Saremo padroni o servi dei mass media?

Saremo padroni o servi dei mass media? SCELTE DECISIVE PER LA RADIO, LA TV E I GIORNALI Saremo padroni o servi dei mass media? Vizi e virtù del nostro sistema informativo dalla tragedia di Moro al "caso Leone" - Il rischio che si "legiferi al buio" Sono giorni importanti e delicati per il settore dei mass media in Italia. Il «caso Leone» ha rinfocolato le pole- j miche accese di recente dalla1 tragedia di Moro, su quali ! siano le virtù e i vizi del nostro sistema informativo, quali debbano essere le sue funzioni e i suoi limiti. Inoltre, venerdì scorso, il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge governativo sulle radio-tv private e pseudo-estere, che intende mettere ordine nella cosiddetta «giungla dell'etere» creatasi con la liberalizzazione progressiva degli ultimi tre anni. Sempre in questi giorni, giornalisti, poligrafici, operatori dell'informazione in genere hanno, con una simbolica «giornata di lotta», messo ancora una volta il dito sulla piaga del ritardo che affligge la tanto attesa riforma della editoria. Da tutto questo insieme si ha sempre più l'impressione che, sui tavoli del potere politico così come nelle diverse «stanze dei bottoni» legate ai gruppi di pressione, si stia combattendo una battaglia decisiva, dal risultato della quale dipenderà un indirizzo certamente duraturo del nostro sistema di mass media. Bisogna dire innanzitutto, però, che al delinearsi delle tattiche non fa riscontro per ora una chiarezza teorica e strategica, da parte delle di- i verse «fazioni» in lotta: nel dibattito a proposito del ter rorismo e della tragedia di Moro, si sono visti personaggi dalle tendenze politiche simili difendere punti di vista opposti (il black-out delle notizie e la totale libertà di informare e riportare, ad esempio), così come la polemica sulla liberalizzazione radio-televisiva ha raccolto sulla stessa barricata, prò o contro, gente e partiti che in altri campi non hanno nulla in comune. L'impressione generale che si raccoglie è quella di una grande incertezza e di una grande confusione. Entrambe hanno una spiegazione, naturalmente. In Italia, la ricerca sui mezzi di comunicazione, oltre a condividere i difetti di quella portata avanti negli altri Paesi (l'incapacità di fornire modelli interpretativi validi in generale 0 ipotesi alternative per l'uso dei media), ne possiede di suoi propri, solo in parte dovuti alla sua relativamente giovane età: soprattutto quello di non aver neppure saputo fornire un quadro chiaro e attendibile del modo di essere dei mezzi di comunicazione nella nostra società, ossia indicazioni dettagliate su chi ne detiene il controllo, sui modi di produzione dell'informazione, sui contenuti c i significati e le strutture formali proprie dei diversi mezzi, e così via. Come rileva giustamente il sociologo Marino Livolsi, ancora oggi non si hanno in Italia dati attendibili sulla diffusione e lettura della stampa quotidiana, sulla sua penetrazione a seconda delle aree socio-culturali; si sa poco o nulla, al di là della conclamata generalità della fruizione (di cui è stato un esempio il Mundial di calcio appena concluso), su come si articoli il quadro dei bisogni e delle preferenze del pubblico televisivo. Misconosciuti sono anche il modo (oggi sempre più complesso, proprio per l'avvento delle radio-tv libere) in cui competono e concordano 1 diversi media; la appropriatezza con cui i loro messaggi vengono percepiti a seconda dei gruppi sociali; il tipo di reazione delle sottoculture proprie delle sacche più tra- dizionaliste o arretrate, di i fronte all'invasione dei mass n o i a i e media che riflettono la «cultura dominante». Sono, questi, tutti fenomeni sui quali vi è stato indubbiamente un crescente interesse collettivo, provocato sia dall'acuirsi della crisi di questo settore (crisi economica e crisi di identità) sia dalla sempre maggiore presa di coscienza degli addetti ai lavori. Ma a tale interesse collettivo è mancato non solo, come si è detto, il supporto di una conoscenza approfondita del settore, bensì anche un qualsiasi lavoro di «scavo» teorico che avrebbe potuto, se non altro, chiarire le diverse posizioni. Si sono così trasferiti pedissequamente concetti elaborati in altri campi, dimenticandosi che i mezzi di comunicazione non sono né un semplice prodotto industriale liquidabile a livello della «struttura», né un semplice prodotto del pensiero librato nel cielo della «sovrastruttura». Oppure, si è rimasti altrettanto pedissequamente schiavi delle impostazioni date in epoche diverse e in nazioni diverse: come ha fatto la sinistra, che per lungo tempo, sulla scia del «pessimismo catastrofico» della Scuola di Francoforte, si è rifiutata di elaborare una strategia «in positivo» dei mass media, limitandosi a criticare quelli che, intanto, il sistema capitalistico andava organizzando. O come ha fatto la borghesia, illuminata e no, che ha trasferito il «dogma» della libera iniziativa economica, approdando ad una teoria «libertaria» dei mezzi di comunica- zione («informare, divertire e vendere in un libero mercato di idee e cose») che appare inadeguata a colmare gli odiosi gap culturali tra le èlites e le classi subalterne. Tutto questo non è un discorso accademico, da salotto culturale. Perché le conseguenze della situazione descritta sono, purtroppo, terribilmente pratiche. La «grande paura» oggi è che si continui a voler decidere e legiferare al buio, in base a logiche di compromessi, lottizzazioni, scambi di piaceri e così via. Ciò è deleterio in ogni campo, ma lo è ancora di più in quel- : lo dei mass media: i giorni ; tragici del terrorismo ci han- no insegnato che essi — gior-. ali, radio, televisioni — non sono più soltanto, come si credeva, uno «specchio», fedele o deformante, degli avvenimenti sociali e politici, ma entrano quali fattori fondamentali nel determinarsi di quegli avvenimenti, al punto che — come già era accaduto in America all'epoca della «contestazione» della guerra del Vietnam — certe azioni devianti dalle norme dominanti vengono compiute essenzialmente in funzione dell'obiettivo che vengano riportate dagli organi di informazione. i Non c'è bisogno di richia1 mare il troppo citato e poco 1 capito «villaggio globale» pre- conizzato da Marshall McLu- han, per evidenziare la realtà che ci attende: una vita privata e sociale vissuta in stretta interconnessione con i media. Questi, a dispetto di Adorno, non sono necessariamente dei «mostri» e non necessariamente ci conducono verso un orwelliano 1984, dominato da misteriosi «Grandi Fratelli». Bisogna però stare molto attenti, fin dai primi passi: regolando bene i mass media oggi, si evita che il futuro ci riservi brutte sorprese. Carlo Sartori

Persone citate: Adorno, Carlo Sartori, Marino Livolsi, Moro

Luoghi citati: America, Francoforte, Italia, Vietnam