È fermato l'esodo dai campi di Ennio Caretto

È fermato l'esodo dai campi NELLA CINA DEL DOPO MAO E COMINCIATA LA SECONDA LUNGA MARCIA È fermato l'esodo dai campi Soltanto ai giovani dotati e di sicura fede comunista è concesso trasferirsi in città - Visita ad una "comune" modello - Una famiglia con tre persone al lavoro percepisce 500 yuan; un operaio da solo, 750 yuan DI RITORNO DALLA CINA — La compagna Huan Shu-hie è vicepresidente del Comitato Rivoluzionario Popolare, l'organo esecutivo della comune-modello «Sempreverde» di Pechino. E' una donna minuta, energica, sui 50 anni, sposata e madre di due figli, con le idee e i modi del manager e un'astuzia tutta contadina. Nata da una famiglia di stagionali, si è «alfabetizzata, ventenne, in otto mesi», e dal 58 è stata eletta ogni anno nell'amministrazione, passando indenne dal «grande balzo in avanti» alle guardie rosse e allo scontro con la «banda di Shanghai». Travolge gli ospiti con raffiche di dati, citazioni di Mao — talora illuminanti più per quanto omesso che per quanto menzionato — e progressi socialisti. La comune-modello «Sempreverde» produce cereali, verdura e frutta ed è divisa, come ogni altra, in brigate, suddivise a loro volta in squadre di un centinaio di persone l'una. Le sue attività collaterali comprendono l'al¬ levamento del bestiame, innanzitutto maiali («ciascuno di essi è un'unità produttiva di fertilizzanti organici»), anatre per i 700 ristoranti di Pechino e vacche, poiché in Cina può scarseggiare il latte. La comune possiede inoltre una fabbrica di macchinari agrìcoli, quattro industrie di lavorazione dei pròprii prodotti, un laboratorio tecnico-scientifico, numerosi cantieri edili e officine meccaniche. Huan Shu-hie proclama con orgoglio che la comune-modello «Sempreverde» è paragonabile a un mini-Stato ed è quasi autonoma (noi diremmo autarchica); le sue 10 mila famiglie dispongono di 60 asili, 18 elementari, 7 medie, e un istituto parauniversitario, il «Corso 7 maggio», nato per la rieducazione politica dei «revisionisti» di Pechino, ma che oggi sforna agronomi. I gioielli della comune sono il policlinico coi suoi 14 ambulatori, la stazione radio e lo studio cinematografico che gira filmdocumentari. «Ci manca soltanto un'industria chimi- ca», dichiara il vicepresidente. «Non tessile? Non un mobilificio?». Sorride: «I vestiti da noi li fanno le donne, i mobili gli uomini». Huan Shu-hie è soddisfatta del tenore di vita dei suoi amministrati. Una famiglia in cui lavorino due o tre persone (ed è la norma) percepisce intorno ai 500 yuan annui, 250 mila lire. «E' molto meno del salario medio di un singolo operaio, 750 yuan» ammette. «Ma i nostri contadini guadagnano qualcosa anche dai loro modesti appezzamenti privati e non hanno spese né di vitto né di alloggio: esse vanno a nostro carico. In pratica sono privilegiati rispetto agli abitanti di Pechino: possono accumulare risparmi e costruirsi nuove case». La giornata lavorativa è di circa 10 ore, c'è un riposo regolare, le ferie sono di una settimana, ma non continuata. La pensione arriva a 60-65 anni. Il vicepresidente precisa che dall'atto della costituzione il bilancio è sempre stato in attivo. «Nel '77 abbiamo prodotto per oltre 38 milioni di yuan. Abbiamo pagato il 5-6 per cento in tasse, il 3-4 per cento in assistenza sociale, e abbiamo riinvestito il 30 per cento. Il resto è andato ai contadini». Il lavoro viene compensato secondo il merito, e ciò promuove l'emulazione non solo nei campi e nelle fabbriche ma anche nello studio. Come tutte, la comune ha sofferto dei disordini causati prima da Lin Piao e poi dalla «banda dei quattro», ma l'attuale conduzione è serena. Abbiamo visitato la comune. Nella scuola, i bambini, lindi, ben nutriti, sorridenti, ci hanno dato il benvenuto in inglese: «Work is beautiful» (è bello lavorare) leggevano sui libri. Negli ambulatori, i «medici scalzi», giovanissimi infermieri che aspirano a diventare medici, ci hanno mostrato le erbe medicinali che raccolgono e coltivano, gli aghi con cui curano le malattie più diffuse, dall'influenza ai reumatismi. Numerose famiglie ci hanno accolto nelle loro case, con gli enormi letti a stufa dì mattone e la carta di riso alle finestre. Dovunque, i ritratti di Mao Tse-tung e Hua Kuo-feng, e slogan rivoluzionari con l'impegno a «produrre di più nei prossimi 10 anni che negli ultimi 28». Della terra, colpisce soprattutto lo sfruttamento intensivo e l'ordine delle coltivazioni. Contadini per eccellenza, i cinesi usano ogni zolla, curano ogni pianta. Le serre, anche le più rudimentali, coi terrapieni contro il vento, sono colme all'inverosimile. L'operosità è costante, ma non ossessiva, la povertà dignitosa, non sofferta. Huan Shu-hie ci ha congedato con un concerto dell'orchestra di una fabbrica. Alcuni giovanotti suonavano il violino a due corde, l'organo a bocca e la cetra elettrica, mentre una ragazzina bruna cantava