Onestà e libertà di Nicola Adelfi
Onestà e libertà Onestà e libertà (Segue dalla V pagina) dei partiti intermedi, restino a fronteggiarsi sulla scena politica solo i democristiani e i comunisti. In un primo momento essi si dividerebbero bonariamente la torta, ma prima o poi dovrebbero giocarsi il potere, tutto il potere, a braccio di ferro». E questa fu la risposta di Pertini: «Sono conti fatti senza l'oste. Io sono convinto che ci sarà sempre un forte partito socialista. Renan diceva che il cristianesimo vive nel cuore della gente nonostante i preti. Lo stesso è per il socialismo: nonostante i suoi dirigenti, vive nel cuore degli italiani. E' un anelito spontaneo, direi un anelito profondo e insopprimibile incontro alla libertà e alla giustizia sociale». Sarà dunque la presenza socialista, secondo Pertini, a impedire che si arrivi a quella che anni fa veniva chiamata «la Repubblica conciliare» e che più tardi prese il nome di «compromesso storico». Per Pertini la democrazia non significa rilassatezza. Aperto al confronto delle idee e al dialogo con chiunque, anche con i fascisti, non tollera atti di scorrettezza. Quando era presidente della Camera, era capace con i suoi scatti elettrici di mettere a tacere chicchessia, se si accorgeva che commettesse abusi. In una delicata vicenda si fece dare la lettera di dimissioni di un suo collaboratore vicinissimo in 24 ore. Poiché non permetteva che l'on. Pajetta interrompesse gli oratori in aula a getto continuo, dal deputato comunista durante un dibattito Pertini si sentì dire: «Se tu non mi permetti di fare almeno un'interruzione per seduta, io qui scoppio. Ti prego, Sandro: almeno una, una sola». In qualsiasi circostanza, anche nelle più scabrose o cariche di pericoli, Pertini riesce a mantenere una sua naturale dignità. Vediamolo con le sue stesse parole a Savona, ammanettato, mentre stanno per trasferirlo al confino di Ventotene: «Fui portato alla stazione dalla scorta speciale: un maresciallo, un brigadiere, due carabinieri. Sul marciapiede un gruppo di facchini mi attendeva. Si levarono il cappello e, tenendolo in mano, mi si avvicinarono in silenzio. I passeggeri, che aspettavano il Ventimiglia-Cenova, si voltarono e tacquero di colpo. Qualcuno si tolse il cappello, qualcuno salutò con la mano. Il più anziano dei facchini mi prese la valigia. "Ci penso io, Sandro", disse in dialetto. Arriva il treno, due facchini mi aiutano a salire. Mi volto: gli altri sono sempre col berretto in mano, fermi sul marciapiede, muti». Durante l'occupazione tedesca Pertini e Saragat vennero a trovarsi nello stesso «braccio» di Regina Coeli, quello custodito dai tedeschi. Dice Saragat: «La cosa di lui che in quell'occasione mi colpì maggiormente fu l'autorità che fulmineamente Pertini acquistò nei confronti degli altri detenuti e un pochino anche nei confronti degli aguzzini. Da che cosa derivava quell'autorità? Da un complesso di cose apparentemente piccole ma in realtà grandi che rivelavano con un linguaggio inconfondibile il sangue freddo, la generosità, il coraggio. Pertini si comportava in carcere come se si fosse trovato in casa propria nel periodo più sereno della sua esistenza. Prima di tutto curava l'abbigliamento e il decoro della persona. Chiese e ottenne subito l'abito del galeotto, sbarazzandosi di quello civile proprio come un pacifico cittadino che, giunto a casa, butta via la giacca e si mette in vestaglia (...). Tra gente preoccupata e ansiosa della propria sorte, quel curare i piccoli particolari della vita quotidiana, come se la vita fosse al riparo da ogni pericolo, aveva un effetto morale enorme. Era un modo per infondere coraggio proprio come fanno i medici che all'ammalato si mostrano col volto sereno. In questo caso il medico era un condannaio a morte anche lui». Nicola Adelfi
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