Treno per Taunton

Treno per Taunton NOTE DI DIARIO D'UN VIAGGIO INGLESE \ Treno per Taunton TAUNTON — Uscire da Lon-1 TAUNTON — Uscire da Lon dra in uno di questi vecchi sporchi sgangherati ma sempre velocissimi treni inglesi può dare ancora una volta, nell'epoca del cervello elettronico e dell'automazione, l'angoscia dell'improbabile. Nonostante le nuove città satelliti e i piani regolatori, Londra è tuttora per tanta parte un pauroso groviglio di binari di strade di case di fabbriche, dove le fabbriche sono indifferentemente gasometri o centrali termiche, raffinerie o depositi di ovomaltina, latterie o parcheggi di locomotive. Tutte sono vecchie di almeno un secolo: ma nello stesso tempo ingombranti, massicce e incrollabili, come s'addice a fabbriche alzate nell'epoca in cui ogni cosa era concepita assurdamente incrollabile. E tutto sembra ancora più aggrovigliato mescolato impastato da quest'aria vischiosa, metà fumo e metà umido, metà ispida primavera e metà dolce inverno, dove da qualche giorno o da qualche epoca mi aggiro anch'io: incapace come sempre, appena messo un piede da queste parti, di ogni determinazione. ★ ★ Ci pensa il mio treno a decidere: vecchio sporco sgangherato fulmineo, entra ed esce dalla terra, scivola tra gasometri e capannoni, babà a mezz'aria sulla marea di piccole case irte di camini, fila implacabile tra ali di folla compatta nelle stazioncine sotterranee: e mi domando come riesca a trovare sempre il giusto binario fra i grovigli di binari di comandi di scavi di semafori, a infilarsi sempre nel buco esatto fra i milioni di buchi di gallerie di sottopassaggi di volte di anfratti entro cui ad ogni istante entrano ed escono sempre a rotta di collo migliaia di treni delle infinite linee di Londra, tutti gli sgangherati velocissimi treni che almeno due volte al giorno svuotano e riempiono la grande città di dieci milioni di abitanti. Finché (ormai non Io speravo più, il treno accelera come sotto un'attrazione magnetica) i pezzetti di verde tra casa e casa cominciano a moltiplicarsi, a crescere lungo le strade, a insinuarsi sotto i ponti fra i capannoni entro i buchi delle gallerie, a unirsi lentamente fra loro come macchie di olio verde; poi, come se qualcuno avesse preso un pennello e cominciato a distendere l'olio a grandi bracciate, il verde copre le case, cancella le strade e le fabbriche, raggiunge i limiti dell'orizzonte, trabocca, invade di qua e di là dell'orizzonte tutta la terra possibile. Ed ecco lo straordinario, in questi tempi di scarsi miracoli: al di sopra dello spazio verde il cielo si alza in lunghe volte translucide; mentre la terra, divenuta cedevole e morbida, comincia lentamente a muoversi, a gonfiarsi dolcemente, a curvarsi in tutte le direzioni. Forse è solo la pianura che lentamente si solleva, si incurva in lunghe ondulazioni, si allarga in colline; ma anche l'aria, il cielo, l'orizzonte, paiono gonfiarsi curvarsi distendersi, sempre con variazioni lente, con dolcissime curve. Le case spariscono del tutto, la campagna si copre d'alberi e d'ombre di nuvole. La riconosco, ora, l'incolta e civile, l'ordinata e selvaggia campagna inglese: e subito una dolce calma rincorre come un'onda l'emozione di rivederla, l'incalza, la copre, come l'onda delle colline copre la campagna. Ben presto mi par di attraversare non una campagna ma un mare, un vasto e profondo mare verde mosso appena in superficie dall'onda lunga delle colline. Sulla cima dell'onda sempre una fila d'alberi gonfia come una cresta di spuma per rotolare lentamente giù e risalire di nuovo sul dosso della collina di fronte. Rari i paesi, per ore di treno; una