Benedite il Signore

Benedite il Signore RACCONTO DI MARIO SOLDATI Benedite il Signore L'altra mattina, il penultimo dei 273 giorni in cui, ogni anno, Viareggio è la più bella città d'Italia per diventare la più brutta nei seguenti 92, l'altra mattina verso le undici avevo lasciato mia moglie dal parrucchiere: sarei tornato a prenderla verso la mezza, andavo dall'idraulico Fausto, piazza della Stazione, a cercare un saltarello Signorini, made in Florence. Viareggio ha una pianta regolare, rettangolare, a scacchiera, le vie più lunghe parallele al mare, perpendicolari a queste le più corte, e sembra vastissima forse perché le case sono quasi tutte a un solo piano oltre il terreno, ma anche perché, Dio la benedica, si va sempre a piedi: niente tram malgrado la vastità, introvabili i taxi. Camminavo tranquillo nelle vie non ancora, per due o tre giorni, invase dai bagnanti: compiaciuto guardavo all'allegra, spaziata operosità che si preparava a riceverli: camere d'affitto, pensioni, ristoranti, bar. Ecco, per esempio, di là da una graziosa cancellata liberty, un giardinetto di tamerici, oleandri, pitosfori, pini: e una squadra di muratori lavorava all'interno di un villino che era in mezzo a quel verde: tetto aguzzo, vestibolo a pilastrini essi pure di cotto, stile inglese rustico. Coi secchi della calce un manovale andava e veniva, entrava e usciva dal portone centrale aperto. Più che un villino, sembrava una chiesa, una cappella. Avanzai incuriosito, mi fermai all'ingresso della cancellata, e attraverso la chiarità vaporosa delle tamerici scorsi in cima al tetto una croce di ferro battuto... Ma certo! fino al principio del secolo Viareggio era sta ta un resort, una stazione climatica preferita da certa élite bri tannica. « Cos'è questa? una chiesa protestante? » domandai al manovale, e lui mi rispose di sì. Ripresi di buon passo la mia strada verso la stazione. Ormai portato a compiacermi di tutto, com'era bello, mi dissi, com'era consolante che in quest'epoca di angosce esistenziali ci fosse ancora chi pensava a rinfrescare quella cappella, probabilmente di rito anglicano, che oltre tutto mi era parsa, almeno all'esterno, in ottime condizioni, non bisognosa di restauro. Sì, seguitavo a riflettere con entusiasmo, sì, la religione cattolica si avvicina di più alla nostra natura, siamo fatti di anima e di corpo... ma poiché le immagini sensibili e i riti corposi del cattolicesimo favoriscono quella forma di pigrizia mentale che è la superstizione, forse il protestantesimo esprime il sentimento religioso, si adegua al bisogno di una fede in modo più razionale, più filosofico, meno lontano da ciò che ci sembra il Vero. Abolita l'autorità del Papa, abolito il sacramento della confessione, a che cosa, in sostanza, si riduce il protestantesimo se non a un dato di fatto che nessuno di noi può negare, cioè al valore supremo della coscienza individuale? Se la fede è necessaria, dove sta la fede se non nel nostro bisogno di fede? Trovato ciò che cercavo dall'idraulico tornai subito indietro per la stessa strada. Quando arrivai alla chiesetta era mezzogiorno suonato, e anche questi, come tutti i muratori del mondo, stavano facendo colazione. Entrai. Le pareti intonacate di grigio chiaro e nude, interamente nude, come mi aspettavo. Unico ornamento: certe piccole vetrate a colori, e le scritte a caratteri gotici, che correvano in alto, sotto il cornicione, nere entro una gran fascia gialla, lungo tutto il perimetro dell'unica navata. « Chiedo scusa se disturbo », dissi ai muratori tirando fuori il mio taccuino e cominciando a ricopiare: Blesi ye the Lord praise bim and magnify him for e ver... Benedite il Signore lodatelo e magnificatelo per sempre... Sennonché, in fondo, al centro dell'abside, stranamente non vidi l'altare. E, ancora più stranamente, incastrato in un angolo, l'angolo sinistro della stessa abside, vidi invece un massiccio parallelepipedo di mattoni, largo e profondo circa due metri e alto uno. Di che cosa si trattava? Un