A Trieste vince la lista civica ma non conquista il Municipio di Alfredo Venturi

A Trieste vince la lista civica ma non conquista il Municipio Difficili prospettive dopo le elezioni comunali A Trieste vince la lista civica ma non conquista il Municipio Ha ottenuto 18 seggi su 60 e non potrà governare da sola - Sembra esclusa una alleanza con la de - Possibile, come ipotesi, una maggioranza a cinque di tipo nazionale (dalla de al pei) dal nostro inviato speciale TRIESTE — La rivolta contro Osimo e contro Roma ha dunque trionfato: i risultati delle elezioni municipali triestine confermano le indicazioni già emerse sin da quando si è visto come la città aveva votato per le regionali. La lista civica « Per Trieste » è balzata al primo posto fra le forze politiche cittadine, superando i 52 mila voti e il 27,5 per cento, e assicurandosi 18 dei 60 seggi disponibili nel Consiglio comunale. La botta è stata durissima per tutti. Per la de, sbalzata da un primato locale ormai storico, che pareva al riparo da simili rischi, scesa ad un 26 per cento inimmaginabile da queste parti, passata da 22 a 17 consiglieri. Per il pei, ridotto ad un mortificante 18,7 per cento, colpito non soltanto nel suo elettorato più recentemente acquisito, quella borghesia berlingueriana che ha già dimostrato altrove il carattere fluttuante della sua scelta, ma anche nel proletariato industriale. Per il psi, che si vede dimezzata la rappresentanza consiliare, due seggi invece di quattro, e dimezzata la quota elettorale, 3,8 per cento contro il 6,5-8 delle consultazioni precedenti. Per i partiti minori, che escono da questa prova con le ossa rotte: i liberali avevano quattro seggi, li perdono tutti; il psdi e il pri passano rispettivamente da 4 e 3 a un solo seggio. Per i missini, che perdono la metà degli otto consiglieri uscenti e scendono largamente al di sotto di quel 10 per cento che ne faceva, qui a Trieste, il terzo partito. Sola forza vincente, accanto agli autonomisti «Per Trieste», i radicali, che superano 11 6 per cento e conquistano tre seggi consiliari. Invariata la rappresentanza dell'Unione Slovena e degli indipendentisti, un consigliere per l'una'e per gli altri, ma con lieve tendenza al ribasso. Restano poi fuori dal Consiglio comunale le due formazioni di estrema sinistra, pdup e dp, e i dissidenti missini di democrazia nazionale. Sono risultati per i quali si sprecano aggettivi: sorprendenti, clamorosi, sconvolgenti. La prima considerazione da farsi è che essi rendono la città ingovernabile. Non c'è nessuna maggioranza possibile sulla carta, se non una alleanza di tipo nazionale fra i cinque partiti che sorreggono il governo Andreotti. Ma una alleanza di questo tipo, che del resto non avrebbe che tre voti oltre la metà, piace soltanto ai comunisti. Non è pensabile del resto che la de, dopo aver condotto la campagna elettorale additando agli elettori il rischio di un sorpasso da parte comunista in caso di successo degli autonomisti (sorpasso che non c'è stato, come si è visto, perché la lista del «melone» ha colpito da tutte le parti, compresa la comunista), possa mettersi d'accordo proprio con il suo spauracchio propagandistico. Il segretario provinciale de. Da rio Rinaldi, dice che il suo partito è «pronto ad accettare il ruolo di oppositore». Ma oppositore contro chi? Nonostante la vittoria, i «meloni» non hanno forza sufficiente per amministrare Trieste: anche alleandosi con i radicali non disporrebbero che di 21 seggi su 60. Le ipotesi che si fanno sono due: lo sfaldamento del gruppo consiliare degli auto¬ nomisti, che con le sue disparate provenienze potrebbe arricchire altri gruppi: ma si obietta che un successo come questo dovrebbe favorire piuttosto la compattezza. Seconda ipotesi: una gestione di routine, poi il commissario e nuove elezioni, con i partiti alla riscossa nel segno di attuazione corretta e concordata delle clausole economiche di Osimo, e di un rinnovato interesse di Roma al problema triestino. Si esclude, invece, ogni possibilità di accordo fra de e autonomisti. A meno che questi ultimi non rinuncino al proprio programma (autonomia, zona franca integrale): ma chi può rinunciare ad un programma che 52 mila elettori su 196 mila hanno fatto proprio? Adesso si discute se la protesta di Trieste sia veramente diretta contro il trattato di Osimo o non abbia, piuttosto, il suo bersaglio nei partiti in quanto tali. I comunisti dicono, come il segretario regionale Antonino Cuffaro, che è venuto «il tempo della riflessione». Quel che è certo è che Trieste è entrata, con questo voto, in una crisi politica che riflette la crisi psicologica di una città che invecchia, fra malumori e frustrazioni, in un preoccupante grigiore di prospettive. Se è vero che il problema di una città come Trieste non è nemmeno lontanamente paragonabile al problema di una città come Napoli, è anche vero che approssimazioni e insufficienze di metodo e di sostanza, come nel caso del trattato di Osimo, hanno ancor più offuscato, da queste parti, l'immagine di uno Stato che non attraversa certamente, di per sé, un momento di particolare fascino. Il problema politico numero uno di Trieste, dice il de Rinaldi, è riassorbire questa protesta nei canali tradizionali. Ma ci vorrà tempo, e Trieste molto tempo da perdere non ce l'ha proprio. Alfredo Venturi

Persone citate: Andreotti, Antonino Cuffaro, Rinaldi