Morino, Del Fante, Matlì: tre uomini sacrificati per nascondere altre, più gravi, responsabilità ? di Cosimo Mancini

Morino, Del Fante, Matlì: tre uomini sacrificati per nascondere altre, più gravi, responsabilità ? Blalock e Centro tumori: due casi emblematici del mondo ospedaliero Morino, Del Fante, Matlì: tre uomini sacrificati per nascondere altre, più gravi, responsabilità ? Il mondo medico torinese ha assistito in questi giorni, con apparente indifferenza, all'emarginazione di tre noti personaggi: il prof. Morino, il prof. Florio Del Fante e il prof. Giuseppe Matlì. L'aspetto più preoccupante però è che è stato compiuto un atto di giustizia sommaria da parte delle istituzioni, in questo caso l'Università e i responsabili della sanità, e non un atto di giustizia formale. Dietro le quinte poi hanno agito i partiti, quegli stessi cioè che pretendono dai cittadini il rispetto delle istituzioni. Come si ricorderà il 29 novembre dell'anno scorso il sostituto procuratore della Repubblica, dott. Livio Pepino, ha sequestrato le cartelle cliniche del centro di cardiochirurgia «A. Blalock». Due medici, uno dei quali è stato un mese in carcere, hanno ammesso di aver falsificato alcune di quelle cartelle, senza però spiegarne il motivo. Si suppone però che l'operazione sia collegata ad un'altra falsificazione, quella della statistica di mortalità post-operatoria che il dott. Valjean Grassini, consigliere comuni- sta dell'amministrazione del San Giovanni, aveva richiesto al centro «Blalock» dopo anni di «voci» secondo le quali la mortalità nel reparto era altissima. La statistica era stata chiesta nell'ottobre del '76 e presentata al consiglio d'amministrazione nel marzo del '77. La percentuale globale di mortalità risultava del 16 per cento e, confrontata con i «dati della letteratura» forniti dall'allora sovraintendente sanitario prof. Campana, era pienamente nella media mondiale. Per buona, evidentemente, la prendono gli amministratori, visto che chiudono questi dati nel cassetto senza più muovere un dito. Né il sequestro delle cartelle cliniche, nove mesi dopo, fa cambiare idea al dott. Grassini ed a quanti avevano avuto la statistica. Nel corso di una conferenza stampa alla quale partecipano il presidente dell'ospedale ing. Giulio Poli e il prof. Francesco Morino, direttore del centro «Blalock», alcuni cardiologi dicono che la tabella consegnata all'ospedale non ha significato e che occorrono dati più precisi per poter stabilire se la mortalità del centro è alta o bassa. In sostanza i cardiologi sostengono che un ammalato grave può morire facilmente se viene sottoposto a un intervento che normalmente presenta pochi rischi. L'ing. Polì dispone allora che venga rifatta la statistica. Il 17 febbraio vengono resi noti i nuovi dati. L'indice di mortalità è salito di due punti. La nuova statistica è però ancora meno significativa della precedente. Non si conoscono nemmeno le percentuali per ciascun intervento. Ossìa l'ospedale rinuncia nuovamente a sapere se al centro «Blalock» si muore poco o molto. E' il periodo in cui i comunisti respingono gli attacchi ai singoli chirurghi. Sostengono che è una questione di metodo e non dì uomini. «Non abbiamo mai creduto ed anzi ci siamo sempre opposti — scrive sull'Unità del 18 dicembre del '77 Angela Migliasso, responsabile della sanità per la provincia di Torino in seno al partito comunista — alla logica del chirurgo "dalle mani d'oro"». La soluzione logica, per i comunisti, è il dipartimento di cardiologia che viene istituito a tambur battente. E' un mercoledì sera: l'I 1 gennaio. I giornalisti continuano a chiedere che l'ospedale si pronunci ufficialmente sulla mortalità del centro Blalock, ma è come parlare a dei sordi. Anche i religiosi che fanno parte del consiglio d'amministrazione dicono che «non si può stabilire soltanto in base a semplici numeri se le morti al "Blalock" sono eccessive». L'unico che prosegue imperterrito è il dott. Pepino. Arresta uno degli assistenti del prof. Morino e questi, pochi giorni dopo, si ritira dal centro di cardiochirurgia delegando il prof. Del Fante a sostituirlo. Nonostante che per mesi partiti e sindacati abbiano parlato di carenza di strutture e non di incapacità dei chirurghi, si sollecita il prof. Del Fante a operare in un centro quasi smantellato. Il primo paziente operato muore e la sovraintendenza sanitaria «sconsiglia» nuovi interventi. E' già in corso nel frattempo l'operazione che porterà il dott. Dino Casarotto alla direzione del «Blalock». Per lui l'amministrazione allarga i cordoni della borsa e compra tutto ciò che il chirurgo chiede, mentre per anni le lettere di richieste del prof. Morino sono rimaste senza risposta. Il Rettore, scavalcando la delega del prof. Morino al prof. Del Fante, firma un decreto che «prepone» il dott. Casarotto al «Blalock». Il prof. Del Fante impugna il decreto che viene sospeso dal tribunale amministrativo. A questo punto è il presidente dell'ospedale che assegna con un'ordinanza il centro di cardiochirurgia al dott. Casarotto evidentemente considerato a questo punto «uomo dalle mani d'oro». Anche questo provvedimento è illegittimo come quello del Rettore. Il «Blalock» è stato strappato al prof. Morino senza che nessun giudìzio ufficiale sia stato espresso sulla sua attività professionale. Altrettanto è stato fatto con il prof. Del Fante che dichiara una statistica personale di mortalità del 6 per cento. La commissione di esperti nominata dall'ospedale per controllare se l'intervento eseguito dal prof. Del Fante era stato compiuto a regola d'arte non ha accertato alcuna responsabilità a carico del chirurgo. Sul piano della legalità quindi sia l'Università che l'ospedale hanno compiuto «atti di prepotenza». Analoga è, sotto certi aspetti, la vicenda del prof. Matlì. E' stato il solo a pagare per l'abbandono in cui sono stati lasciati gli ammalati del centro tumori. Eppure, per fare un esempio, dalla perizia del prof. Baima Bollone, risulta che il lettino della bomba al cobalto non frenava «esponendo il malato a ricevere radiazioni fuori dal campo programmato», inoltre «erano fuori uso il delimitatore dell'ampiezza di campo e il localizzatore luminoso per centrare il raggio». Insomma la bomba al cobalto del San Giovanni era un rottame che poteva solo per un caso eccezionale curare. Normalmente faceva del male. Questa situazione andava avanti da anni come da anni al «Blalock» si moriva. Erano in molti a saperlo, a cominciare dai consìgli d'amministrazione dell'ospedale. E' stato comodo sacrificare tre uomini per salvare altri, maggiori, responsabili. Cosimo Mancini Il prof. Matlì

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