Ho sognato di andare a Tien An Men (la grande piazza di Pechino), Il Monte di Jao Cheng (dove è nato il presidente Hua) e La comune è un ponte d'oro per il paradiso. Grano dagli Usa L'impressione che si ricava dalle visite della comune-modello «Sempreverde» e delle altre aperte agli stranieri (ne abbiamo vista una seconda dello stesso nome a Hangchow, dove si coltiva specialmente il tè) è in contrasto col quadro generale dell'agricoltura tracciato dalla elusività delle statistiche, dalle polemiche all'interno del partito e dalle campagne di stampa. Ma sarebbe ingiusto liquidare queste visite come uno spettacolo, una strumentalizzazione, e dedurne che la realtà nascosta è fallimentare, o negativa. I tre quarti circa dei 900 milioni di cinesi vivono nelle zone rurali, la stragrande maggioranza in una delle 50 mila comuni, ed essi sono la forza del Paese. Quest'anno, per la prima volta dal '74, la Cina ha dovuto acquistare cereali dall'America. Non è stato solo un effetto del maltempo. Il raccolto ha anche risentito della carenza e pessima distribuzione dei fertilizzanti, nonostante l'aiuto prestato dall'esercito alle fabbriche chimiche e alle comuni, e delle disfunzioni dei Comitati di partito, tornati alla pienezza del potere, e dei comitati rivoluzionari, talora impreparati ai loro compiti esecutivi. Hanno avuto altresì un certo peso i contrasti sugli stipendi e sui salari, sia per la sperequazione a danno delle donne (che pure piantano il riso meglio degli uomini) sia per la rinviata partecipazione agli utili aziendali. In qualche caso, s'è acuito il divario tra interesse privato e interesse collettivo. La prefettura di Hunan ha lamentato «la caduta dello spirito socialista nei quadri e nelle masse» in seguito a errori di gestione dei più alti funzionari; più aspramente, quella di Fukien ha accusato una «squadra» di aver sottratto concime alla comune per i suoi appezzamenti. Lo stesso Hua Kuo-feng ha insistito sulla necessità di «superare la tendenza spontanea al capitalismo» e di «inculcare la democrazia nel matrimonio tra zelo e produzione» presso i contadini. Egli ha lamentato soprattutto il fatto che si trascurino i cereali a favore delle verdure o altre culture assai più redditizie. Rivolti a Ovest Ma l'agricoltura, al pari dell'industria, ha compiuto quest'anno anche notevoli progressi. Sono state conquistate terre vergini che aumenteranno del 20 per cento la superfìcie coltivabile, e l'irrigazione è salita del 50 per cento. Si prevede che il numero dei trattori raddoppi per il 1980 (la Cina è ansiosa di concludere contratti per forniture con l'Occidente, compresa la Fiat), anche se la meccanizzazione rimarrà a lungo un punto debole. E gli obiettivi del 1985 sono confortanti: una crescita annua della produzione del 4-5 per cento, 400 milioni di tonnellate di cereali contro i 190 attuali, il controllo delle nascite, la scuola d'obbligo, ossia decennale, redditi sicuri e costanti. Esistono i presupposti per una «rivoluzione agricola», specialmente da quando il governo ha incominciato a pagare prezzi più elevati per taluni beni e a ridurre quelli delle materie prime e dei macchinari; ha smesso di ostacolare i mercatini liberi; ha richiamato nelle città molti degli intellettuali al confino che costituivano mo¬ tivo di agitazioni o scontento. L'esempio di Tachtai, la comune-primato della Cina, non pare più inimitabile; e le esortazioni di Teng Hsiao-ping, che ha preso da Ciu En-lal la bandiera della «seconda lunga marcia», Berso il 2000, trovano eco nei giovani. La minaccia dell'esodo dai campi, concreta sotto la «banda di Shanghai», s'è allontanata. Nella storia cinese più recente, l'agricoltura riveste un ruolo particolare. Essa non è, come si pensa spesso, la vittima del piano; lascia più spazio all'iniziativa individuale che non l'industria. Le «squadre» — suddivisioni delle brigate — agiscono con uno spirito imprenditoriale, in lotta con il fisco, e in concorrenza ciascuna con l'altra. Esse tendono a interpretare in senso privatistico la massima di Mao: «Scavate gallerie profonde, immagazzinate il grano ovunque e non rincorrete mai l'egemonia». Al tempo stesso, poiché sono pagate anche in «punti», cioè in specie di quote dell'utile collettivo, s'impegnano duramente, per poterli riscuotere, come vuole la norma, due volte all'anno. I limiti di libertà, strutturali ed economici dei contadini cinesi restano gravissimi. Essi non hanno modo di staccarsi dai loro campi, a meno che siano giovani dotati e di sicura fede comunista; scarseggiano di mezzi di trasporto, dalle strade ai veicoli; non di rado, si trovano al livello della più semplice sussistenza. E tuttavia, si nota un cambiamento. Questo è l'anno che la Cina si sta aprendo a idee nuove, alla scienza e alla tecnologia, agli stranieri, e l'apertura arriva sino alle comuni. Ennio Caretto »riirj^ ii ■ ■* i ■ mmmm Si suona e canta: « La comune è un ponte d'oro »