La più lunga camera di consiglio nella storia giudiziaria italiana di Clemente Granata

La più lunga camera di consiglio nella storia giudiziaria italiana I giurati riuniti da quattro giorni per il processo Br La più lunga camera di consiglio nella storia giudiziaria italiana Per "Ordine Nuovo" la Corte discusse 76 ore, poco più di tre giorni - I fascicoli giudiziari da esaminare assommano ad almeno 80 mila fogli, gli imputati sono 46, i capi d'accusa 98 - Stamane, forse la sentenza Ieri, quarto giorno di camera di consiglio della corte d'assise, che giudica la « banda armata denominata Brigate rosse ». E' la più lunga riunione nella storia giudiziaria italiana. Il record precedente apparteneva al processo di tribunale contro gli esponenti di « Ordine nuovo », conclusosi a Roma il 24 gennaio scorso dopo una discussione durata 76 ore. Ma l'atto decisivo, la lettura del verdetto fatta dal presidente Barbaro, non dovrebbe tardare: è previsto oggi, forse nella tarda mattinata. Tre ore prima giungerà alle « Nuove », dove sono detenuti i 15 brigatisti del nucleo « storico » e di quello « milanese », il segnale convenuto per il trasporto degli Imputati nell'ex caserma Lamarmora, costantemente vigilata da uomini in armi. Accetteranno di assistere alla lettura Curdo e 1 suoi compagni? Le voci sono discordanti. In un primo tempo era stata data per certa l'assenza del brigatisti all'appuntamento finale, quasi che essi volessero ribadire, questa volta con un gesto simbolico, la loro estraneità a un processo di cui contestano, con argomenti pretestuosi, la legittimazione giuridica e storica. Adesso Invece, nell'Imminenza del verdetto, c'è chi ritiene probabile la presenza dei detenuti. All'assenza simbolica, si dice, essi preferirebbero una presenza « attiva », che dovrebbe tradursi nell'esaltazione dell'assassinio del dott. Esposito a Genova e dell'attentato di mercoledì notte contro 11 commissariato torinese di via San Donato, mitrami, Mantovani, Buonavita, Basone lanciarono alla corte lunedi scorso « slogans » di morte, si congederebbero ora dal processo con analogo comportamento, se non addirittura con una « controsentenza ». Torniamo al giudici intenti al lavoro conclusivo in camera di consiglio. In questi gliomi d'attesa, dal primo plano dell'ex caserma Lamarmora dove si svolge la riunione, sono filtrati soltanto brandelli di notizie, quasi esclusivamente di «colore»: quando e che cosa mangiano 1 componenti della Corte, dove e quanto dormono, il « mini televisore » con cui, si dice, si concederebbero la sera una mezz'ora di «relax». Ma sulla loro attività, com'è ovvio e logico, nulla, o meglio, soltanto questo: al termine della prima giornata 1 giudici avevano svolto un buon lavoro «quantitativo»; al termine della seconda, esaminato la posizione di 26 del 46 Imputati. Poi « stop » anche alle più piccole indiscrezioni, e all'esterno, vigilanza intensificata. La difficoltà del compito dei giudici sta innanzi tutto nella mole dello storico processo. E' un esempio tipico di elefantiasi giudiziaria, che ci si ostina a creare con l'applicazione rigida e sistematica delle norme sulla riunione dei procedimenti, laddove ragioni di celerità ed efficienza, che non contrastano con i criteri di giustizia, anzi sotto certi profili possono esaltarli, dovrebbero consigliare pratiche più snelle. La corte d'assise si trova sul tavolo oltre alla ponderosa ed approfondita inchiesta di Caccia e Caselli, altre sei istruttorie milanesi. Cosi il numero del capi di accusa è salito a 98 e quello degli Imputati è cresciuto a dismisura: 46, di cui 15 in carcere, 3 latitanti e gli altri, presunti fiancheggiatori e partecipanti alle Br, a piede libero. Nello stesso tempo si è creata un'Incredibile montagna di voluminosi fascicoli: ad occhio e croce ottantamila fogli. Un esame coscienzioso, quale certamente 1 