Dal divorzio Cina-Albania di Frane Barbieri

Dal divorzio Cina-Albania Dal divorzio Cina-Albania (Segue dalla 1* pagina) to meno complesso, il che non significa che non potrebbe complicarsi con il tempo. La disputa dura almeno da due anni. All'inizio, però, aveva una veste ideologica. Le diatribe intercomuniste sono state sempre difficili da interpretare per il linguaggio cifrato in cui vengono espresse. Immaginarsi poi quando la polemica viene condotta in albanese e in cinese. Sotto la coltre teorica sono emerse però le vere divergenze politiche. Le prime si registrarono durante la prima riabilitazione di Teng Hsiao-ping. Il colosso cinese, mentre si stava aprendo verso il mondo, trovava sempre meno ragioni per sostenere lo stretto autoisolamento dell'Albania. Da Pechino venivano dati consigli di apertura, anzitutto verso l'Europa e la Cee, su cui anche la Cina cominciava a contare per attenuare la pressione russa. La linea pragmatica di Ciu En-lai venne sposata dal membro del Politburo e vice primo ministro, capo della economia albanese, Kelezi. Hoxha si sentì minacciato non tanto per la nascita di una nuova corrente pro-cinese, quanto per le conseguenze che una apertura alle correnti « revisionistiche » esterne poteva avere sulla rigida e ortodossa impalcatura del regime. Di conseguenza ha preferito l'autarchia: Kelezi e gli aperturisti sono stati epurati per « aver tradito il principio base dell'autosufficienza del Paese » (Hoxha al Congresso). Pechino ha risposto dimezzando gli aiuti. Durante la lotta di successione, quando Teng fu rovesciato per la seconda volta, il « gruppo dei quattro » puntava sull'Albania, cercando di prendersi il merito di un suo recupero. Infatti, l'ultimo grosso personaggio cinese a visitare Tirana era stato Wang Hung-wen, l'operaio estremista di Shanghai candidato della vedova ChangChing alla successione di Mao. Arrestata la « banda di Shanghai », gli albanesi non hanno cercato di nascondere in articoli e discorsi le loro preferenze per il gruppo esautorato. La seconda riabilitazione di Teng ha fatto riscoppiare il conflitto a scena aperta. Un anno fa l'organo ufficiale di Tirana, Zeri i popullit, attacca la teoria cinese sui « tre mondi » (super-potenze, paesi industriali e paesi sottosviluppati). Respinge il suggerimento cinese per una alleanza del Terzo Mondo con i' secondo per combattere le super-potenze del primo, e di rimando sostiene che per i rivoluzionari non ci sono che due soli mondi in conflitto, quello capitalista e quello socialista. Pechino riduce ulteriormente gli aiuti, anche per indurre Tirana ad aperture economiche, mentre i capi albanesi incominciano ad attaccare la nuova politica cinese apertamente, non nascondendosi più dietro le frasi cifrate dei loro giornali. Il primo ministro di Tirana Shehu, durante le celebrazioni della repubblica, il novembre scorso, ha sostenuto che i « propagatori della teoria dei tre mondi favoriscono gli interessi dell'imperialismo ». Hoxha a sua volta invita a « educare i militanti e i dirigenti per la lolla contro le nuove correnti revisionistiche ». L'agenzia greca Ana, ultimamente la meglio introdotta a Tirana, informava in quei giorni sugli « arresti degli amici della Cina », riportando la motivazione ufficiale: «Si tratta di gente che sosteneva che l'isolamento non porta a nulla ». Tuttavia i cinesi, come risulta anche dalle dichiarazioni di Yu Chan, avevano intenzione di sopportare le offese, stringendo gradualmente il cordone della borsa. La precipitosa rottura e il ritiro totale degli aiuti si collegano a questo punto con la crisi cino-vietnamita. Infatti, cinesi si ritirano da Tirana quando Hoxha fa pubblicare sul suo organo ufficiale un fondo intitolato: « Imperialisti giù le mani dal Vietnam! ». Dal testo traspare