Amiaivels salüds

Amiaivels salüds POESIA IN RETOROMANCIQ Amiaivels salüds Dopo una serie di lettere e telefonate, un giovane di Rionero nel Vulture mi è venuto a trovare con un viaggio di parecchie ore in ferrovia. Non mi aveva voluto spiegare chiaramente il motivo della sua visita e io, da parte mia, non avevo voluto rivelargli il motivo, unico e un po' assuido, del mio consenso alla medesima: mi ero arreso alla sua ostinazione soltanto perché veniva dal paese di Giustino Fortunato! Be', è arrivato qui l'altra mattina, mi ha portato un grosso fascicolo dattiloscritto di versi, e naturalmente non ha creduto alla mia sincerità quando mi sono rifiutato di leggerli. « La poesia moderna non è il mio forte » ho detto « non sarei mai riuscito a capire qualcosa di Montale, Bertolucci, Sereni e Bassani se non fossero miei vecchi amici da molti anni ». Due 'ore penose. Infine, pur di vederlo ripartire alla volta di Rionero nel Vulture, gli ho promesso, beninteso senza dargli troppe speranze, che avrei cercato un editore. Forse l'antipatia che provo per la poesia moderna è frutto di una colpevole pigrizia? Forse. Ci?> non significa che nel mio rifiuto di leggere non fossi sincero ma fui sincero, per un'improvvisa combinazione, anche nella mi? promessa di aiuto. Ecco come Nel momento stesso che lui nv chiedeva di cercargli un editore guardai, attraverso la finestra de' mio studio, un'antica Torre chi» sorge, alta sulla collina, in me7 zo agli immensi uliveti di quest'ultimo angolo di Liguria. S; dà il caso che nell'antica Torre restaurata e trasformata in confortevole abitazione, venga a tra scorrere qualche saltuario e im prevedibile periodo di vacanza un altro mio vecchio amico, letterato finissimo, cultore esperto di poesia moderna, e consulente di un'importante casa editrice Guardai dalla mia finestra e vidi le finestre della Torre aperte: un segno, sicuro, mi dissi, che il professore era arrivato all'improvviso la sera precedente e anche, perché no? un segno del destino per il giovane poeta lucano. Il professore era noto nell'ambiente letterario per l'infallibilità dei suoi giudizi. Aveva scovato alcuni giovani narratori e poeti oggi riconosciuti tra i nostri migliori. In un caso poi la sua scoperta era stata clamorosa: Anni De Juvalta, la famosa poetessa retoromancia, tradotta ormai in tutte le lingue del mondo, era stata, si può dire, una sua « invenzione ». Il professore, partendo dal principio che la vera poesia è intraducibile, aveva avuto l'idea semplice e geniale di pubblicare la De Juvalta non già, come si usa, col testo originale e la traduzione a fronte, ma con una traduzione interlineare, identica a quelle dei « bigini » liceali salvo che per i suoi spazi tipografici supremamente eleganti. Chiunque, ma soprattutto i lettori italiani francesi spagnoli portoghesi rumeni potevano cosi, superata una lievissima fatica, abbandonarsi alla magia della lingua dei Grigioni. Il retoromancio, che in ciascuno dei suoi cinque dialetti principali — Alta Engadina, Bassa Engadina, Val Borgogno, Val Monastero, Val Villasura — è per sua natura una lingua straordinaria, rude e melodiosa, nei versi della De Juvalta diventa l'unica poesia del secolo ventesimo che ogni lettore di media cultura capisce chiarissimamente, avvertendone il vigore e subendone il fascino: una poesia, almeno per i neolatini, internazionale come una musica. Per farsene un'idea bastano i titoli delle opere principali. Chaunts da Silvaplauna, Canti di Silvaplana (1948, quando Anni aveva poco più di vent'anni). Cuosps, Zoccoli (1953. A quest'opera, evidentemente, Ermanno Olmi si è ispirato per il film L'albero degli zoccoli oggi premiato a Cannes e parlato in bergamasco. Tra le valli dei Grigioni e l'alto Bergamasco c'è di mezzo soltanto l'Adamello: si sa che le grandi montagne uniscono anziché dividere i loro abitanti). Cur cha 'd ais noat, Quando si fa notte (1963, anno della morte di Papa Giovanni e di Kennedy: proprio a questo, forse, allude il titolo: giustamente il professore ne dà la traduzione letterale cercando in qualche modo di conservare la caratteristica del retoromancio, che per estremo amore di melodia evita qualunqui iato. In retoromancio eh suona come una palatale molto forte cha si pronuncia eia). E infini Cun amiaivels saluds, Con amo revoli saluti (1977. Squisita ope ra minore, sorta di petits poème en prose che per il momento sem brano chiudere, con splendori se rali, la parabola poetica di questi donna eccezionale). Le date, natu Talmente, non sono quelle dell» edizioni con traduzione interlineare curate dal professore, ma quelle delle prime edizioni engadinesi: Stamperia di Gian Gien Barbisch, Getrtickt zu Chur durch Job. Georg Barbisch per il primo titolo, e Tipografia Pfeffer. Coirà, per i seguenti tre. * ★ Purtroppo non avevo ancora Ietto un solo verso del giovane lu¬ cano. Ma salendo nell'uliveto il ripido sentiero, scalini grigi di pietra scalini rossi di mattone che conducevano alla Torre, ero costretto a fermarmi di tanto in tanto per prendere fiato: e cosi, istintivamente, sfogliai per la prima volta il dattiloscritto che avevo sottobraccio. Non ci capivo niente. Tutto però è possibile, concludevo sospirando e ricominciando a salire: con una sola occhiata a queste enigmatiche filastrocche il mio vecchio amico, il grande professore, le decifrerà, capirà tutto, forse scoprirà un genio più autentico della stessa De Juvalta! Ma com'era bella, intanto, certissimamente bella l'ombra leggera e la luce argentea del sole in mezzo agli ulivi. E durante gli alt, se dal dattiloscritto alzavo gli occhi e mi voltavo verso ponente, come affascinava, attraverso lo sterminato intrico dei tronchi degli ulivi, neri contro il sole, il fulgido fremente oro del sole sul mare. Arrivato alla Torre, feci l'ultimo alt davanti all'ultima fatica: l'ininterrotta rampa che raggiunge la grossa porta chiodata. Guardai su, all'alta feritoia che era stata lievemente allargata per dare luce allo studio del professore. E affrontando la rampa, con quanta voce avevo in corpo attaccai: L'alba vinceva l'ora mattutina che fuggìa innanzi, sì che di {lontano "onobbi il tremolar della marina. Lentamente salivo e declamavo, declamavo e salivo. La terzina fini quando fui alla porta, incorniciato dalla quale, come una delle figure di Giotto nella cappella degli Scrovegni, il professore mi attendeva col suo radioso sorriso. Ci abbracciammo. * ★ « Certo » mi disse senza toccare, senza nemmeno sbirciare il frontespizio del fascicolo dattiloscritto che avevo posato davanti a lui, sulla sua scrivania, « certo, Anni De Juvalta l'ho scoperta io. Ma non l'ho scoperta dopo aver letto le sue poesie. Ho letto le sue poesie dopo avere scoperto lei. Quando è venuta qui... era seduta lì, proprio 11 dove sei seduto tu in questo momento, e aveva posato le sue brochures nelle originali edizioni di Coirà, anzi Chur come dicono loro, edizioni bellissime, stampate con la modestia, la serietà, l'antica grazia delle tipografie delle piccole comunità svizzere... ebbene, quando Anni è venuta qui la prima volta nel 1971, ho detto a lei, come dico a