Dal sequestro non si guarisce più di Liliana Madeo

Dal sequestro non si guarisce più COME I RAPIMENTI HANNO SCONVOLTO LE FAMIGLIE Dal sequestro non si guarisce più Dove si è abbattuto questo dramma raramente la vita torna come prima sia nei rapporti privati che in quelli pubblici - Coppie entrate in crisi, pubblicità imbarazzante, sensi di colpa e certe volte un alone di antipatia perché si scopre la "ricchezza nascosta" della vittima - Il "processone dei sequestri" contro la banda dei marsigliesi porterà alla ribalta traumi e retroscena ROMA — II «processone dei sequestri» incomincerà il 2 ottobre. Alla sbarra degli imputati: la banda dei marsigliesi, ritenuti responsabili di una catena di imprese delittuose. Ad accusarli: una sfilza di vittime del rapimento a scopo di estorsione, dalla farmacista Ziaco alla figlia del costruttore D'Alessio, agli industriali Ortolani, Danesi, Andreuzzi. Per alcuni di loro sarà la prima volta che guarderanno in faccia i loro carcerieri, intravisti nella penombra delle prigioni quando tentavano di indovinarne i lineamenti per dare un volto a un timbro di voce, a un modo di gestire. La partita delle accuse, dei ricordi, delle difese, delle I contestazioni sarà giocata a viso aperto: il dibattimento non permetterà più ai sequestrati di vivere la loro esperienza come una vicenda dolorosa, privata, che continua a incutere timore. «Se un ra- pito volesse, ci porterebbe ai rapitori — dice uno degli inquirenti. — Soprattutto quando la banda è costituita dai sardi. Questi hanno modalità proprie di gestione dell'impresa. Si trasferisco- no ogni giorno, facendo cambiare alla loro vittima alloggio continuamente: alla maniera dei pastori e della tradizione legata all'abigeato. Infiniti sono i particolari che s'imprimono nella memoria del prigioniero. Rife- rime solo una parte sarebbe sufficiente per ripercorrere gli itinerari compiuti e ricostruire il tessuto dell'organizzazione. Ma la paura è totale, paralizzante. Quasi nessuno collabora. Su 30 casi di cui mi sono interessato, soltanto una donna e quattro uomini hanno dato un contributo alle indagini». Il processo riaprirà una serie di emozioni e traumi, che hanno coinvolto sia i sequestrati sia i loro familiari. Che cosa succede in una casa, quando uno dei congiunti viene rapito? La prima reazione è quella che porta ad unire le forze, a fare da sé. Scatta allora la tensione nei confronti della polizia e dei carabinieri, visti come ostacolo e minaccia per le trattative. Ci si conta, in casa e con gli amici. Lo smarrimento e la preoccupazione sono manovrati dai rapitori con un accorto dosaggio di notizie, richieste, minacce, informazioni, patteggiamenti, promesse. Il dosaggio di solito è assai abile, per quanto rozzi siano poi gli uomini che lo mettono in atto. «Quando arriva il momento di pagare — dice un funzionario di polizia — i familiari lo fanno come se compissero un preciso dovere, gli sembra quasi di assolvere ad un obbligo giuridico». Complicità "Durante le trattative si è creata intanto ed è andata consolidandosi una rete quanto mai vischiosa di complicità contro i tutori della legge, di lusinghe, ammiccamenti, sforzi per compiacersi reciprocamente: i rispettivi ruoli si fanno intercambiabili, ci sono momenti in cui ì margini del rapporto servo-padrone diventano confusi, a volte addirittura le posizioni sembrano capovolgersi. «Amore mio, ascoltami... Tesoro, sai bene che voglio esserti amico....» diceva suadente, Paolo Bulgari ai rapitori del fratello Gianni, quando conduceva la costosa trattativa che la polizia intanto intercettava. «Accidenti che dritta sei! Mica ti facevo un tipo così in gamba!»: così uno dei rapitori di Giovanna Amati ha apostrofato la madre della ragazza, subito dopo le botte che la donna aveva avuto dalla polizia a Piazza Euclide dove si era recata per raccogliere un messaggio della banda; e nel riferire la battuta la signora Amati appariva divertita, quasi lusingata. Se la liberazione non avviene, la famiglia si lacera nella disperazione — come è comprensibile — ma anche nel rimorso di non aver fatto tutto il possibile per salvare il rapito, nei sensi di colpa per aver lesinato sul danaro pensando magari agli altri figli, nei reciproci rimproveri per le paure avute, per la mancanza di coraggio di chi non ha voluto