fonte battesimale, forse? A quale setta protestante apparteneva la chiesetta? Domandai ai muratori e tutti insieme, ridendo, e continuando a mangiare, mi dissero che era un forno. Fantasie mostruose mi attraversarono la mente. Sacrifici cruenti e barbarici. Peggio ancora, chissà... « Posso vedere da vicino? ». « Si accomodi » risposero sempre ridendo. Mi avvicinai e vidi allora che si trattava proprio di un forno, e anzi, che era stato costruito di fresco. « Ma questo l'avete fatto voi!» «Certo, siamo qui per questo ». « Ma un forno, perché? ». « O bella, per cuocere le pizze! ». Breve, la chiesetta era stata acquistata da un ristorante di Viareggio, e loro la stavano trasformando in pizzerìa. « E che cosa ci fate, oltre al forno? ». « Niente. La ripuliamo. Basta ». « Ma la scritta, lassù in cima, tutto intorno, non la coprite? ». « Per carità! Guai! » dice ridendo un giovane bruno col berretto di giornale in capo, probabilmente un pittore. « Ogni cosa, s'ha da lasciarla com'è. Anche la scritta. Guardi, guardi lassù: costì e costi, dove c'è una lettera scrostata, s'ha da rifarla uguale. Anzi, s'è visto che lei l'ha ricopiata, forse ci potrebbe dire le lettere che mancano... ». « Sono caratteri anticheggianti, gotici » spiego: «ma non stia a impazzire con le lettere che mancano: la scritta è sempre la stessa tutta in giro, ripetuta uguale tante volte. Quelle lettere lì, che mancano, ricopiatele da quelle là, tali e quali. E' la stessa parola. E quelle lettere là, da queste qui ». Il giovane dal berretto di giornale (che è rosa, la Gazzetta dello Sport) ringrazia. E io, per un lungo momento, taccio: rileggo la scritta e riguardo il forno, immaginandomi la pizzeria quando sarà in funzione. « Un giorno » dico quasi pensando a alta voce, « sta a vedere che un giorno succede così anche alle nostre chiese». « Speriamo! » dice forte il giovane dal berretto rosa. E io, lo confesso, sono scioccato. Forse non ho capito bene. « Come ha detto? » chiedo: « ha detto speriamo sì o speriamo no? ». « Sì, eh! Sì, diobono! ». « Be', ma ... » mormoro incerto. Viene in mio soccorso un muratore che mi pare il più vecchio di tutti: «Ma un po' di fede ci vole... Accetta un bicchiere di vino? E' bono, sa? ». « Grazie. Alla salute! » E bevo. Poi, sorridendo azzardo: « Ecco, perfino questo — che lei mi ha offerto un bicchiere di vino buono e che io l'ho bevuto così volentieri — perfino questo è un rito, un atto di fede ». « D'accordo. A cotesto modo siamo d'accordo perfino noi », dice uno alle mie spalle forse facendomi il verso. Ma non mi smonta, anzi: « Senza un po' di fede » insisto, « non si farebbe niente, nella vita! Ecco, per caso — bisogna avere fede nel caso ma sempre fede è — per caso ho qui notato nel mio taccuino un pensiero del Guicciardini. Francesco Guicciardini era un grande storico, fiorentino come Machiavelli, vostri compaesani ». « C'è la via, a Viareggio, via Machiavelli ». « E via Guicciardini ». Ho tirato fuori il taccuino e leggo: « Quando io considero a quanti accidenti e pericoli di infirmila, di caso, di violenza, e in modi infiniti, è sottoposta la vita dell'uomo, quante cose bisogna concorrino nello anno a volere che la ricolta sia buona, non è cosa di che io mi maravigli più che vedere uno uomo vecchio, uno anno fertile. Infermità, casi, violenze, sofferenze, dolori, miserie, malattie, mali... la vita dell'uomo è tutto questo, è anche tutto questo. Come si può spiegare, allora, che l'uomo abbia voglia di vivere se non gli resta un po' di fede, un po' di fede di cavarsela passabilmente? Un po' di fede ci vuole... ». Non soltanto il vecchio muratore, tutti mi ascoltavano in un silenzio solenne e religioso, adatto alla profanata chiesetta, non certo alla futura pizzeria. Ma l'ultima parola fu, purtroppo, del giovane dal berretto rosa: « Lo stesso speriamo che presto non ci siano più chiese! ». Mario Soldati

Persone citate: Francesco Guicciardini, Guicciardini, Machiavelli, Mario Soldati, Signorini

Luoghi citati: Italia, Viareggio