Onestà e libertà di giudizio nel socialismo di Pertini di Nicola Adelfi

Onestà e libertà di giudizio nel socialismo di Pertini Onestà e libertà di giudizio nel socialismo di Pertini Sandro Pertini trascorre tuttora buona parte della giornata a Montecitorio, precisamente come faceva negli anni in cui era il presidente della Camera. In pratica conosce tutti, e con molti s'intrattiene a discorrere di cose private o pubbliche; lo fa anche con gli uscieri, anche con i cuochi addetti al self-service.1 Una delle sue prime tappe è il tabaccaio dove va ogni mattina a rifornirsi per la pipa. Ieri mattina, 29 giugno, verso le 10 si adunò intorno a lui una considerevole folla di deputati, senatori, giornalisti, dipendenti della Camera: e tutti gli gridavano con spontaneo affetto «Viva il Presidente». La manifestazione si protrasse per minuti. Curiosamente in quel grido augurale erano uniti insieme comunisti e democristiani, liberali e gente senza tessera di partito. I più I tiepidi erano i socialisti. E si capisce: Pertini non condivide gli atteggiamenti guizzanti a destra e a sinistra dell'attuale direzione socialista. I titoli di merito che Pertini preferisce vedersi attribuire sono l'integrità morale e l'indipendenza di giudizio. Gli sono co- stati molto nei sessant'anni d'i scrizione al partito socialista: otto anni di carcere e otto di confino, sei condanne penali, di cui una a morte per decisione dei nazisti, due evasioni. E poi anni di esilio in Francia._Nel 1928 si faceva chiamare Jean Gauvin e lavorava a Nizza, braccato dagli agenti segreti della polizia fascista. Aveva allora 52 anni, e le fotografie ce lo mostrano molto rassomigliante a come è ora che ne ha 82: un uomo magro e pallido, la fronte al ta, quasi calvo. Lui di famiglia borghese e avvocato di professione, a Nizza per campare lavava di notte le automobili in un garage oppure faceva il manovale muratore o l'imbianchino. Qualche anno fa, una volta che si parlava dell'Italia povera con le sue moltitudini di disoccupati, di vecchi con pensioni di fame, di senzatetto, di contadini meridionali e di pastori della Barbagia, Pertini ebbe a dire: «Io so che cosa vuol dire la povertà. Per l'appunto a Nizza passavo giornate intere sostenendomi solo con un cappuccino. Ma anche quando ricevevo un salario, dovevo stare sempre attento: se mi compravo una maglia di lana, mi toccava poi rinunciare alla cena per diverse sere oppure all'acquisto di un paio di scarpe, sebbene ne avessi un bisogno urgente. E chi vive così, crede lei che si contenti di sentir parlare di libertà o degli indici statistici che documentano i progressi compiuti dall'economia italiana negli ultimi decenni?». Dunque per Pertini una democrazia è rispettabile solo se s'impegna in ogni suo giorno a ridurre le frange della povertà. Naturalmente non è tutto qui il socialismo di Pertini. Egli ricorda che nel 1926 Filippo Turati, che era considerato la coscienza più alta del socialismo europeo, venne persuaso a prendere la via dell'esilio. La fuga avvenne da Savona a Calvi nella Corsica: a bordo erano Pertini, Carlo Rosselli, Parri e Oxilia. A Calvi, quando gli altri ripresero la via del ritorno verso l'Italia, Turati e Pertini salirono su una collina, la «cittadella» e parlarono anche dell'Italia come sarebbe stata dopo la caduta del fascismo. Turati non aveva dubbi: dopo il fascismo, il nostro Paese sarebbe diventato veramente socialista e veramente democratico, libero e senza ingiustizie sociali, un Paese dove i lavoratori avrebbero avuto la parte di protagonisti nell'evoluzione della società. Pertini non ha mai dimenticato la lezione socialista di Turati, e ritiene che le idee e i sentimenti del suo maestro furono le stesse che animarono la lotta contro il fascismo da parte di socialisti, comunisti, cattolici, azionisti, liberali di sinistra. E fu da quella matrice che poi nacque la Resistenza. Ma lui, Pertini, non è deluso per il modo come sono andate le cose in Italia dal 1945 a oggi? Niente affatto. Lo disse in un'intervista: «Se mi metto in [una posizione distaccata, fuori del tumulto quotidiano, a me sembra che gli italiani hanno portato avanti i contenuti essenziali dell'antifascismo e della Resistenza. Complessivamente sono diventati democratici più maturi e più consapevoli». E Pertini aggiunse: «// motivo fondamentale della recente storia italiana è l'antifascismo. Quella è la corrente della storia che ci spinge verso il futuro. E le acque dei fiumi non tornano mai indietro. Talora, come avviene per i fiumi carsici, lo spirito democratico scompare sotto il cumulo di malumori, disordini e stupidità, ma viene sempre il momento in cui torna alla superficie». Per Pertini la democrazia e il socialismo, se intesi rettamente, sono inseparabili, allo stesso modo come lo sono gli ideali di giustizia e di libertà. Se si sopprime uno dei due elementi, anche l'altro muore. Non mancano gli esempi storici all'Est come all'Ovest. Anche in Italia il socialismo ha avuto una vita stentata perché la democrazia non ha trovato il modo di espandersi compiutamente, privilegiando i ricchi e dimenticandosi dei poveri. Però l'avvenire gli appartiene. Questa di Pertini è una convinzione che rasenta la fede. In un'occasione gli dissi: «Sempre più si diffonde il sospetto che col progressivo indebolimento Nicola Adelfi (Continua a pagina 2 in seconda colonna) Sandro Pertini