Un po'di disgelo in Cina

Un po'di disgelo in Cina IN CORSO LA SECONDA "LUNGA MARCIA,, Un po'di disgelo in Cina DI RITORNO DALLA CINA — Da alcune settimane, tiene cartello al Teatro di Hangchovo una delle commedie tornate in auge dopo «la grande rivoluzione proletaria culturale», Le quindici collane. Messo al bando dalla «cricca di Shanghai», questo classico dell'opera kunku, tratto dalle esperienze personali di un mandarino dell'epoca dei Ming, è oggi al centro di un acceso dibattito sul ruolo e sulla libertà dell'arte. La commedia narra la battaglia sostenuta da un giudice probo contro la lettera ma secondo lo spirito della legge, nell'indifferenza dei potenti, per salvare due giovani ingiustamente condannati a morte. La battaglia è vittoriosa e si conclude con un'aspra critica del «burocratismo» e dell'ossequio al regime, fonti di distinzioni di classe e causa d'oppressione. Abbiamo assistito a Le quindici collane una calda sera di primavera. La superba scenografia stilizzata contrastava con la ricchezza dei costumi fatti a mano e la minuziosità della ricostruzione storica. Gli attori erano sicuri e caricaturali, i «cattivi» coi tratti preminenti del volto verniciati di bianco, come si vuole in Ci- na. Il pubblico, vestito modestamente, con le giacchette e i calzoni che ingrigiscono anche le giovani più belle, impreparato alla difficoltà del linguaggio, seguiva le scene leggendo ideogrammi più elementari su di un grosso schermo. Mangiava e rumoreggiava, i bambini in testa, ora ridendo ora protestando, sempre con commenti a voce altissima. La sua partecipazione era di un'intensità sconosciuta in Occidente. Salutò la fine con un uragano di applausi. Nella Cina socialista, le alterne vicende de Le quindici collane sono state e rimangono emblematiche delle lotte di potere e dei diversi orientamenti del partito. Riadattata dopo la sconfitta di Chiang Khai-shek e del Kuomintang, la commedia incontrò subito i favori del Presidente Mao. Erano gli anni della repressione dei piccoli proprietari e «altri controrivoluzionari», e molti comunisti peccavano di zelo. «Il grande timoniere» volle che la si rappresentasse in tutto il Paese, affinché i quadri «imparassero a non commettere ingiustizie», e che se ne facesse un film, perché il popolo «capisse che cos'è il buon governo». La commedia scomparve dai teatri e dai cinematografi nel '66, quando le guardie rosse la giudicarono della «linea nera», cioè revisionista. Oggi, il ritorno de Le quindici collane alle scene e agli schermi sembra un preannuncio dì disgelo. La campagna in corso contro «il dispotismo culturale» della «banda dei quattro» la riveste di significati che forse non possiede. Mentre raggiunge il parossismo la denuncia della moglie di Mao, Chiang Ching, le cui dieci opere-modello risultano ora «fasciste», si discute quali leaders si nascondano dietro i «cattivi» e gli indifferenti, e se il buon giudice non sia il defunto Ciu En-lai. L'ottimismo trae spunto anche dal ritorno dei registi e degli attori in cui s'era identificata, 20-25 anni fa, la «primavera». Sottratti all'esilio del lavoro manuale, o semplicemente all'ostracismo, sono un elemento certo di successo e dì riesame storico. Il disgelo culturale, in realtà, esercita sulla Cina di Hua Kuo-feng e di Teng Hsiao-ping poco più che un fascino discreto. Dopo i 10-12 anni di censura e dì persecuzione fi giornali hanno parlato di «imprigionamenti e morti» di numerosi intellettuali) s'avverte sul mondo dell'arte una sorta d'afflato liberatorio. Dagli scrittori ai musicisti, la stragrande maggioranza pare aver ritrovato il gusto della creazione e del lavoro. Il pùbblico affolla nuovamente i teatri e i cinema, dove i biglietti vengono venduti anche ai privati e non soltanto più ai «collettivi», e soprattutto le gallerie e le librerie, un tempo spoglie, e adesso ricche di opere pittoriche estratte dagli scantinati e dai solai e di libri rimasti a lungo nascosti nei cassetti. Al di là di questo afflato, tuttavia, le conquiste concrete di libertà si dimostrano modeste. Sono la riabilitazione e in qualche misura il ripristino dei privilegi dei letterati e degli artisti; il riconoscimento delle virtù etniche e linguistiche regionali; l'apertura ai capolavori stranieri «compatibili ideologicamente» con la Cina socialista. Si riducono all'asserzione di Teng Hsiao-ping che l'intellettuale «deve essere libero di dedicarsi alla sua professione sette giorni su sette», o all'invito dell'Accademia «a scrivere di fantascienza per insegnare ai giovani il mondo di domani». Vengono esemplificate dal «Festival di primavera» per la musica a Shanghai e dalla «Mostra nazionale dell'artigianato» di Pechino, nonché dal rilancio di film come II dottor Bethune. I limiti restano rigidi. Hua li riassume nella formula «realismo più romanticismo socialista», precisando che intende con ciò la glorificazione dei «tre grandi movimenti rivoluzionari» — contro il