C'è un marziano in quel colombo che mi bombarda? di Ugo Salvatore

C'è un marziano in quel colombo che mi bombarda? C'è un marziano in quel colombo che mi bombarda? Sotto le penne di un piccione che svolazza su Torino e che si annida fra i ietti attorno alla sede del mio giornale, batte il cuore di un marziano. Da qualche tempo il cinereo volatile sembra che aspiri a stabilire un contatto di terzo tipo con me. Mi avvista, mi individua, mi scruta dall'alto, mi lancia il suo oscuro messaggio. L'aggancio iniziale è avvenuto tre giorni fa. Parcheggio l'auto di Ironie all'ingresso dell'unico bar aperto alle 6 nella zona. Mi attardo a gustare il primo calle della mattinala. Pago, saluto e mi allaccio alla porta. La strada è ancora deserta, eppure provo la sensazione di avere qualcuno alle spalle che mi sjiora delicatamente. Dietro di me invece non c'è anima viva. Il barista è là oltre al banco che ripone assonnato la tazzina. Ma io sono certo: un contatto extraterrestre l'ho avuto. La prova? E' lì ben visibile sulla manica della mia giacca. Cola ancora, melliflua come quei mostri informi protagonisti dei film di fantascienza. Solo che al cinema, per assenza della colonna rinotica, l'olfatto non viene offeso. Ora invece sono immerso fin qui nella realtà e un lezzo acidulo colpisce le nari. Volgo lo sguardo istintivamente verso i ietti e il marziano che si nasconde sotto la specie di un colombo è lassù che danza, tozzo e sornione. Non sono un Lorenz, l'etologo che ha scoperto il linguaggio degli animali e che comunica con loro usando le stesse modulazioni, ma due parole acconce all'indirizzo di quel dannato pennuto le ho lanciate, senza contare sulla sua comprensione. Infatti il mattino dopo mi ritrovo, alla stessa ora, nello stesso bar, con una giacca diversa. Sorseggio il caffè, pago, mi accomiato. Al limite della porta ho un attimo di esitazione. Tuttavia varco la soglia. E in quell'istante accade il secondo contatto di terzo tipo. Il tenore del messaggio non è cam¬ biato e neppure lui, il piccione. Trotterella sulla grondaia, esibendosi a tratti in una serie di goffi testa-coda quasi volesse farmi intendere che con l'una mi riconosce e con l'altra mi conlatta. Ho pensalo in quel momento ai cavalli di San Marco, vittime illustri (più che del tempo) della pletora fisiologica dei colleghi veneziani di quel piccione che mi perseguita. Ho capito il loro dramma senza sperare in una pubblica sottoscrizione che restituisca alla mia giacca — cos'i come è stato per il manto bronzeo degli equini — l'originale smalto. Ed ho pensato al saggio Lorenz che scrive: «E' raro che io rida di un animale e quando ciò accade mi accorgo poi, ripensandoci meglio, che in realtà ridevo di me, dell'uomo di cui l'animale mi aveva presentato una caricatura più o meno spietata». Io debbo avere una marcala inclinazione etologica, perché — come Lorenz — non ho riso della bizzarria inaspettata del piccione. E come potevo se, mentre ero intento a così profonde meditazioni, il piccione-marziano infieriva con un terzo incontro dello stesso tipo? Direttamente al capo. Lo so, esiste la teoria empirica secondo la quale le scorie fisiologiche dei pennuti faciliterebbero la crescita dei capelli. Tuttavia nessun uomo è un'isola. Va a far capire al mìo direttore o ai colleghi che quella poltiglia mefitica spiaccicala sul capo, altro non è che una scelta terapeutica del tricologo Cambronne. Così ho preferito sacrificare il fazzoletto e un pacco di Kleenex e cancellare l'onta. Da qualche tempo ho cambiato itinerario, rinunciando persino al caffè. Così i contatti extraterrestri sono cessati. Non conosco il comportamento degli animali. Io mi auguro che quel piccione, orbato della sua ormai abituale cadenza fisiologica, si stia dilaniando in una stitichezza cosmica. Ugo Salvatore

Luoghi citati: Torino