L'avvocato che faceva piangere anche i carabinieri in tribunale

L'avvocato che faceva piangere anche i carabinieri in tribunale E' morto il penalista Armando De Marchi L'avvocato che faceva piangere anche i carabinieri in tribunale Oratore suadente ed abile, ma con toni e accenti di profonda sincerità - Quarantanni di attività, un elenco di processi famosi E' morto improvvisamente, martedì sera, l'aw. Armando De Marchi. La notizia è stata pubblicata nell'ultima edizione de La Stampa di ieri, insieme al resoconto del suo ultimo processo, che aveva discusso poche ore prima in tribunale. I funerali si svolgono oggi alle 14,30 partendo dalla chiesa della Crocetta. L'avvocato Armando De Marchi, il « signore della corte d'assise », e morto l'altra sera di infarto. Stava partecipando ad una rianione del « Lyons », a Villa Sassi, e improvvisamente si è sentito male. Lo hanno soccorso, lo hanno trasportato subito all'ospedale, ma non c'è stato niente da lare. Gli amici sanno che questa era la fine che « Armandone » sperava. Al mattino, in tribunale, aveva dileso un'indiana, imputata di traffico dì droga. E la sera stava appunto parlando quando il suo cuore gli ha detto « basta ». De Marchi, 73 anni, apparteneva a quella schiera sempre più ridotta di grandi penalisti che resero famoso il foro subalpino. Aveva un'arte tutta sua, personalissima, di difendere, un metodo sorretto da una grande fede e da un enorme rispetto per la giustizia, di cui si considerava un fedele servitore. Al cliente parlava chiaro: « Se lei ha sbagliato deve pagare. Io farò in modo che lei paghi il meno possibile, nell'ambito della legge ». Gli imputati difesi da De Marchi non comparivano mal davanti ai giudici sbracati o disordinati. I colleghi maligni dicevano che li « truccava », per farli apparire in una luce migliore. Forse è vero, almeno in parte; è certo però che Armando si comportava così non solo nell'interesse dei suoi clienti, ma anche perché considerava un'aula giudiziaria come un tempio. « Nelle pieghe e nelle plaghe del processo », Armando si sforzava di trovare elementi, squarci di umanità, che potessero giovare all'imputato. E ricorreva a tutto, ai ricordi di infanzia, ad un passato di onesto lavoro, ad un episodio che potesse gettare una scintilla favorevole sull'accusato. Erano accorgimenti difensivi, ma sempre basati sulla verità. Uno dei suoi assistiti, colpevole di aver usato violenza ad una ragazzina e di averla uccisa nelle campagne di Orbassano, fu strappato dal carcere a vita da una frase ad effetto: « Il delitto è da ergastolo, l'uomo non è da ergastolo ». E in quella stessa occasione Armando ricordò ai giurati che l'imputato, nella caserma dei carabinieri, aveva, reso piena confessione proprio nell'udire le campane che accompagnavano i funerali della sua giovane vittima. Era un oratore suadente, abile, ma con toni e accenti di profonda sincerità. Riusciva spesso a strappare lacrime ai giudici popolari, ma una volta mi disse: « La più grossa soddisfazione l'ho provata un giorno, in assise, quando ho notato che persino 1 due carabinieri, in alta uniforme, ave¬ vano gli occhi lucidi ». Questa straordinaria abilità di « Armandone » non era, tuttavia, che la scorza, l'apparenza delle sue arringhe, sempre nutrite di solida preparazione, sempre studiate con accanimento. Era il « vero » avvocato, serio, coscìenzoso, che non crede all'improvvisazione. Inutile ricordare i processi al quali ha partecipato: se consideriamo quelli più importanti e scabrosi, è più facile elencare quelli che non lo videro protagonista. Piuttosto ci piace sottolineare gli aspetti poco noti della sua personalità. La notte di Natale, dopo aver spedito in carcere un enorme panettone che faceva confezionare apposta, Armando andava a sentirsi la messa alle « Nuove ». Qualcuno non mancò di insinuare che lo faceva per le « pubbliche relazioni » carcerarie, ma noi sappiamo che si mantenne fedele a tale abitudine anche quando, veramente, non aveva più bisogno di farsi conoscere. Sapeva tratteggiare uomini e episodi con una vena di soffile umorismo, carica di bonomia. Di un suo cliente, che si chiamava anche lui Armando, un vecchio pregiudicato con una fedina penale interminabile, diceva: « Abbiamo avuto due carriere parallele. Lo difesi per la prima volta, in pretura, 40 anni fa e l'ultima, poco prima che morisse, perché era stato sorpreso, in tram, a borseggiare una donna ». Non diceva che il vecchio ladruncolo e borseggiatore non gli aveva mai pagato una parcella. E anzi aggiungeva: « Era un uomo spiritoso. Una volta mi disse: "Lei, adesso, è un grande avvocato, ma quel giorno, in pretura, io ho avuto un bel coraggio a fidarmi di un pivellino" ». Con Armando De Marchi è un mondo che scompare. Un bel mondo. Gino Apostolo L'aw. Armando De Marchi

Persone citate: Armando De Marchi, De Marchi, Gino Apostolo, Lyons

Luoghi citati: Orbassano