giudici fanno, non pub ohe richiedere molta fatica e molto tempo. Ma è chiaro che non esistono soltanto gli aspetti « quantitativi ». Caccia e Caselli hanno lavorato con scrupolo, ma 1 giudici, sulla base dei risultati dell'istruttoria dibattimentale (54 udienze) devono vagliare di nuovo sospetti, indizi, documenti e prove sulla banda armata, 1 tre sequestri (Labate, Amerlo e Sossi), le rapine, i furti, tutti reati commessi sino al 1974. La corte, ovviamente, non pub tener conto dell'affermazione dei brigatisti: « Ci assumiamo la responsabilità solidale e collettiva della attività passata, presente e futura delle Br ». Essa, giuridicamente, è un « non senso », non produce con¬ seguenze penali e, del resto, gli imputati sapevano benissimo che una tale dichiarazione non 11 avrebbe compromessi in giudizio. Nell'ambito delle questioni di fatto molta attenzione (pare oltre una giornata di lavoro) è dedicata dalla corte a quei rapporti, talvolta sfumati, ma sempre ambigui che legarono il « gruppo di Borgomanero » (Caldi, Borgna e Levati) e l'avvocato genovese Lazagna. Si tratta del personaggi con i quali si incontri), d'intesa con i carabinieri, l'«agente» Girotta, per tentare di stabilire il contatto con Curcio e Franceschinl. Questa sarebbe una delle questioni centrali (e più discusse) che si affronta in camera di consiglio. Ci sono poi i problemi giuridici, alcuni dei quali si presentano per la prima volta in modo così pressante all'esame dei giudici (per fortuna della nostra società): che cos'è la « banda armata »? Che cosa significa « partecipazione a banda armata » (reato di cui sono accusati tutti gl'imputati a piede libero)? E l'associazione sovversiva? Ancora: come si configura la qualifica di « capo », attribuita a Lazagna, sempre che sia riconosciuta la sua appartenenza alle Br? Sono temi toccati a lungo nelle arringhe del legali di fiducia e su di essi la corte deve pronunciarsi, così come deve pronunciarsi sul problema della natura « politica » dei reati contestati. Sulla « banda armata » non ci sono dubbi. Ma i sequestri, le rapine? I brigatisti nel loro « controprocesso » hanno sempre messo in risalto il « movente politico » delle loro « azioni » e la patente « politica » gliel'hanno riconosciuta anche 1 difensori d'ufficio nell'orma! nota « memoria » di sabato scorso. E' un aspetto, che ha riflessi pratici: la natura polìtica del reato pub avere conseguenze favorevoli sull'entità della pena, senza contare le norme sull'estradizione e sull'amnistia. Caselli ha escluso la motivazione politica e altrettanto ha fatto il p.m. Moschella nella sua requisitoria ai termine della quale ha chiesto 15 anni per 11 nucleo « storico », 10 per il gruppo milanese di Semeria, 8 per Lazagna, 6 per Levati, nonché condanne dai 3 ai 5 anni per altri imputati, e proposto l'assoluzione per 14 accusati, di cui uno (Felli) detenuto. Caselli In particolare affermb: « Sì può concedere che la "violenza" delle Br abbia radici inestricabilmente confuse con il modo in cui è venuta sviluppandosi la società italiana. Troppo spesso però le radici della violenza vengono sublimate a cause, quando non addirittura a scriminanti di essa: in realtà alle distorsioni del sistema è possibile reagire con mezzi legali. La violenza è la risposta di chi è incapace di analisi approfondite ed è soggetto ai condizionamenti di una impazienza avventuristica ». Considerazioni che valgono anche per la richiesta dell'attenuante del « motivi di particolare valore morale o sociale » avanzata da una parte dei difensori di fiducia. Richiesta che appare assurda, ma sulla quale la corte deve comunque pronunciarsi. E' mezzanotte. Le luci al primo piano dell'ex caserma Lamarmora rimangono accese. Clemente Granata Un'altra notte di veglia per polizia e carabinieri intorno alla ex caserma Lamarmora

Luoghi citati: Genova, Roma