Un uomo, un Paese e la voglia di guarire

Un uomo, un Paese e la voglia di guarire Un uomo, un Paese e la voglia di guarire Tutto è bene quel che finisce bene: è il sentimento dominante nel salutare l'elezione a Capo dello Stato di Sandro Pertini, medaglia d'oro della Resistenza: un eroe dell'antifascismo, un padre della Repubblica, un socialista umanitario, che per anni ha governato con impeccabile equità la Camera dei Deputati; insomma, un galantuomo che arricchirà l'istituto presidenziale col suo grande prestigio e con il calore e la schiettezza del suo temperamento. Abbiamo vissuto dieci giorni difficili in cui i partiti, con manovre oscure o meschine, hanno dato l'impressione di aver dimenticato quali fossero le attese degli Italiani, quanto viva l'ansia generale di una scelta chiara e larga, che collocasse al vertice dello Stato un uomo capace di esprimere tutta la «volontà di guarire» degli Italiani. I partiti si sono riscattati nella fase conclusiva, anche se i loro tatticismi hanno lasciato una penosa impressione di disunione e miopia politica; le tracce non ne saranno cancellate in fretta. Ma i pericoli più gravi — che si finisse per scegliere un candidato mediocre, o che si andasse a una rottura della maggioranza che avrebbe precipitato il Paese in una grave crisi, nel modo e nel momento peggiori — sono stati evitati all'ultimo, per un sussulto di buon senso dei capi politici. Non stupisce quindi il diffuso sollievo per l'improvvisa soluzione, a cui hanno contribuito in modo determinante sia il «grido d'allarme» di La Malfa, sia la ferma ripresa d'autorità di Zaccagnini dentro la de. La sensazione d'essere inaspettatamente usciti da un incubo domina su ogni altra. Senza la dignità di Pertini non ce l'avremmo fatta. Nell'augurargli un felice settennato, gli siamo già grati di questo. * * I significati politici della scelta, e del modo in cui è avvenuta, sono complessi e ci vorrà tempo per analizzarli. Intanto, qualche osservazione a caldo. Il «contenuto» della scelta, ossia il nome e la personalità dell'eletto, rimane il fatto più importante anche sul piano politico. Poi c'è la larghissima maggioranza, il numero piuttosto basso delle schede bianche di franchi tiratori, da identificarsi presumibilmente in quella «nuova destra» democristiana che, attaccando Pertini, lanciava una sfida a Zaccagnini. Questo raggruppamento, impacciato e grezzo nelle sue strategie come nelle sue idee, ha subito una dura sconfitta, in sede democristiana, nella notte tra venerdì e sabato; si è ricontato ieri a Montecitorio e la schiera è risultata modesta. Si può dunque parlare giustamente di conferma del «quadro politico». Bisogna compiacersene: anche chi non approva la larga alleanza di governo, che va dai democristiani ai comunisti, non po¬ teva desiderare una crisi in questo momento, e in questo modo. Noi non pensiamo affatto che questo «quadro politico» sarà immutabile, meno ancora lo desideriamo; ma è necessario, come diceva Moro, per affrontare questa emergenza. Il nome dell'eletto e il modo dell'elezione influiranno però sensibilmente sull'evoluzione politica, sul futuro dell'alleanza che ci governa. Anche se il «quadro» è confermato, i motivi e momenti di acuta disunione lasceranno tracce. I «veti incrociati» sono nati da sospetti incrociati, da un intreccio di ambizioni in cui si riconoscono i semi di prossime divergenze. Chi teme l'unanimismo (a ragione) ne sarà confortato. Del resto, si è scelto in Pertini un uomo di vigorosa indipendpnza, mai schiavo di nessun partito o nessuna formula. Se gli equilibri politici cambieranno, i mutamenti non saranno bloccati da una Presidenza poco elastica o poco autonoma. ★ * Un altro germe di mutamento è da vedersi nella scelta di un Presidente socialista: non un «uomo di Craxi», tutt'altro, ma comunque un socialista, realizzandosi così un momento essenziale di quella ambiziosa strategia «mitterrandiana» che è propria di Craxi. Il leader del psi ha aggredito troppo duramente, all'inizio, gli altri partiti, e si è reso più difficile un successo che gli sarebbe stato concesso più agevolmente se chiesto con più grazia. E' comunque riuscito nel suo intento (anche se la lunga anticamera fatta fare ai suoi candidati è un chiaro monito a non "strafare"). Avanza insomma quella politica di rilancio socialista, che inserisce elementi di «destabilizzazione», ma anche importanti motivi di rinnovamento, nella situazione politica italiana. La sfida di Craxi è inevitabilmente rivolta più al pei che ad altri, e non siamo d'accordo con La Malfa quando teme un ferreo «compromesso a tre», capace di degenerare in un'alternativa di sinistra aperta agU estremisti. La Malfa dimentica un vecchio detto: «due è compagnia, tre no». Se quest'elezione rafforza il psi di Craxi, indebolisce l'ipotesi di una diarchia oppressiva, dc-pci. E l'alternativa di sinistra è per ora abbastanza lontana da non doversene troppo preoccupare, o rallegrare: e non si dimentichi che Craxi nasce «autonomista», e ambizioso. E' comunque urgente che si ricomponga il rapporto, già difficile e ora quasi drammatico, tra socialisti e laici: chi ha più buon senso lo dimostri, l'Italia non può permettersi questa lite. ★ ★ Due osservazioni finali sui maggiori partiti, che hanno ambedue giuocato, con qualche fatica, a «minimizzare le perdite» e «migliorare l'im¬ magine», dimostrandosi buoni, altruisti, disinteressati, meno avidi di potere di quanto siano soliti apparire. E* un po' una politica da «volpe e l'uva». Per il pei, l'aver ribadito il «basso profilo» di partito «responsabile» è però un compenso solo parziale per aver dovuto assistere quasi inerte, e anzi consenziente, al rafforzamento del partito di Craxi, che è il vero potenziale rivale: il garofano craxiano somiglia troppo alla rosa di Mitterrand. I comunisti farebbero anche bene a chiedersi sul serio, e non soltanto con falsa ingenuità, per dimostrare una virtù offesa, perché mai un candidato del pei alla Presidenza sia cosi palesemente inaccettabile anche se si chiama Amendola; l'analisi dev'essere autocritica, investire la storia passata e le contraddizioni presenti del pei. Infine, la de. Abbiamo già detto della riconferma di Zaccagnini come leader. La de ha perso una posizione di potere (ma può anche farle bene), e ha «migliorato l'immagine». In più, ha rafforzato il partito socialista (il grazie di Craxi a Zac), e ha così dato un contributo ad arricchire e diversificare il quadro politico; è una strategia che poteva seguire più deliberatamente fin dall'inizio e che ha una sua ovvia logica, accrescendo in prospettiva la libertà di scelta politica della de di fronte al tema oggi dominante della sfida-alleanza col pei. Che la «nuova destra» de non abbia capito nemmeno questo è davvero sorprendente.

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