Ieri bandiere al vento le scelte sono altrove di Vittorio Gorresio
Ieri bandiere al vento le scelte sono altrove Ieri bandiere al vento le scelte sono altrove Giovedì 29 giugno, santi Pietro e Paolo — Bandiere al vento: oggi si vota per i cosiddetti candidati di bandiera, che è un'espressione nuova nel nostro linguaggio elettorale, e che un poco fa ridere. In aeronautica ci sono le compagnie di bandiera, e per esse si intendono quelle numero uno in ogni singola nazione, e che pertanto rappresentano qualcosa di effettivo. In marina si conosce l'aiutante di bandiera di un ammiraglio, ed egli ha le funzioni che negli eserciti di terra hanno gli alutanti di campo, le quali anch'esse sono concrete. Ma in politica? In politica si parla di un valore simbolico esemplare: sono di bandiera per ciascun partito i candidati che non hanno possibilità di riuscita, ma per i quali si vota al solo scopo di indicare che essi sarebbero un ideale che è purtroppo impossibile realizzare. E' come dire, per esempio, che Guido Gonella sarebbe ('optimum al quale pensano i democristiani; che Giorgio Amendola colmerebbe le speranze dei comunisti, Pietro Nenni quelle dei socialisti, e così via. Presentandoli «di bandiera», tuttavia, è già additarli come impossibili: ciò che mi pare presupponga ed implichi da parte dei milledieci grandi elettori della Repubblica una dichiarazione di sfiducia nel sistema di cui essi peraltro sono volonterosi fautori e irremissibili custodi. Di qui, per conseguenza, l'accento falso di questa prima giornata di votazioni; di qui una certa sgradevolissima atmosfera di frivolezza, ieri nel Transatlantico di Montecitorio. «Per chi ha votato?», andavo domandando all'uno e all'altro dei parlamentatori miei amici. «Naturalmente, per Umberto di Savoia», rispondeva il senatore Artieri di Democrazia nazionale, già battagliero deputato monarchico nei tempi di una volta. «E tu?». «Tutti noi quattro per Camilla Cederna, non fosse altro che per ricordare che a lei dobbiamo se qui stiamo oggi riuniti», risponde allegro Marco Pannella. «E tu?». «Per Bettiza: è un amico che ci terrebbe molto ad avere almeno tre voti al primo giro di scrutinio. Il mio lo ha avuto, lui si sarà dato il secondo, e speriamo in un terzo che non è impossibile». Questo è per dire che dal primo scrutinio non ci è venuto un responso improntato a molta serietà. Si scherzava, ridendo, nel Transatlantico, come se la convocazione delle Camere riunite fosse ntent'altro che un gioco. Dalle altre tornate presidenziali ho ricordi diversi. Anche allora si avevano voti a favore di Gina Lollobrigida; la prima volta, quando fu eletto Enrico De Nicola, ci fu un massiccio pronunciamento dei qualunquisti sul nome di una loro deputata di Caltagirone in Sicilia, Ottavia Penna nata baronessina Buscemi: «L'abbiamo scelta — disse Guglielmo Giannini fondatore dell'U.Q. — per opporla alla tirannide degli arbitri della cosiddetta democrazia, per esprimere la condanna di un mondo politico incancre-. nito». Qualunquismo anche oggi? Anche oggi la massa dei grandi elettori sa benissimo che i giochi non si fanno nell'aula e nemmeno nel salone dei passi perduti di Montecitorio; e quindi prende un atteggiamento forzatamente disincantato, quasi come a compenso di una frustrazione che riuscirebbe desolante. Ne ho avuto l'impressione, o addirittura la sensazione fisica quando verso le sei del pomeriggio l'onorevole Enrico Berlinguer è uscito lesto dalla porta di destra dell'aula e facendosi piccolo è sgusciato in Transatlantico allontanandosi in fretta per il corridoio Est a lato del giardino interno, inafferrabile per i giornalisti. «Va a concordare il Presidente fuori di qua», si diceva nei crocchi degli elettori e degli osservatori rassegnati, più che delusi. Tutti sanno difatti che il Presidente alla fine lo fanno quattro o cinque persone, autentici oligarchi del sistema. «E se a uno gli viene un'emicrania sul punto di decidere?». «E se la moglie la mattina gli ha fatto una scenata?». Avverto che commenti di questo genere erano quelli dei grandi elettori; noialtri giornalisti, osservatori, piuttosto tacevamo. Faceva caldo, nel Transatlantico, si passeggiava nel giardino interno, ci si affacciava alla soglia del palazzo. Vedevamo una piccola folla di curiosi attorno all'obelisco sulla piazza; c'era un gruppetto di una ventina di persone che inalberavano bandiere con lo scudo sabaudo al centro della fascia bianca. Gridavano «Viva il re» pateticamente, alzavano un cartello con su scritto: «La monarchia è meglio». Era anche questa una proposta impossibile, e quindi l'aria, dentro e fuori Montecitorio, continuava a spirare vana e deludente. Quando, in politica, cominceremo a fare sul serio? Forse domani o dopodomani, esclusi i candidati di bandiera. Vittorio Gorresio
Luoghi citati: Caltagirone, Sicilia
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