tutti quelli che mi seccano portandomi qualcosa da leggere, le ho detto che avrei letto e poi le avrei scritto. Ma anche nel suo caso, come in tutti gli altri casi, ero deciso a non leggere e nemmeno a scriverle. Di solito mi regolo cosi: mando tutto a Milano e loro preparano delle lettere di rifiuto gentilissime e inesorabili, che poi, quando vado là, correggo ogni volta con qualche lieve modifica ». « Ma allora, come hai fatto a scoprire la De Juvalta? ». « E' stato il marito». «Il marito?! ». « SI, era seduto su quella poltrona 11, che adesso è vuota. E' morto poco tempo fa. Italiano: anzi, bolognese. Molto più vecchio di lei. E quando è venuto qui era già in pensione. Ammiraglio. Erano venuti in macchina, una mattina alle nove e mezza: guidava lei, naturalmente. Dunque, lui, questo miles gloriosus della nostra flotta... Miles? Nauta gloriosus, forse dovrei dire. Ma si può dire? Il nauta non è necessariamente militare. Mah! Insomma per tutto il tempo che sono stati qui, Anni non ha mai aperto bocca. Stava 11, zitta, tranquilla. Sorrideva, e lasciava parlare lui ». « E' bella? » « Molto. Bruna, con stupendi capelli corvini, viso roseo, pieno, regolare. Si direbbe toscana... hai presente la cugina Argia di Fattori? Ma con un'espressione più intelligente, più fine e anche più dura: un po' tedesca, in fondo. L'ammiraglio era insopportabile. Forse lei avrebbe detto qualcosa. Ma lui non glielo permetteva. E mi ricordo che non capivo se lei stava zitta per soggezione di lui, 0 invece per calcolo, per furbizia. « Ha parlato lui tutto il tempo. Raccontava. La guerra. La battaglia di Capo Teulada: "Trentasette ore in plancia senza toccare cibo, caro professore!... sa? io sono un buongustaio perché, essendo bolognese, è logico, no? Ebbene, veniva col vassoio il mio attendente, marò Antonio Simonetti di Carloforte, un ligure di Sardegna: Comaante, prenda almeno un caffè! No, grazie, non .io bisogno di niente". Raccontava. E, continuando a raccontare, 1 arrivato all'armistizio: "Perché, quando sono entrato a Malta con la squadra, ho detto all'ammiraglio Cunningham in persona queste precise parole: Yes, sir, l'Italia è una nazione sconfitta ma non disonorata, lo prova questo diritto che voi, in nome di Sua Maestà Britannica, ci avete concesso of marching out with our colours fling, di uscire e marciare coi nostri colori al vento. Ha capito, professore?". Mi affrettai ad accennare che avevo capito. Lui continuava: "Grazie, professore... Ma, vede? gli italiani purtroppo non le capiscono più, queste cose, e se mia moglie fosse meno giovane, se quello che ha fatto lo avesse fatto quando gli italiani queste cose le capivano ancora, adesso mia moglie sarebbe piazzata. Invece...". « "Meglio cosi, Amedeo". Anni 10 aveva interrotto, rossa di fuoco. "Meglio cosi in tutti i sensi!". Per la prima volta sentivo la sua voce. E non l'ho più sentita fino all'ultimo momento perché... perché all'ultimo momento è successo un fatto strano ». * * « Dovevo, con Nanda, andari, a Genova. Avevamo un treno a mezzogiorno. Gentilmente l'Ammiraglio si offrì di accompagnarci alla Spezia, alla stazione. Era una grossa macchina targata Grigioni, una Ford con le cinghie di sicurezza, che in Isvizzera allora erano'già obbligatorie. L'ammiraglio sedeva davanti con Anni: Nanda e io, dietro. Durante 11 tragitto ha parlato ancora lui, sempre lui. C'era traffico e siamo arrivati alla stazione giusto in tempo per il nostro treno. Scendiamo e salutiamo un po' precipitosamente. Lui, per l'età e per la corpulenza, ha qualche difficoltà a