chiaramente che gli « imperialisti » sarebbero i cinesi, i quali vorrebbero « impedire al popolo vietnamita di deci dere la propria sorte, senza interventi esterni, e vogliono imporgli le proprie posizioni e interessi ». Siamo a un anno preciso dal primo attacco dello Zeri i popullit contro il nuovo corso cinese. Non per caso tutti e due coincidono con un importante atto di riavvicinamento fra Pechino e Belgrado. Nella prima occasione Tito si accingeva a visitare Hua Kuofeng. Il secondo attacco cade nel momento preciso in cui viene annunciata la visita di Hua a Tito. Un capo cinese si spinge per la prima volta in Europa e non soltanto trascura l'ultima fortezza dell'ortodossia rivoluzionaria, ma carica addirittura la dose recandosi dal « revisionista » Tito, a poche centinaia di chi lometri da Tirana. La rivista teorica del partito albanese, Ruga u Partise, reagisce all'affronto scrivendo una settimana fa: « Le teorie dei revisionisti e degli eurocomunisti hanno molti punti in comune con la teoria sui tre mondi dei cinesi: sostituiscono la rivoluzione violenta con le trasformazioni della democrazia borghese ». Viene da chiedersi perché Hua abbandona così facilmente l'Albania e perché Hoxha fa precipitare la rottura. La nuova politica cinese segna il distacco dal radicalismo esclusivista, che « riduceva sempre di più le file » dei suoi al leati. Punta sull'Europa e sulla Jugoslavia, anche per compiere un « salto del cavallo » dietro le spalle dei sovietici. E lascia andare l'Albania, che non vuole seguirlo « su questa strada », benché per un passo verso l'Europa e la Jugoslavia non fosse per niente necessaria una tale rottura. A volerla è stato invece il capo albanese. (Schierandosi apertamente con Hanoi contro Pechino ha praticamente lanciato una grave sfida al governo cinese che non poteva passare senza dure reazioni: infatti, subito dopo è arrivata la nota di Pechino sul ritiro dei tecnici). Hoxha sembra non essere sicuro di poter dominare le correnti interne se aprisse di colpo porte e finestre, come sta facendo Hua. Preferisce la sua fortezza autarchica e caccia via anche i cinesi, la cui presenza era diventata un pericolo interno, fomentando le fronde aperturistiche. A questo punto si potrebbe concludere constatando che è cambiata la Cina, non l'Albania. Però una alternativa si impone quasi spontaneamente: non sarà Mosca a sostituire Pechino, a causa del vuoto lasciato o per vendetta di Hoxha? In tutte le fasi della crisi cinoalbanese i sovietici non avevano trascurato di farsi avanti. Quando Tirana attaccava Pechino, la Pravda scriveva che <f la politica cinese ha costretto anche quelli che per lungo tempo l'avevano sostenuta a prendere le distanze ». La risposta di Hoxha è stata finora tagliente: « La mano tesa dei socialimperialisti non può essere presa in considerazione ». Anche l'articolo teorico di pochi giorni fa annoverava Breznev tra i revisionisti moderni. Tuttavia, l'Albania rimane questa volta chiusa sul serio, ed ermeticamente, nell'isolamento del suo quarto mondo. E i sovietici si faranno questa volta senz'altro più attivi per non perdere l'occasione su una posizione che strategicamente equivale l'Indocina (d'improvviso davanti a Mosca si presenta la possibilità di ottenere, affacciate sul Canale di Otranto, quelle basi indispensabili per la sua imponente flotta mediterranea che Belgrado cosi ostinatamente si rifiuta da anni di concederle). Per il momento, Hoxha si è concesso una sola sostituzione: mentre decollava l'ultimo aereo cinese, sulla pista dell'aeroporto di Tirana è atterrato il primo aereo greco, aprendo l'unica linea regolare in partenza dalla capitale schipetara. La Compagnia è la « Olympic », fondata da Onassis, ma i teorici albanesi questa volta non ci hanno fatto caso. Frane Barbieri