sola città, e una sola fermata. Qualche macchina su lontani sentieri, asfaltati ma ripidi e stretti. Qualche casa, più o meno invisibile tra gli alberi. Solo un castello bene in vista, su una collina solitaria, tutto puntuto di piccole torri aguzze. In primo piano, pecore abbarbicate al pascolo come grossi pidocchi grigi, cavalli immobili entro recinti. A un tratto, dal dosso d'una collina, si staccano grandi figure di animali disegnate dai pastori mettendo a nudo la roccia. Immagino i pastori in circolo bruciare l'erba nella notte per disegnare le loro strane figure: quando? milla anni fa, oggi? L'onda degli alberi continua a scendere dalle colline prolungandosi a perdita d'occhio sulle curve delle siepi e degli stagni: sommerge ben presto il castello, le figure intagliate nella roccia, le pecore al pascolo. Pochi, silenziosi e felici i miei compagni di viaggio: m'accorgo quanto il loro silenzio è inglese, cioè nato dal paesaggio qui fuori, in qualche modo sempre inimmaginabile, ma anche sempre simile a se stesso; un paesaggio che non delude, ma anche, se stai attento ai contrappunti, che non sorprende. La mancanza di sorprese toglie il primo stimolo ad ogni conver-| primo stimolo ad ogni conversazione di viaggio: così alla calma ritrovata si sovrappone in tutti una soave pigrizia, una sonnolenta beatitudine. Stato veramente felice; non interrotto nemmeno dai mutamenti del tempo che continuano perenni e improvvisi ma anche owii e inevitabili, per via della piccola isola tra grandi mari in contrasto: ombre solenni e inquiete sulle colline si alternano a luci calme e distese da incanto mediterraneo; pigre nebbie a raffiche rabbiose, scaricate da cumuli in fuga. E siamo a Taunton, quasi in Cornovaglia. Piccola è Taunton e piuttosto brutta, credo. Per quel poco che riesco a vederne sotto l'acqua, mi sembra nella disposizione delle strade e degli edifici assolutamente senza fascino. Salvo la stazione, tanto per cambiare: l'antica stazione fumosa dimenticata su vecchi binari con l'aria di ferriera in disuso, i binari scavalcati da decrepite passerelle tenute su dal vento, all'uscita fiumi d'acqua nera sul selciato: subito ho sbagliato l'uscita, avrei dovuto prendere una di quelle incredibili passerelle, fin che dura il vento, Città necessaria, devo dirmi, per riacquistare un poco il senso del concreto dopo un viaggio che già mi appare come puramente immaginario. Ma ecco che per le strade percorse da un traffico intenso e allegro sotto la pioggia picchiante, incontro lenti cortei di buoi, pecore belanti e agnelli. Di nuovo sento che sto per perdere il senso del peso e devo fare uno sforzo per ricordarmi che il viaggio non è finito tra una pecora e l'altra: un autobus mi aspetta, o piuttosto una corriera vecchiotta e bonaria come quella che mi portava da piccolo in campagna. C'è gente e devo mettermi in coda, tra una folla imperturbabile come se fossimo al massima in tre. Così prendo posto, fumante di umido, nella mia cara corriera, che all'ora precisa comincia a perdere colpi e invece parte ronfando per North Curry. A North Curry, finalmente, in una campagna ridiventata immobile, piatta e nebbiosa, riesco a tenere sveglio Ben, uno di que¬ gii inglesi leggermente balbuzien-1 gli inglesi leggermente balbuzienti, con teste da uccelli, incapaci di contraddirti fin che non ne valga la pena — poche cose la valgono —, fino alle nove di sera: un'ora molto tarda qui, anche se il tramonto è finito da poco. Ora che anche lui è scomparso nella nostra casetta da nani sprofondata tra gli alberi (inghiottito, credo, non odo un rumore), io esco un momento, provo a fare un giro. Ma a