Portofino: si svende castello da 4 miliardi di Paolo Lingua

Portofino: si svende castello da 4 miliardi La gemma degli armatori Fassio Portofino: si svende castello da 4 miliardi DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE PORTOFINO — Il fallimento dell'«Immobiliare San Giorgio» di Alberto e Franca Fassio, decretato venerdì scorso dal tribunale fallimentare di Genova, appare, per molti aspetti, un mistero dai risvolti se non sconcertanti, almeno singolari. Vediamo il fatto: il castello, che si compone d'una torre quadrata, d'un palazzotto (in tutto una cinquantina di stanze ed una decina di bagni) e d'un vasto parco digradante a picco sugli scogli della punta del promontorio di Portofino, valutato nominalmente intorno ai 4 miliardi, faceva parte dell'ormai smembrato « impero » della famiglia Fassio. Eira considerato, anzi, il « gioiello », la residenza cui era più affezionato Ernesto Fassio, il «grande vecchio», fondatore delle fortune della famiglia. Ernesto Fassio non era solito concedersi lunghe vacanze, ma considerava il castello San Giorgio — costruito nel 1880 dalla famiglia dei baroni Mumm, produttrice dell'omonimo champagne — il suo « buen retiro ». La residenza è infatti ricca di salotti, verande ed angoli appartati: l'armatore, per migliorare anche l'esterno aveva addirittura fatto riportare alcune rocce sullo sperone del promontorio dove s'affacciava la sua spiaggetta privata. Il « castello San Giorgio » non faceva parte del cosiddetto « coacervo fallimentare », trattandosi d'un bene personale della famiglia Fassio: la bancarotta è stata decretata sulla base d'una richiesta di 20 milioni avanzata da due ex-dipendenti: un giardiniere e il custode della proprietà. A questo punto, nessuno, fino a venerdì, credeva possibile il fallimento: il castello era stato offerto in garanzia ai creditori dei Fassio — la Cassa di Risparmio e limi — per vecchi crediti concessi. Per la verità, volendo esaminare la situazione dal punto di vista strettamente legale, c'è da osservare che la proprietà di fatto dell'» Immobiliare San Giorgio» è oramai della Cassa di Risparmio di Genova, in quanto creditore privilegiato. Perché la Cassa di Risparmio non ha versato direttamente i venti milioni (una somma modestissima, considerato il valore del bene) che poi avrebbe recuperato vendendo la proprietà o comunque entrandone in possesso? Tra l'altro, così agendo l'istituto di credito gpnovese avrebbe potuto realizzare la proprietà, anche smembrata, sul mercato immobiliare, vendendola ad un prezzo certamente più remunerativo di quello che potrà essere ricavato da un'asta fallimentare, dove, com'è ovvio, si « gioca » al ribasso. Il comportamento dell'istituto di credito genovese appare per molti aspetti contraddittorio: negli anni passati, quando le aziende dei Fassio erano già in crisi, la Cassa di Risparmio non esitò a concedere prestiti ingenti, senza troppe difficoltà, al punto tale che, decretato il fallimento del gruppo (flotta, giornali, società d'assicurazioni, immobiliari ecc.) due suoi funzionari vennero ad¬ dirittura denunciati (recentemente assolti in sede istruttoria). Poi, all'improvviso, la politica della Cassa è mutata: la banca genovese è intervenuta a finanziare il disinvolto acquisto della «Levante» e dell'«Europa» (per soli 10 miliardi, meno della metà del valore delle due società d'assicurazioni) e poi s'è irrigidita sulla vicenda del «castello San Giorgio» andando anche contro i propri interessi. In realtà, secondo indiscrezioni di buona fonte, si ha l'impressione che esista una tacita «parola d'ordine» che circola ai vertici dell'istituto e che impone ai dirigenti d' essere «spietati» con il «caso Fassio», che sta diventando sempre più scottante. Ormai è chiaro che il gruppo, dichiarato fallito per un « crack » di 52 miliardi, poteva essere salvato da un onorevole « concordato preventivo». Basta ricordare che fino ad oggi sono stati raggranellati 40 miliardi e deve essere ancora venduta la «Ernesto Fassio», ex-ammiraglia della flotta, la cui prossima asta fissata per le prossime settimane, partirà da 4 milioni e 200 mila dollari. Ci sono poi «beni personali» dei Fassio, le tre ville (Portofino, Albaro e Nervi), valutate, insieme ad altri immobili e ad altri beni, quasi dieci miliardi. C'è un particolare curioso: sin dal fallimento (aprile 1976) fu suggerito ai curatori (i quali incasseranno complessivamente parcelle superiori al miliardo e mezzo, nel giro di due anni) di rivolgersi a «brokers» esperti per trovare un acquirente: soltanto adesso, dopo una decina di aste andate deserte, s'è giunti a promettere una provvigione del 3 per cento ad un mediatore che consenta di collocare la motocistema. Paolo Lingua

Luoghi citati: Albaro, Europa, Genova, Portofino