Giappone, contro il Kuomintang, contro Lin Piao e «la cricca di Shanghai». Si rivolge in particolare alla radio, la stampa e la televisione perché propaghino «la linea corretta del partito», e ribadisce «l'obbligo universale» dello studio del marxismo-leninismo. Dal preannuncio di disgelo vengono escluse così aree importanti della vita culturale. Fantapolitica Nel rilassarsi della sorveglianza, prende vigore il samizdat, l'arte clandestina, di cui è avanguardia un libro pubblicato ora anche in Italia, Un inverno freddissimo a Pechino, prima satira fantapolitica cinese. II partito rivendica il controllo del dibattito sulla funzione e la libertà dell'arte, indirizzandolo negli stessi canali degli Anni Cinquanta e Sessanta. L'obiettivo immediato è valorizzare la prima lunga marcia per impostare la seconda, quella verso il 2000. E' ancora Hua a richiamarsi al patrimonio ri¬ voluzionario, «le gloriose imprese» di Mao Tze-tung, Ciu En-lai e Chu Teh, il presidente del Comitato Permanente dell'Assemblea del popolo, tutti deceduti. Il ministro della Cultura, Huang Chen (che è stato il rappresentante della Cina a Washington) consiglia «opere che contengano vividi ritratti di eroi moderni, operai, funzionari, scienziati». E' una specie di ritorno alle origini, più che una svolta nuova, quasi si temessero degli esperimenti. La novità riguarda di fatto il rifiuto dei «metodi amministrativi», ossia della persecuzione, contro chi dissente. Il ministro garantisce che «i problemi culturali, le controversie accademiche siano risolti con la discussione e con la prassi». Un letterato di Shanghai ci ha detto che l'accesso alla cultura occidentale è diritto acquisito di tutti i suoi pari e che sono possibili i confronti dì idee ed espressioni. Ma ciò non si trasmette dal vertice alla base. La Cina è un Paese in cui ufficialmente non è ancora stato detto che dal 1969 l'uomo è sceso più volte sulla Luna. Ed è sempre proibito agli stranieri leggere ì giornali cinesi, ad eccezione de Il quotidiano del Popolo, Bandiera rossa e Chiarezza, tutti e tre del Comitato Centrale del pc. I«Cento fiori» Lo slogan «cento fiori fioriscano, contendano cento scuole di pensiero», c7ie agitò la Cina nel '57, è riproposto quindi con riserva. Huang Chen proclama che «gli stili possono svilupparsi liberamente», purché ispirati ai criteri di Mao. Ma non v'è accenno alle «riunioni di gruppo di malcontento» di vent'anni fa, alle lettere di protesta pubblicate da II quotidiano del popolo, tra cui rimase famosa quella di un giovane docente dell'Università popolare che ammoniva: «La Cina appartiene ai suoi 600 milioni di abitanti, compresi i controrivoluzionari. Essa non appartiene soltanto al partito comunista. Se la sua politica è soddisfacente, bene. Altrimenti le masse si ribelleranno». La preoccupazione principale è riparare i danni provocati dagli estremisti nella rivoluzione culturale, «impedire che studenti e tecnici rientrati dall'estero si guadagnino la vita trainando carretti o vendendo sigaretti agli angoli delle strade», ottenere che «ogni attività venga impiegata al servizio del giusto». Non si usa il termine «liberalizzazione», forse avverrà in un secondo tempo. Quella d'oggi è una pausa, il Paese tira un respiro di sollievo dopo gli incomprensibili eccessi e i duri sacrifici; è anche un momento di ripresa, in cui tornano al lavoro tipografie e orchestre, case discografiche e scuole di pittura, e si respira un'aria di normalità. Le prime statistiche dicono che sono riapparsi nelle edicole 50 giornali prima aboliti, e nei cinema le pellicole straniere (jugoslave). «E' un errore valutare quanto sta accadendo secondo le categorie occidentali, ci ha avvertito il letterato conosciuto a Shanghai. «Non giudicateci dalle apparenze del momento, ma dalle prospettive». A noi che commentavamo i titoli dì alcuni dischi ^Presidente Hua, il nostro cuore batte all'unisono col tuo, Fiorisce ovunque 10 spirito dei giacimenti di petrolio di Taching, I combattenti del 7 maggio hanno 11 sole del mattino nei loro petti; ha citato come esemplare la vicenda di Ba Kìn, il più grande scrittore vìvente cinese, autore, tra gli altri romanzi, de La famiglia e Notte ghiacciata, restituito, dopo un decennio di forzato silenzio, al posto che gli compete. Ba Kin è lo pseudonimo di Li Fei-kan, e viene dalle lettere iniziali di Bakunin e da quelle finali di Kropotkin, i due rivoluzionari russi. Lo scrittore, che dal '28 al '48 produsse ben 19 romanzi e 18 raccolte di racconti, ha sempre rappresentato la resistenza al dogma, religioso o politico, e la libertà di pensiero e d'espressione. Caduto in disgrazia già dopo la Campagna dei cento fiori, nel '59, era stato denunciato come anarchico e quindi controrivoluzionario, e sottoposto a pubblici processi, dalla «banda dei quattro». Oggi La famiglia va a ruba, e i giovani, che si riconoscono nei suoi personaggi, affollano le sue lezioni all'Università. Ennio Carette