Tre seri limiti all'eurocomunismo di Paolo Garimberti

Tre seri limiti all'eurocomunismo ATLANTE IDEOLOGICO DEI PARTITI COMUNISTI DELL'OVEST Tre seri limiti all'eurocomunismo ROMA — Ls «teste d'uovo» della sezione Esteri del pei hanno messo a punto un atlante politico-ideologico de I partiti comunisti dell'Europa occidentale: un volume (edito dalla Teti) di quasi trecento pagine, un denso breviario per «comunistologi», zeppo di tabelle, dati numerici, riferimenti statistici. «Sia ben chiaro: non abbiamo voluto tracciare i confini dell'eurocomunismo», avverte Antonio Rubbi, vice «ministro degli Esteri» del pei, che ha diretto la ricerca e ha scritto la prefazione storico-politica sulle vicende passate e presenti del comunismo europeo occidentale. «L'idea di fondo della ricerca, dice ancora Rubbi, è di offrire una panoramica completa dei partiti comunisti dell'Europa occidentale, della loro storia, della loro consistenza ed influenza, delle loro posizioni politiche. E' uno sforzo senza precedenti, il cui interesse va visto soprattutto nella prospettiva delle imminenti elezioni del Parlamento europeo. In quest'area comunitaria, con 180 milioni di elettori, quali prospettive e posizioni politiche hanno i partiti comunisti? Ecco, questa è già una risposta importante che il libro vuole offrire». Ma la struttura stessa della ricerca (22 schede, 23 se si considera che il pc greco è sdoppiato in due partiti fieramente rivali sul piano interno ed internazionale, suddivise in tre parti: cenni storici, struttura e influenza elettorale, posizioni politiche e programmatiche di ogni partito) induce subito in tentazione. Per ogni partito il lettore curioso va a spulciare la schedina ideologica, che ne indica la posizione nel movimento comunista internazionale: «eurocomunista» a pieno titolo? Simpatizzante «eurocomunista»? Ortodosso, cioè filosovietico? Agnostico? E l'analisi di queste schedine è tanto più stimolante in quanto, ai di là dei dati oggettivi forniti dai comportamenti dei partiti sul piano internazionale, v'è al fondo la valutazione soggettiva che il pei dà di questi partiti; e si può quindi tessere un'ipotetica tela di alleanze e di antagonismi tra i ventitré partiti dell'Europa occidentale secondo l'ottica di via delle Botteghe Oscure. Attenendosi al giudizio di Rubbi e compagni (Bronda, Diaz, Galli, Gallico, Ghiotti, Ingenito, Orillia, Pelliccia, Solaro, Trevi e Viezzi), vi è oggi in Europa — a due anni esatti dalla Conferenza paneuropea dei partiti a Berlino Est — un equilibrio numerico tra partiti «eurocomunisti» e partiti «ortodossi», che, però, si trasforma in un netto vantaggio sostanziale a favore degli «eurocomunisti» se si tiene conto della consistenza e dell'importanza politica dei partiti che compongono i due schieramenti. Sono partiti «ortodossi», ancora rigidamente ossequienti al primato di Mosca, l'austriaco, il berlinese dell'Ovest, il cipriota, il danese, il tedesco federale (dkp), il greco detto «dell'esterno» (kke), l'irlandese, il lussemburghese, il portoghese e il turco, che è però illegale. Ma complessivamente questi partiti raccolgono soltanto 271 mila dei più di tre milioni di iscritti a partiti comunisti nell'Europa occidentale. E, a parte il cipriota (39,7 per cento dell'elettorato), il greco (12,1) e il por¬ toghese (14,5), la loro consistenza elettorale è assai modesta, dunque marginale è il loro peso politico nei rispettivi Paesi. Gli «eurocomunisti» — sia pure nelle varie sfumature, che vanno dall'«eurocomunismo» intenso del partito spagnolo a quello molto sbiadito dello svizzero — sono dieci, come gli «ortodossi». Ma sommano più di 2 milioni e 690 mila iscritti ed alcuni tra loro vantano altissime percentuali elettorali: dal 34,4 per cento del partito italiano al 20,6 del francese, dal 23,6 del piccolo partito di San Marino allo stesso 9,6 del partito spagnolo, da poco tempo uscito allo scoperto della legalità e di libere elezioni. Il fronte «eurocomunista» è però, come si è detto, molto variegato. Agli «eurocomunisti classici» — come sono i partiti spagnolo, italiano e francese — e agli «eurocomunisti» di ormai sicura e provata conversione (i partiti inglese, greco detto «dell'interno», il sammarinese, lo svedese) si affiancano «eurocomunisti» di incerta vocazione, che pur affermando nettamente la loro autonomia da Mosca non sposano appieno la causa «eurocomunista». E' il caso del partito norvegese, di quello svizzero e soprattutto di quello olandese che, ne¬ gli anni passati, dopo dure polemiche con l'Urss, ebbe un lungo periodo di autoisolamento dal movimento comunista, interrotto soltanto dal| la partecipazione alla Conferenza di Berlino, decisa peraltro all'ultimo momento, quando fu chiaro che vi sarebbero state sancite precise garanzie di autonomia e di indipendenza per ogni partito. Un discorso a parte richiedono tre partiti, che hanno un non trascurabile numero di iscritti e un peso elettorale rilevante: il finlandese (50 mila iscritti, 18,9 per cento di voti), l'islandese (2.500 iscritti, 18,3 per cento di voti) e il belga (14.551 iscritti, 2,7 per cento di voti). Proprio l'inclinazione «eurocomunista» di una parte del partito ha provocato lotte interne e scissioni nei partiti finlandese e belga. Come notano eufemisticamente gli autori del libro, questi contrasti hanno impedito che potessero «dispiegarsi le potenzialità contenute nella linea del partito». Il partito islandese, poi, si è volontariamente posto ai margini del movimento comunista: tra i partiti al potere in Europa orientale, l'islandese ha scelto di mantenere rapporti soltanto con il romeno (una scelta significativa) ed è stato, albanesi a parte, l'unico partito europeo assente dalla Conferenza di Berlino. L'«eurocomunismo» è dunque la linea vincente nel comunismo europeo occidentale? Lo stesso Rubbi (il quale probabilmente troverà che l'analisi del suo lavoro in questa chiave non risponde appieno allo spirito della ricerca: ma la tentazione offerta dalle ventitré schede era davvero troppo grande e ben superiore al loro obiettivo interesse politologico) avverte nella prefazione che vi sono almeno tre seri limiti ad una più salda aggregazione tra i partiti dell'Europa occidentale. Il primo limite è legato alla ricerca delle motivazioni della crisi economica e delle strategie da opporvi. Il secondo è l'atteggiamento nei confronti delle forze socialiste, socialdemocratiche e cristiane. Il terzo limite, il più grave, che «le elaborazioni teoriche di molti pc occidentali non hanno superato», è «il problema del socialismo in Occidente». «Ciò che va proposto di nuovo, afferma Rubbi, non è una terza strada o un nuovo modello, ma il contributo specifico e originale che il movimento operaio europeo è chiamato a dare all'esperienza complessiva del diverso e travagliato processo storico di passaggio dal capitalismo al socialismo». Ed è proprio da queste considerazioni che Rubbi propone una definizione di partiti «eurocomunisti» e di partiti simpatizzanti con l'«eurocomunismo». I primi sono quei partiti (naturalmente l'italiano, lo spagnolo e il francese) che, consapevoli di tali limiti, si sono trovati d'accordo sulla «necessità teorica e pratica, di un loro pronto superamento». I secondi sono quei partiti che accettano «le proposte di fondo che stanno alla base dell'eurocomunismo» su «una serie di punti specifici e non ancora in quella visione più organica che si trova nei documenti sottoscritti dai tre maggiori pc dell'Occidente». Ma c'è, a nostro avviso, un quarto limite ad un maggiore coesione tra i partiti occidentali e perfino, come dimostra l'esperienza più recente, tra i partiti che si potrebbero ormai definire «eurocomunisti storici»: la valutazione delle esperienze dell'Europa orientale e il giudizio sulle società del cosiddetto «socialismo reale». Questo limite è forse il più grave e il meno facilmente superabile se è vero, come è vero, che ha già provocato notevoli sfasature tra il partito spagnolo, da una parte, l'italiano e il francese dall'altra. Ma il suo superamento è anche la condizione indispensabile non soltanto perché si consolidi l'«eurocomunismo» già esistente, ma perché esso si affermi davvero come la linea vincente nel comunismo europeo occidentale. Paolo Garimberti Carrillo, leader comunista spagnolo, con Berlinguer