questo tetro miscuglio di cupo silenzio e di quiete desolata non sono più abituato. Torno dentro, tento di mettermi a letto. La speranza di udire un alito d'aria muovere le foglie più alte degli alberi o di scoprire, chissà, un lume lontano da qualche parte, non mi fa dormire. Dalla finestra senza imposte distinguo appena nel buio il muro del giardino; sento, più che non veda, la presenza degli alberi immobili nell'umido, ma non arriva dai rami il più tenue sussurro. L'isola triste sembra più che mai respinta agli estremi confini del mondo, e solo con grande sforzo, situandomi geograficamente, riesco ancora a pensare all'Europa, all'Italia dove tutto è incerto ma non la notte, il giorno, le sere, il cielo, i muri. Nemmeno l'immancabile lamentosa voce della campagna inglese, nemmeno il sibilo di un treno lontano stasera. (Nel crepuscolo Ben ed io siamo rimasti a lungo in mezzo a un campo giallo di avena a guardare un treno illuminato che si trascinava lungo una collina lontana come un grosso bruco fosforescente. Il crepuscolo era cominciato da chissà quanto e nella continua successione di toni grigi nel cielo e sui campi pareva non voler più finire; più tardi l'aria era verde bottiglia, poco per volta noi si calava sul fondo d'una bella bottiglia di vetro verde. Da 11 era nata la lunga sera viola e grigia, e prima ancora di accorgersi che stava arrivando la notte North Curry si era addormentata). Il mio letto ha un baldacchino polveroso sostenuto da colonnine di legno lavorato a spira¬ le. Ritratti di non so quale Re- le. Ritratti di non so quale Regina alle pareti, tra stoffe ricamate di incoraggianti motti religiosi: Lord is waiting for me quickly - Il Signore Iddio mi aspetta presto. Cacciarsi a letto. Louise, la moglie di Ben, mi diceva questa sera di un mendicante, o meglio di un tale senza casa che viene a dormire, quasi ogni notte, qui nel « cottage ». Nessuno chiude la porta di casa, e cosi l'ospite entra alla sera tardi ed esce senza far rumore prima del mattino. Al mattino si capisce che c'è stato solo da qualche piccolo segno: lievi impronte sui cuscini del divano, una sedia spostata, nient'altro. Potrebbe essere anche un animale, forse un uccello: dopo qualche mattina, diceva Louise, mi sono abituata a cancellare le sue orme, cosi come sbrigo tante care necessità. Finirò col meravigliarmi, diceva, se una mattina non troverò più le impronte sui cuscini, le sedie spostate. Chissà se viene anche stasera, mi dico rivoltandomi nel letto, con questo buio: lascerò accesa la lampada sul tavolino, forse può aiutarlo a trovare la strada. Il mio immenso letto è freddo e umido. Ben mi aveva offerto la sua radio per farmi un po' di compagnia, ma immagino che anche lui la ascolti la sera e non ho osato accettare. Forse questa sera, che gli ho fatto fare cosi tardi, lui dorme, con accanto la sua pallida moglie dagli zigomi arancione. O forse no, chissà, starà ascoltando la radio. Ha dei fruscii, certo, dei ronzii, la piccola radio: è una trappola da quattro soldi, in Italia l'avremmo già fatta volare dalla finestra. Ronzii e fruscii, forse, come questi che ora mi pare d'udire: lievi, ma precisi, persistenti ronzii. Dei rumori in una notte come questa? Dev'essere l'ospite; la bestia o l'uccello. Balzo dal letto, mi avvicino alla finestra. Farfalle; farfalle notturne, come da noi, come in campagna da noi. Le ha liberate dal buio la mia lampada lasciata accesa, e ora i palpiti lievi delle loro ali, i loro urti leggeri contro i vetri malfermi, vengono finalmente in aiuto alla mia paura. Paolo Barbaro

Persone citate: Curry, Paolo Barbaro

Luoghi citati: Europa, Italia, Londra