Se il malato deve sapere

Se il malato deve sapere Religioni e società di Lamberto Fumo Se il malato deve sapere Una norma del nuovo codice deontologico dei medici italiani tocca un problema molto delicato al confine fra la psicologia, la morale in senso ampio, la morale cristiana in modo specifico nel caso del rapporto fra un credente e la propria fede religiosa. La norma dice: «Una prognosi grave o infausta può essere tenuta nascosta al malato, ma non alla famiglia. In ogni caso la volontà del paziente, liberamente espressa, deve rappresentare per il medico un elemento al quale egli ispirerà il proprio comportamento». Alcuni medici seguono la scuola dominante negli Stati Uniti secondo la quale è bene informare sufficientemente il paziente cosi da renderlo partecipe attivo, e non passivo, delle terapie alle quali è sottoposto. Molti altri medici, invece, ritengono che dinanzi a una prognosi incerta o nera un infermo sente crollare le proprie difese. Gran parte dei teologi ritengono che lo stato di malattia possa assurgere a condizione se non privilegiata, almeno disponibile, all'offerta della sofferenza in vista della salvezza ultraterrena. Altri teologi, pur condividendo questa concezione, mettono in primo piano il dovere della carità verso un infermo che impone molta delicatezza. Ma l'altra scuola ribatte che la prima carità ver! so un'anima è quella di di- sporla alla salvezza. Di questo parere è padre Domenico Grasso, che i nostri lettori conoscono bene. Grasso: «Sul piano umano, i medici sembrano d'accordo con l'opinione, e credo anche la prassi, dei medici americani di dire la verità al malato. Sia per rispetto della sua personalità, che ha diritto di conoscere il suo vero stato, sia per metterlo in condizione di collaborare con il medico alla propria guangione. Io sono d'accordo con questa opinione». E' un fatto, però, che molti malati, se non la quasi totalità, non vogliono affatto conoscere prognosi molto gravi... Grasso: «Dal punto di vista morale, credo che una persona debba avere il coraggio di guardare alla propria situazione di fronte al pericolo di morte se non con serenità, con senso di responsabilità». Questo, naturalmente, in linea di principio, padre Grasso. Vorrei domandarle come deve comportarsi un credente. Grasso: «Per un credente non c'è o, almeno, non ci dovrebbe essere problema. Un credente sa non solo di dover morire, ma che la morte per lui non è la fine, anzi è il principio di tutto, il vero tra-1 ! guardo verso cui è diretta la ! 1 sua vita». ' Anche qui, la teoria rispec- chia una ferrea logica religio- sa. Ma è molto difficile prati-1 o , o a o l n i . a i i , . e e n r r l care questa concezione, nella drammatica realtà di una malattia. Grasso: «Per un cristiano l'esistenza è partecipazione alla passione di Cristo per essere poi con lui partecipe della risurrezione. Come per Cristo, la morte non è altro che il passaggio obbligato verso la risurrezione, la vita eterna. Per questo non dovrebbe incutergli paura». La morte, però, fa paura a tutti, padre Grasso... Grasso: «La morte del cristiano non è una tragedia, ma un dramma illuminato dalla speranza, dalla certezza garantita dalla Parola di Dio, che ad essa seguirà la vera vita ». Sarò un po' brutale, padre Grasso. Lei ha o non ha paura di morire, come credente, come sacerdote, come teologo? Grasso: «Se la fede evita che la morte sia una tragedia non evita che sia un dramma: è la distruzione dell'essere. -1 a ! ' padre Grasso, sulla base della - coerenza fra fede e vita. L'uo- mo, però, per definizione è -1 debole. Anche Cristo ebbe "paura" dimorire, per mostrare a quan- ti avrebbero creduto in Lui che questa paura non deve scoraggiare. Si può aver fede e paura insieme. Però, tanticristiani non hanno affatto paura di morire». Questa è la conclusione di

Persone citate: Grasso, Lamberto Fumo

Luoghi citati: Stati Uniti