uscire dalla macchina. "Non si muova, ammiraglio, per carità!" dice mia moglie. Lui si sdegna: "Tant que des dames seront des dames..." e si slancia fuori, si imbroglia nelle cinghie, casca pesantemente col sedere sul selciato senza potersi rialzare subito, anche perché avvolto dalle cinghie. « Nanda e io lo soccoriamo, ma Anni intanto è scoppiata a ridere. E' lì a due passi, dal ridere si torce su se stessa, guarda la scena e ride, ride fragorosamente, spasmodicamente, presa da un'allegria convulsa, crescente, irresistibile, inarrestabile, spietata, dalla quale siamo contagiati anche noi malgrado tutti i nostri sforzi per controllarla. Invano cerchiamo di stornare gli sguardi dal grosso volto sorpreso, offeso e mortificato del povero ammiraglio: i suoi baffi grigi, spessi, rettangolari improvvisamente sembrano posticci. « Un'occhiata all'orologio, siamo costretti a salutare. Diamo la mano all'ammiraglio mentre è ancora in terra. Anni, perduta, continua a ridere. La gente si ferma intorno, qualcuno ride, Anni 6Ì accorge della sconvenienza della propria ilarità ma peggio che peggio questo la fa ridere sempre di più. Della risata di Anni udiamo ancora, altissimi, i gorgheggi i trilli gli squilli mentre saliamo in treno. « "C'era però qualcosa di strano, in quella risata", dice Nanda quando siamo in viaggio, seduti e tranquilli al nostro posto nello scompartimento, "qualcosa di patologico". Ho capito subito che Nanda aveva ragione. In quella risata c'era qualcosa di patologico, forse addirittura di traumatico. E appunto allora mi sono reso conto che Anni poteva essere un poeta, anche un grande poeta, e ho preso la decisione di leggere i suoi versi». « Perché? » domandai. « Non so, un istinto ». « Va bene. Ma non mi dirai che, poi, non hai cercato di spiegartelo, questo istinto! ». « Certo, e è stato molto semplice. In fisica, i cataclismi naturali si spiegano partendo da alcuni principi fissi: la gravitazione universale, i vasi comunicanti... In psicologia, lo stesso: i traumi si spiegano con la necessità meccanica di ristabilire in qualche modo un equilibrio rotto ». «Vuoi dire che Anni odiava suo marito? » «Al contrario, che lo amava! Ma lo amava di un amore così angelico che questo suo amore angelico doveva per forza essere compensato da una freddezza diabolica, da una simultanea capacità di vedere nel marito soltanto un estraneo, un passante mai visto prima, un uomo maturo, corpulento, tronfio e pieno di sé che era cascato per terra, comicissimamente, con le cinghie che non gli permettevano di rialzarsi. La dialettica, mio caro, la dialettica di due facoltà, due passioni opposte nello stesso individuo, non altra, forse è la sorgente di qualunque poesia. Cun amiaivels saluds, secondo me, è il suo vero capolavoro. Un'estrema soavità di sentimenti fissata nell'esattezza, nella trasparenza, nel cristallo di un linguaggio glacialmente filologico. Perché "cun amiaivels saluds" è anche la più comune, la più banale, la più convenzionale espressione con cui un amico engadinese ti può indirizzare una cartolina illustrata... A proposito, l'indirizzo del tuo giovane di Rionero nel Vulture? » « Sta lì, sul frontespizio del dattiloscritto » dissi, « e spero che tu dia un'occhiata alle poesie. Non si sa mai ». « No. Sarebbe inutile. Da quello che mi hai accennato di lui, so che la raccomandazione magica di Don Giustino non basta. Ma il giorno ventuno vado a Milano. Gli farò rispedire il dattiloscritto con una lettera gentilissima eccetera eccetera come ti ho detto. Non ti preoccupare ». Mario Soldati