Scambio di parole con Moravia di Natalia Ginzburg

Scambio di parole con Moravia PER CAPIRE IL ROMANZO "LA VITA INTERIORE,, Scambio di parole con Moravia Vado a trovate Moravia perché mi è stato chiesto di intervistarlo. In verità non ho mai intervistato nessuno e le interviste le odio. Ci limitiamo a parlare. Parliamo del suo ultimo romanzo, La vita interiore (ed. Bompiani). Ecco quello che gli dico io e quello che lui mi dice. Io gli dico: «Caro Moravia. Ho letto il suo ultimo romanzo, La vita interiore. Ne ho avuto le impressioni seguenti. Trovo belli i due personaggi principali, cioè Desideria e la madre. Sono sempre belli, nei suoi romanzi, i rapporti fra madre e figlia. Ricordo il rapporto fra madre e figlia nella Romana, nella Ciociara, neWAttenzione. Qui, nella Vita interiore, il rapporto fra madre e figlia è situato nel cuore della storia, e dà luce alla storia, e mi sembra vivere indipendentemente dai fatti che accadono, e dalle azioni che compiono le due donne. E' un rapporto fosco, pesante di amore e di odio, e nello stesso tempo estremamente semplice. Una volta di più, leggendo questo suo romanzo, ho pensato che amo, nella sua arte, tutto ciò che è insieme fosco e semplice. « Trovo bello, nella Vita interiore, il personaggio di uno degli uomini, Erostrato. Mi sembra che spesso vi sia, nei suoi romanzi, un personaggio così, un personaggio di uomo, in cui si riflette il dolore universale. Cosi è, nella Romana, il commissario di polizia, quello che ha nome, se non sbaglio, Astarita. Nella Vita interiore, il dolore universale si riflette in questo Erostrato, personaggio spregevole, sfruttatore di donne e confidente della polizia. Una cupa sofferenza lo rende straziante, e la sua sessualità appare come qualcosa che ispira angoscia e commiserazione. Gli altri uomini del romanzo, Tiberi, l'amante della madre, e l'ultimo, il terrorista, mi sembrano ben meno reali. «Le mie riserve su La vita interiore sono queste. Amo, come ho detto, nella sua arte, tutto ciò che è fosco e semplice. Amo il sesso quando appare, nei suoi romanzi, come qualcosa di fosco, semplice e misterioso. Ho l'impressione che qui, in vaste zone, divenga invece verboso, didattico, dimostrativo. Il sesso, secondo me, non chiede parola. Quando lei, nella Vita interiore, descrive atti erotici, io ho una sensazione di disagio, e vorrei chiarire che il mio disagio non deriva per nulla da un senso di pudore offeso, ma invece dall'impressione precisa che lei si studi di coprire di parole qualcosa che è ineffabile e inesprimibile, e che tutte quelle parole suonino macchinose e fredde, e in definitiva prive di realtà ». Moravia dice: « Le spiego allora quello che ho voluto fare. Descrivendo degli atti erotici, ho voluto carat terizzare i singoli personaggi. Dickens, per esempio, caratterizzava i suoi personaggi molto brevemente, segnalandone un gesto abituale o il colore di un gilè. Io ho voluto caratterizzarli indicando, in ciascuno di essi, il modo di far l'amore. Desideria, la protagonista, vive di una vita unicamente immaginaria, e quindi il suo erotismo è unicamente la masturbazione. Per Viola, la madre, l'erotismo è amore anale. Erostrato esprime, nel far l'amore, il proprio desiderio di mor¬ te, la volontà di tornare nel nulla, e infatti si rannicchia come un feto nel grembo materno. Riguardo a Quinto, quello che viene annunciato, nel romanzo, come « il compagno di Milano », egli fa l'amore nel modo più elementare e più rozzo, quasi tuffandosi in una buia voragine. Così è il sesso per chi ha lavorato duramente e senza gioia l'intiera giornata, cosi è il sesso per gli operai, un "buco nero" dove perdere per qualche istante la coscienza e la memoria. Infine per Tiberi il sesso è sfregio, profanazione, espressione di un carattere autoritario, violenza. « Se ho voluto caratterizzare ogni personaggio descrivendone il modo particolare di far l'amore, è perché penso che il sesso sia, oggi, una forma di linguaggio, un mezzo di comunicazione. Un tempo, il sesso era piacere. Oggi, non lo è più. Le persone non cercano più il piacere, nel sesso, ma una maniera di comunicare. Un tempo, comunicavano fra loro con la parola. Ma la parola è oggi logora, stanca, vuota di significati. La gente non ha più nulla da dirsi. Quando il sesso era piacere, non appariva necessario descriverlo. Flaubert non sente la necessità di enumerare i gesti o le sensazioni di Madame Bovary, nell'atto sessuale, e semplicemente dice "elle s'abandona". Ma poiché oggi il sesso viene adoperato come strumento di linguaggio, il descriverlo significa additare gli strumenti di linguaggio che noi possediamo. Non credo che il sesso smetta di essere