Ma il testo classico non va imbalsamato di Benedetto Marzullo

Ma il testo classico non va imbalsamato "Coefore» ed "elena» a Siracusa Ma il testo classico non va imbalsamato SIRACUSA — « Molte difficoltà si frappongono ad una messinscena viva dei testi classici: la più grave di esse è la pigrizia di cervello e di sentimento dei routiniers. Esiste una tradizione scenica che si suole superficialmente considerare come retaggio culturale, benché non faccia che recare danno a quello che è l'effettivo retaggio, cioè l'opera: in realtà è una tradizione di attentato al patrimonio classico ». Sono parole di un classico, nostro contemporaneo. Le scrisse Bertolt Brecht, con sferzante pacatezza nel 1954, due anni prima della morte. Denunciava l'effetto « intimidatorio dei classici »: essenzialmente un alibi, sordo alla dimensione un ana dei sacri testi, idealizzante, formalistico. Allo slancio (che era la capacità di levarsi in volo) sostituisce la truculenza — continua Brecht — alla solennità l'unzione. Ignora l'umorismo, in sostanza l'ironia, con cui le grandi opere sommessamente considerano l'umana vicenda. Seriosamente 10 espunge, « come se l'umorismo fosse incompatibile con la vera dignità! ». La « declamazione altisonante » rimuove l'inquieto pungolo dei classici, 11 loro contratto, sorridente dolore. Ne deriva, di conseguenza (del tutto estranea ai classici), « un'atroce noiosità ». Brecht mette in guardia da questo effetto intimidatorio, da un terrorismo che si supporrebbe oggettivo. Provvede a correggerlo, conclusivamente: si tratta di « una concezione falsa, sommaria, decadente, meschina della classicità ». Rispetto esige « che ogni bigotta, adulatoria e falsa venerazione venga messa alla gogna ». Che alla mistificante archeologia — noi diremmo — si sostituisca un'avida, ardimentosa filosofia. Che muova dall'esistenza, metta in moto la prodigiosa macchina dei classici, non per contemplarla e gratificarsene, ma per interrogarla. I classici hanno fornito sigillate risposte all'angoscia dell'uomo. Lucide, rigorose, adamantine forme lasciano trasparire indicazioni laceranti, e tuttavia consolatorie. Coraggiosa consapevolezza costituisce conforto, morale, fulgidamente estetico. Siracusa, con il suo monumentale teatro greco, celebra in questi giorni un compiaciuto giubileo. Inaugura il venticinquesimo ciclo di spettacoli classici, dopo una attività, pionieristica nei primordi, stancamente rituale nei successivi due terzi di secolo. L'« Istituto Nazionale del Dramma Antico », con cui nel 1927 si formalizzavano queste iniziative, stava per cadere sotto la mannaia, che avrebbe dovuto abolire settemila Enti, alla medesima stregua considerati inutili. Il salvataggio è finalmente giunto, con legge delegata dello scorso aprile. Si deve all'oculata pertinacia dell'attuale commissario, Giusto Monaco. La fortunosa vicenda contiene un insegnamento, su cui meditare. La vecchia, untuosa struttura va radicalmente respinta. Si impone una rinascita del «Dramma antico»: una concezione che sarà tanto più rispettosa del classico, quanto più moderna. L'« Antigone » di Julian Beck, la « Medea » di Serban, le « Troiane » di Suzuki, le « Baccanti » di Ronconi indicano, nella diversità delle con cezioni, l'impervia, ma diritta illuminante via da percorrere. Sono essi i nostri, sicuramente terribili classici. Fanno ammutolire filologiche letture, scenografiche ricostruzioni, antropologiche visioni. Sono realizzazioni fortemente teatrali, sconvolgono con aggressiva globalità ogni rappresentazione parziale, pigra, parassitaria. Ogni interpretazione sostanzialmente ignara, non soltanto di alfabeto greco, ma di essenza drammaturgica. L'esiziale rischio, da poco superato a Siracusa, non ha concesso che un programma interlocutorio. Con le « Coefore » di Eschilo, con la « Elena » di Euripide, rispettivamente affidate alla regia del prudente Di Martino e del (non sempre) iridescente Guicciardini, si è timidamente proceduto sulla nuova strada. La scelta è in qualche modo provocatoria. Isolare le « Coefore », stridula cerniera fra il roccioso « Agamennone » e la civile dialettica delle « Eumenidi », è affondare l'occhio nella ambiguità dell'esistente, nella dilacerata, repulsiva trepidazione del protagonista, sardonicamente diviso, oggi diremmo, tra pubblico e privato. L'« autodafé », compuntamente realizzato da Di Martino, si chiude in una dimensione oratoria, non soltanto verbale e musicale, ma addirittura ecclesiale. Una sfida è avere affidato la tSgrcgdptscrstsdrmluCl«ftrbt«Aurs traduzione delle « Coefore » a Sanguineti, di professione avanguardista. Egli fa di tutto per ricordarcelo, per cancellare le clamorose vacuità del Romagnoli, le pascoliane levigatezze di Valgimigli, lo sconnesso impegno di Traverso, lo stupefatto risveglio di Pier Paolo Pasolini, suoi predecessori. Alla cementizia ma trasparente durezza verbale di Eschilo, al suo scabro, severo arcaismo, sostituisce un edificio di cristallo sbrecciato. In cui affiorano audacie espressive subitamente rettoriche per l'uso deliberatamente insistito, incomprensibili sciatterie. Nulla hanno da spartire con una presunta cifra colloquiale. Che mai saranno le « mammelle nutritive », le ricorrenti « case femminili », una Corifea « rigida per dolori occulti », ragazze « di bassa cintura », punizioni « non riscattabili », un « bagaglio completo » altrove « personale », i « legali domini cittadini », Agamennone infine che « morì ucciso nel bagno ». Si dovrà ricorrere, per intendere e classificare siffatti stilemi, alle « pagine gialle », piuttosto che ad Eschilo? Le strabilianti, divertite ambiguità della « Elena » (per la prima volta in scena a Siracusa) sembrano scoraggiare il pur immaginoso Guicciardini. Lo stravagante, sofistico senso della favola, l'impatto di questa precoce, burlesca « féerie », il suo meccanismo affabulatorio, maliziosamente irridente, il profondo disprezzo per ogni umuia avventura, la sua paradigmatica e pur dolente satira, sembrano sfuggire. Elena, anche fisicamente, si irrigidisce in formalismi alla Cambellotti (il « concettore di scene »), soffre travagli privi di sorriso, i di verità. Trionfano melodrammatici surrogati. Continua, malgrado enigma tiche scelte, a bloccarci l'effetto intimidatorio dei classici. uberto^fsajui,\ ptdo, di confortevole, di scar- { samente aggressivo, a paragone | dello spirito combattivo dei', classici ». Sono ancora parole ! di Brecht I Benedetto Marzullo realtà ci viene frettolosa-1

Luoghi citati: Monaco, Siracusa