesa la nostra Fondazione rischia di chiudere». La motiva- zione degnissima è questa. In Italia ci sono istituti di grande prestigio, ma sono proliferati anche come gramigna enti «culturali» e «morali» che altro non sono che centri di clientela, spreco, parassitismo, malcostume. E tutti chiedono soldi. E' cosa saggia che si sia deciso di fare pulizia: basta con le leggine per ogni singola fondazione, facciamo una legge •globale, onnicomprensiva. In questo nostro benedetto Paese quanto bisogna aspettare per avere una legge globale? Nessuno è ottimista in proposito. I pessimisti parlano di tempi lunghi, lunghissimi. Anni e anni. E nell'attesa? La Fondazione Einaudi si dice «cena che i chiari e ripetuti impegni di partiti e del governo di procedere nei tempi più brevi all'approvazione dei fondi già approvali dal Senato un anno fa vengano adempiuti, scongiurando il pericolo di una crisi, inevitabile e rovinosa, nel 1979». La «Einaudi» non è certo un centro di potere ed è raro esempio di buona conduzione. Si legga nella «Relazione per l'anno 1977» la parte che riguarda la situazione finanziaria, pare di leggere un documento di altri tempi, quando la preoccupazione maggiore, quasi ossessiva, era far quadrare il bilancio. E qui il bilancio quadra. Palazzo d'Azeglio è un'isola di funzionalità, di efficienza e d'ordine amministrativo. Dal 31 dicembre 1977 non arriva una lira «ma siamo ancora riusciti a fare il nostro dovere» dice il professor Einaudi. Dice proprio così, «fare il nostro dovere», e sono parole che sembrano arrivare da lontano o di una lingua ormai straniera. La Fondazione ha proceduto nei giorni scorsi a 52 assegnazioni di ricerca in Italia e all'estero. E' il più grosso impegno che si è assunta da quando esiste. «In mancanza dell'essenziale contributo dello Slato, la Fondazione ha potuto compiere questo ingente sforzo soltanto grazie agli interventi e agli anticipi una tantum di persone e di enti che confidano nella sua funzione nella cultura italiana». Gli aiuti sono stati della Fiat, della Regione, del San Paolo e della Cassa di Risparmio. Che politica culturale è questa che costringe un istituto degnis simo e prestigioso a bussare alle porte, a chiedere: «Senti, dammi ancora una mano»! Che fare altrimenti? Altrimenti si chiude, perché a Montecitorio prevale il principio della legge «onnicom prensiva». Ma una via d'uscita l'ha indicata il senatore Spadolini: «L'incertezza e la pericolosità della situazione suggeriscono di procedere con misura stralcio. A nche De Gasperi varò la riforma sanitaria attraverso uno stralcio: 1. C.
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