misterioso, quando lo si descrive, ma credo invece che il mistero del sesso precipiti ancora più lontano, come si trattasse di colline o terre che ci immaginiamo di aver raggiunto e che si rivelano invece sempre più sfumate e remote nell'orizzonte». Io gli dico: «Un'altra mia riserva su La vita interiore è questa. Lei ha dato al romanzo la struttura d'un'intervista. Perché? Desideria parla a un essere indicato come "io". Questo "io" però non ha alcuna fisionomia. E' un punto amorfo, una voce senza timbro. Perché situate nel romanzo un simile punto amorfo, una simile voce che non dà suono?». Lui dice: «Penso che non sia possibile, oggi, scrivere come si scriveva un tempo. Un tempo i personaggi si muovevano in un mondo vastamente illuminato, del quale si scorgevano chiaramente i viali delle città, gli alberi e le spiagge, e insieme a essi i sentimenti che i personaggi provavano nel guardare. Oggi non sentiamo di poter dare spazio né ai luoghi, né ai sentimenti che suscitano. In questo mio romanzo, la protagonista non vede intorno a sé il mondo, e parla appunto in un luogo invisibile a un essere amorfo, in una situazione inconsueta, stravolta e innaturale. «Essa è simile a quei fiori giapponesi, che all'inizio sono minuscoli frammenti di carta, e che quando si gettano nell'acqua si schiudono, e lentamente prendono forma e colore. Questo è Desideria. Mentre parla di se stessa a quell' "io", prende sotto i nostri occhi forma, stelo, petali, e un vivo colore. Quando ho cominciato il romanzo, sette anni fa, avevo pensato uno studio di psicanalista, dove una ragazza si confessava. Poi ho buttato via questa idea. Ho cominciato d'al¬ tronde il romanzo molte volte, con idee che poi ho buttato via, e all'inizio mi immaginavo di fare un raccontino di poche pagine». Io gli dico: «Come mai, nei suoi romanzi, tanto spesso il protagonista è una donna? La Romana, La Ciociara, hanno come protagonista una donna; e cosi è anche oggi». Lui mi dice: «Perché questo le sembra strano? Anche i romanzi di Defoe, per esempio, hanno a volte come protagonista una donna: Moli Flanders; Lady Roxana». Io gli dico: «Moli Flanders ha dei tratti virili. Le sue donne invece non hanno tratti virili. Sono proprio delle donne». Lui mi dice: «E' vero. Ma ci sono pittori che ritraggono sempre donne. Cosi forse sono io». Gli dico: «SI, ma una cosa è un pittore che ritrae donne, nei suoi quadri, e una cosa è un romanziere, che prende una donna come protagonista, dice "io" per lei, guarda il mondo con occhi di donna». Dice lui: «Io amo immensamente le donne. Mi interessa appassionatamente il loro essere, il loro pensiero. Inoltre, le donne sono in rivolta. Amo impersonarmi in loro perché amo in loro la ribellione e l'emarginazione». Gli dico: «In verità, a rifletterci bene, quando le è accaduto di avere come protagonisti degli uomini, erano, nella loro intima natura, profondamente femminei. Michele degli Indifferenti non ha nulla di virile ed è anzi questo il suo problema essenziale. Il ragazzo di Inverno di malato è femmina, e detesta in se stesso le proprie femminee sensibilità, l'assenza di ciò che gli appare virile, una volontà violenta, aggressiva, sprezzante. Gli uomini veri che lei inventa sono per lo più spregevoli. Cosi, in Inverno di malato, il commesso viaggiatore. Così, negli Indifferenti, Leo. Sono cinici e abbietti. Sono spesso degli assassini. Qui, nella Vita interiore, il fidanzato Giorgio è uno sciocco, Tiberi un cinico, il "compagno di Milano" una agghiacciante figura di potenziale assassino. Si salva il solo Erostrato, spregevole ma straziante perché disperato. Nella Ciociara, un uomo, l'intellettuale che muore, appare come una figura ideata positivamente. E' però astratto». Mi dice: «Faccio differenza fra "uomo maschile" e "uomo virile". L'uomo virile io lo vedo infatti, oggi, come un essere orribile. E' oggi orribile perché la società è orribile. La società è governata dagli uomini, e appunto è governata e amministrata dalla violenza virile. Perciò soltanto le donne e gli emarginati appaiono dotati di una voce e di una fisionomia umana». Io gli chiedo: «Sta già pensando ora a un romanzo nuovo?». Mi risponde: «No. Scrivere romanzi mi costa una fatica immensa. La vita interiore mi è costato sette anni di immensa fatica. Parlo di fatica] anche fisica, e non so se avrò ancora tanta forza fisica. E' vero] che ho avuto, nella fatica, attimi felici. Ma non so se mi toccheranno ancora simili attimi felici». Gli dico: «Lei però questo l'ha detto sempre. Queste parole io gliele ho sentite dire sempre, da quando la conosco, e cioè da un numero di anni immenso». Natalia Ginzburg

Luoghi citati: Indifferenti, Milano