Brigantesse e brigatiste

Brigantesse e brigatiste CARLO CASTELLANETA SUL MONDO CHE CAMBIA Brigantesse e brigatiste Quante volte non si sente dire che il mondo cambia sì, ma cambia in peggio? E che questa tanto decantata rivoluzione femminista (che è poi l'unica vera rivoluzione del nostro tempo) sta facendo perdere alla donna i suoi connotati più veri? Certo, se stiamo alle cronache, c'è da consentire talvolta con questi giudizi. Prendete il raid compiuto da un commando di giovani donne nel carcere berlinese di Moabit. Se lo aspettava il terrorista Meyer di venir liberato, mitra alla mano, da quattro fanciulle? Forse nemmeno lui. E che dire del tredicenne napoletano che la settimana scorsa ha « vendicato » l'uccisione del padre scaricando una « 38 special » addosso a un capo-camorrista? Vuol dire che anche il nostro vocabolario deve essere aggiornato, se « le donne e i minori », come si usava dire un tempo, sono ormai categorie dello spirito- e non della realtà. Anzi, al diritto di sparo adesso mancano soltanto i vecchi. Ma appena il nonno sarà uscito a far la spesa con la pistola, si sarà completata l'evoluzione delle specie più deboli... Ha ragione la donna a voler essere presente in tutto, dall' assemblea al corteo. Peccato che voglia ora partecipare anche ai delitti politici, nell'illusione di mantenere quella famosa parità con l'uomo. Basta vedere con quale puntigliosa costanza le brigatiste dei giorni nostri sono presenti negli agguati più sanguinosi. Ormai non c'è attentato che si consumi senza la partecipazione di qualche misteriosa bionda. Ma perché poi bionda? Perché tale la riferiscono i testimoni. Una zazzera corta e capelli ossigenati si addicono meglio al personaggio della terrorista? Certo, ma c'è dell'altro. Ed è la presunzione che, sotto sotto, queste donne non siano nemmeno italiane, magari tedesche, sorelle di quelle di Moabit, una delle quali teneva nascosta sotto il soprabito una maschine-pistole come fosse un ombrellino. Dunque bionde, segaligne, struccate. Guai se avessero due trecce brune o una chioma corvina. Troppo mediterranee: il loro delitto ci apparirebbe ancora più incomprensibile. E poi ve l'immaginate una terrorista che prima di uscire per la sua « azione di guerra » perde tempo a darsi il rimmel? Ho sentito qualcuno che diceva: sì, ma queste compagne della P 38 non sono neanche una novità, cent'anni fa avevano preso le armi contro lo Stato le famose brigantesse calabresi, la Giovanna di Ruvo amante del bandito Crocco, o la Rosa Cariello amante di Trezza, che si fece fotografare con in mano un revolver d'ordinanza, e la Gioconda Marini, la Filomena Pennecchini, bellezze proterve del Sud che avrebbero scuoiato un bersagliere di Casale. E' vero. Ma più che brigantesse erano donne di briganti, non chiedevano una parità di proiettili, erano simili alle soldaderas di Pancho Villa, buone più a scaldare pagliericci che fucili. Con le brigatiste invece c'è un salto di qualità. La nuova Pasionaria non è necessariamente l'amante del capo. Se lo diventa è perché la clandestinità ha le sue leggi. Altrimenti è una compagna che aspira a eseguire gli stessi compiti di un compagno, non vuol sentirsi inferiore perché ha il polso più debole nel puntare una calibro nove, semmai vuole poter sostituire l'uomo quando occorre, anzi essere lei stessa un uomo... E qui tocchiamo uno dei punti più scottanti della questione. Nella sua avanzata impetuosa il movimento femminista, più che elaborare una nuova figura di donna, ha preso a prestito ideologie e modelli tipicamente maschili, come il potere e la violenza. E ad essi sembrano ispirarsi le nuove guerrigliere. « Se sparare è inevitabile, se sparare è politico » devono aver concluso le nostre terroriste « spareremo anche noi, come fanno gli uomini ». Cantavano le mondine all'inizio del Novecento: « Sebben che siamo donne, paura non abbiamo... ». E certo ci voleva più coraggio a starsene come loro, impavide a braccetto incontro alla cavalleria, che appostarsi all'alba su un'automobile per tirare alla schiena di uno sconosciuto, come fanno le eroine di casa nostra. Personalmente, ho sempre sostenuto che la donna è più generosa dell'uomo: nello sposare un ideale, nel salvare un figlio, nel sacrificarsi per un essere amato. Però le occorrono, appunto, grandi cause. Invece quella del terrorismo somiglia più ad un'avventura che a una causa. E così la terrorista che si iscrive alla facoltà di tiro a segno (l'unica che offre oggi un lavoro sicuro) finisce per somigliare non ad Anna KuliscioiT, come forse aveva sperato, ma a Calamity Jane, ottusa pistolera della Frontiera americana. Eppure, al di là di episodi così sconfortanti, sono certo che il realismo della donna avrà la meglio sulle sue ambizioni di spietatezza. Tra l'angelo del focolare e la killer coi capelli a spazzola forse c'è una via di mezzo. Ed è quella che stanno imboccando le generazioni più giovani, consapevoli che sparare serve a poco, e che la violenza genera solo altra violenza. Per questo mi illudo che si ricrederanno presto anche le nostre « sicarie senza paga », appena si accorgeranno che davanti a sé non hanno sbocchi, né prospettive reali. Certo, gettando la pistola, non torneranno ai ferri da calza, come qualcuno si augura. Il terrorismo è una strada senza ritorno, un inconscio desiderio di morte. Non so immaginarmi un'ex brigatista che apre una gelateria. Comunque una cosa è certa. Che son finiti i tempi dell' idillio. E se il Poeta rinascesse inizierebbe così « Il sabato del villaggio »: « La donzelletta vien dalla campagna, in sul calar del sole, col suo fascio dell'erba; e reca in mano un mazzoliti di rose e due pistole... ». Carlo Castellaneta

Persone citate: Anna Kuliscioit, Cariello, Carlo Castellaneta, Crocco, Meyer, Pancho Villa

Luoghi citati: Calamity Jane, Casale, Ruvo