affrontare direttamente i rapitori, ha delegato altri, ha raccolto quindi i risultati negativi da cui non si può più tornare indietro. E' la disperazione, ad esempio, che ha assalito i familiari di Malenotti (che mandarono un avvocato a pagare il riscattoj, di Riboli (che pensarono anche agli altri figli), di Carta (che rifiutarono un'ipotesi di scambio con il rapito), di Baldassini (il padre ha fatto scopo della sua vita perseguire gli assassini del figlio, ucciso in Toscana dopo che era stato incassato il riscatto). Anche quando la vicenda ha un esito positivo, e il rapito ritorna libero, niente è più come prima sia nei rapporti privati sia in quelli pubblici. Ci sono coppie entrate in crisi. Ci sono le ragazze che abbandonano i fidanzati cui erano legate. C'è chi impara a riflettere sul proprio destino e sui propri privilegi, ed esce più maturo dall'esperienza vissuta. Lo strappo dalla condizione precedente è violento. Pesano le difficoltà finanziarie cui tanti vanno incontro, l'imbarazzante eco che la stampa ha dato a risvolti del tutto privati della famiglia, l'impopolarità che ricade sul rapito in quanto detentore di una ricchezza di solito cospicua, la mancanza di simpatia per chi incorre in queste disavventure, e a volte si traduce in una sorta di sciacallaggio. Giuseppe Amati minaccia di chiudere sette cinematografi della sua catena di locali a Roma e ha messo in vendita la bella villa liberty in cui abita. Ma non è questo per lui l'aspetto più traumatico del contraccolpo al rapimento della figlia. «Io non ho più una famiglia. Pianto tutto e resto solo» disse all'indomani della liberazione di Giovanna, mentre la figlia faceva le corna ai fotografi, la moglie urlava parolacce irripetibili ai cronisti, e l'immagine del bandito marsigliese Nieto incominciava a delinearsi alle j spalle della figlia e del suo periodo di prigionia. Ortolani e Francisci sono finiti in galera, dopo il rapimento. Forse gli sarebbe successo ugualmente, certo è che con il sequestro si è infranta quella sorta di impunità che protegge gli uomini danarosi cui riesce di rimanere nell'ombra. Così, sia pure in modo diverso, accadde per Gianni Bulgari. Quando fu sequestrato, si seppe che non risultava neppure iscritto alle uste dei contribuenti, mentre diventava pubblico l'elenco degli stabili, delle macchine, degli aerei di sua proprietà. Quan¬ ! I ! | I j j j j do tornò a casa, i fotografi e i cronisti lo fecero oggetto di una bagarre irrispettosa quanto insolente. La prima sera che egli uscì per riprendere le consuete relazioni sociali, si recò in una delle più belle case di Roma. Era estate. Sul terrazzo c'erano ospiti dai nomi illustri, cìiampagne. Bulgari entrò e subito fu il cocco delle signore. Se lo contendevano da un crocchio all'altro. Pallido, magro, lui rispondeva scontroso alle affettuosità che gli venivano rivolte. Il fratello Paolo non lo lasciava un minuto con gli occhi. Col passare delle ore la disattenzione nei suoi ! confronti cresceva. Alla fine, protagonista Paolo Villaggio che era uno degli ospiti, contro di lui partivano frecciate, gags comiche, provocazioni, scherzi. Gianni Bulgari non rise mai, e se ne andò fra i primi. Love story Un trauma a parte, per le donne che furono vittime di sequestri, col «processone» del 2 ottobre si riproporrà. Per molte di loro, oggi si sa meglio, nella «zona oscura» dove paura, solitudine, bisogno di rassicurazioni, desiderio di non smarrire la propria identità, impulso a provare la misura del proprio potere si sono mescolati, la prigionia ha rappresentato anche l'incontro con una figura maschile atipica per la loro condizione e la realizzazione di un rapporto fuori dalla storia, dalle proprie modalità di comportamento, I dal proprio destino. In qual! che caso si è parlato di love | story. Ma l'esperienza è staI ta nel suo insieme più comj plessa, per la vittima come j per il suo carceriere. Soltanj to nel caso di Giovanna Amati il reato di violenza carnale è stato definito fra i capi di imputazione. «Ma negli altri casi di cui sono a conoscenza — osserva un magistrato — che senso ha imporre a una donna la pena di parlare in pubblico di queste cose, di un'esperienza che non è interpretabile né riconducibile tout court a un articolo di codice?». Liliana Madeo

Luoghi citati: Roma, Toscana