Scuola per burocrati di Luigi Firpo

Scuola per burocrati Cattivi p6HS16n di Luigi Firpo Scuola per burocrati Qualche anno fa, forse all'insaputa di molti, venne istituita a Caserta una Scuola superiore di pubblica amministrazione, destinata a formare quei quadri della burocrazia statale che vengono assumendo importanza crescente in seno alle moderne società civili. Si direbbe quasi che la burocrazia sia la sorella gemella e inseparabile della democrazia: e lo si spiega, perché il diffondersi della partecipazione politica attraverso il suffragio universale, l'organizzazione capillare dei partiti, la ricchezza d'informazione assicurata dai mass media tendono a dilatare fino alla totalità dei cittadini la formazione della «volontà politica», mentre per contro la complessità dei meccanismi sociali ed economici, i delicati tecnicismi giuridici, l'impiego di apparecchiature elettroniche sofisticate finiscono per concentrare in poche mani la capacità di fadurre in atto quella vo! Unta, cioè di trasformare la decisione astratta in azione concreta. In altre parole, mentre il potere legislativo diventa sempre più politico, quello esecutivo si fa sempre più tecnico. Il rischio è che il popolo sovrano, dopo aver conquistato con eroiche lotte la libertà dai tiranni, si trovi alla mercé di una casta che non governa più con la forca e col cannone, bensì con la circolare e con lo sciopero, con la deroga e con l'insabbiamento. Un rischio che comunque bisogna correre e che, semmai, dimostra come ai problemi risolti si sovrappongano sempre nuovi problemi da risolvere, che la Storia non si ferma. In ogni caso, non c'è che da rallegrarsi al vedere che lo Stato si fa sollecito e pensoso per questi suoi servitori eletti, e decide di mandarli a scuola per impartire loro quelle nozioni specifiche che si riveleranno preziose nell'adempimento dei loro alti compiti futuri, e giudica pertanto pleonastica e inconcludente quella laurea in Legge o in Scienze politiche che quei giovani portano nel loro zaino (quasi che fosse un altro diverso Stato quello che tali lauree conferisce e finanzia con pesantissimo aggravio). Mi sarebbe piaciuto però che a suo tempo si fossero più largamente discusse le strutture e i programmi della Scuola, ad esempio per garantire che non fosse mero pretesto per aggiungere incarichi universitari di Diritto amministrativo (di cui già son piene le fosse), o per accertare se e come vi si insegna la Scienza dell'amministrazione, l'Informatica o la Psicologia sociale. Né mi piace che alla Scuola siano ammessi anche funzionari già in servizio, col rischio che a qualche amico degli amici si assicuri soltanto un anno di ferie pagate. Perché non si può fare a meno di pensare che se la Francia — un paese che per tanti aspetti ci assomiglia — ha un'amministrazione pubblica tanto più efficiente della nostra, lo si deve alla presenza incisiva di due scuole severissime e di prestigio indiscusso come fEcole d'Administration e J"Ecole polytechnique. La seconda, i cui allievi fino a ieri vestivano l'uniforme militare, è l'erede della gloriosa scuola «Des ponts et chaussées», garante dell'efficienza e modernità dei lavori pubblici; la prima è una scuola di alti quadri amministrativi, fortemente selettiva negli accessi, anche più duramente selettiva durante il tirocinio (metà degli allievi viene scartata strada facendo), ma fortemente gratificante in caso di successo, perché i promossi scavalcano di diritto tutti i gradini bassi delle carriere, sono destinati a monopolizzare quasi tutte le alte funzioni pubbliche, costituiscono una corporazione di grand commis dello Stato, che si riconoscono a colpo d'occhio, parlano lo stesso linguaggio, e alimentano il culto della responsabilità e dell'efficienza. Adesso la Scuola di Caserta viene chiusa (forse il palazzo del Vanvitelli è troppo piccolo?) e tre nuove se ne aprono, di cui una a Bologna, patria del giure, e un'altra a Reggio Calabria, non so se per venire incontro alle masse di laureati meridionali che premono sul pubblico impiego, oppure per formare burocrati singolarmente esperti dei problemi del Mezzogiorno. Confesso che io avrei avuto un'altra idea. Di Scuola ne avrei fatta una sola. Per sede avrei scelto una delle «città del silenzio» di dannunziana memoria, una di quelle città di pietra semi-spopolate, erte in cima ad un colle austero: non so, Gubbio, Narni, uno dei tanti luoghi in cui il nostro passato povero e gentile si esprime nell'umiltà e nella durezza del vivere quotidiano. Vorrei che la Scuola fosse cinta da un alto muro di pietra, allievo in uniforme scura, insegnanti di eccezionale valore, attrezzature ultramoderne, selezione spietata. Materia centrale dovrebbe essere l'Etica del servizio civile. Fra i concetti base da inculcare fino a trasformarli in una seconda natura, questi: la chiusura degli uffici postali e delle biblioteche alle ore 14 è una vergogna nazionale; il funzionario che s'approfitta d'un centesimo del pubblico denaro deve essere dipinto a strisce verdi e gialle indelebili e addetto per 35 anni allo spurgo dei pozzi neri; l'orario unico serve solo a chi ne gode e perciò va soppresso; le istituzioni sono state erette per utilità pubblica e sono pagate dai cittadini, perciò, a tutti gli effetti, l'utente ne è il padrone e l'addetto un suo dipendente; ogni mattina svegliandosi, il pubblico funzionario deve ripassare mentalmente le finalità specifiche dell'ente cui è addetto e rinnovare il proposito di servirle con dedizione esclusiva: la tentazione continua, infatti, per una burocrazia, è di scordare la propria funzione per servire solo a se stessa. Penso, evidentemente, a un ordine monastico, a un Irancescanesimo di Stato? No. Se fossero pochi, colti, efficienti, potremmo anche pagarli benissimo, restituire loro la dignità e l'amore del fare... Temo, purtroppo, che la mia Scuola non si farà.

Persone citate: Vanvitelli

Luoghi citati: Bologna, Caserta, Francia, Gubbio, Narni, Reggio Calabria