Il miglior Verdi del Bicentenario di Giorgio Gualerzi
Il miglior Verdi del Bicentenario La "Forza,, alla Scala Il miglior Verdi del Bicentenario MILANO — Per coerenza di svolgimento musicale e drammatico e per omogeneità fra orchestra e palcoscenico nelle ! sue varie componenti. La forza del destino rappresentata sabato alla Scala è il migliore dei quattro allestimenti verdiani finora offerti nella stagione del Bicentenario. Prova ne siano le calorose accoglienze ottenute vuoi a scena aperta vuoi alla fine dei singoli atti, e l'apoteosi finale con molte chiamate da parte di un pubblico che non si decideva ad abbandonare la sala. Almeno cinque sono stati i grandi protagonisti della serata. Innanzitutto Giuseppe Fatane, il quale, chiamato all'ultimo momento a salvare una situazione resa precaria dall'indisposizione di Zubin Menta, dopo una partenza in sordina è venuto progressivamente fuori con la sicurezza del mestiere e la padronanza del palcoscenico quale certamente non hanno direttori ■più reclamizzati dì lui. Patanè si è dimostrato direttore che, nel cosiddetto repertorio, e specialmente in quello verdiano, regge il confronto con chiunque. Viene poi la prova maiuscola del coro, splendidamente sorretto e guidato dal braccio e dalla sensibilità di quel verdiano autentico che è Romano Gandolfi. La regìa di Lamberto Puggelli — favorita dalla felicissima invenzione sce¬ nografica di un Renato Guttuso volutamente goyesco, che si è valso della preziosa collaborazione di Paolo Bregnì, autore di alcuni splendidi «siparietti» — ha dimostrato che, pur senza rinunciare alla propria personalità ma anche senza sovrapporsi a quella dell'autore, si può fare egualmente un eccellente lavoro. (Una sola distrazione, ma grave: la diffìcile scena della battaglia, dove il descrìttivi- smo di Verdi è stato sostitui to da un'arrischiatissima visualizzazione che ha sfiorato il ridicolo). Quinto e ultimo grande protagonista, Piero Cappuccini ha onorato come meglio non poteva il recente «Verdi d'oro» assegnatogli a Busseto, mostrandosi efficacissimo Vargas, come già tredici anni or sono, tanto nella disinvoltura del gioco scenico quanto nel pieno dominio di una voce insolitamente morbida ma anche spiegata nell'espansione canora e nella proprietà dell'accento drammatico. Su un piano solo leggermente inferiore il rendimento del tenore José Carreras, al quale la parte sta un po' stretta; egli però supplisce ai limiti naturali e tecnici con il fervido temperamento. Montserrat Caballé, pur tra qualche scompenso vocale e qualche cedimento di tensione drammatica, ha saputo mantenersi al livello del suo prestigio, offrendo una prova di sicura professionalità. La vivacissima Preziosilla di Maria Luisa Nave, l'azzeccatissimo Melitone di Sesto Bruscantini (affievolito nella voce, non certo nella straordinaria intelligenza d'interprete), un (purtroppo) irriconoscibile Nicolai Ghiaurov, unico punto debole dello spetta- colo, il dignitoso Calatrava di Giovanni Foiani, l'incisivo Trabuco di Piero De Palma e il ficcante «rivendugliolo» dì Franco Ricciardi, completavano la compagnia di questa Forza del destino, che sarà a lungo ricordata come uno dei maggiori contributi arrecati dalla Scala alla «giusta causa» verdiana. Giorgio Gualerzi w Hi 1 Carreras, Cappuccini e Meliciani in scena
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