Non tutti debbono lasciare di Stefano Reggiani

Non tutti debbono lasciare Non tutti debbono lasciare Fantacronache di Stefano Reggiani Le dimissioni sono una risorsa importante nei regimi democratici e lo sarebbero ancora di più nei regimi totalitari, che purtroppo non le prevedono. Inutile supporre che il popolo cileno possa esprimere, attraverso i partiti, la sua disapprovazione a Pinochet; inutile immaginare che Pinochet, prendendo atto della sfiducia, annunci per tv le dimissioni e si trasferisca nella casa campagnola delle Rughe vicino a Santiago. Tra Cile ed Italia ci sono ancora delle differenze, nel metodo e nello stile, che si apprezzano volentieri. Si capisce che le dimissioni sono tanto più fragranti e lodevoli quanto più tempestive. Quelle recenti del presidente Leone non erano freschissime, sapevano un po' di ammoniaca come i filetti di sogliola che si mangiano al ristorante; ma noi le abbiamo gradite ugualmente come segno, sia pure forzato, di correttezza. Come noi, tanti altri cittadini le hanno giudicate favorevolmente. Anzi, a dire la verità, non abbiamo trovato nessuno che scrollasse il capo dicendo: «Eh, no, questa il presidente Leone non doveva farcela, dare le dimissioni d'estate mentre stiamo andando in vacanza. I presidenti si fanno d'inverno, come i presepi; sono un dono dei re Magi». La storia d'Italia in questi anni, con le sue tortuosità e i suoi scandali, ha tolto l'innocenza anche a chi credeva che i presidenti li portasse la cicogna e che ì partiti assistessero alla nascita dal buco della serratura, senza intromettersi se non per raccogliere ì soldi del corredo, esentì da tasse. Così perfino i cosiddetti qualunquisti (coloro per i quali la politica è solo una faccenda di intriganti e un'aggressione ai cittadini per bene) si sono adesso riscattati e offrono solidarietà agli elettori più seri e moralisti. Si fa un gran parlare dì dimissioni e ci si augura che il contagio tocchi anche altri personaggi, troppo solleciti del potere. Certo, sarebbe un bene. Ma fino a che punto? Vogliamo dire: entro quali limiti le dimissioni sono un dovere? Che accadrebbe se l'istituto delle dimissioni diventasse troppo diffuso e frettoloso? Alle prime ipotesi, la fantasia si adatta agevolmente. Per esempio, il ministro delle Partecipazioni, Bisaglia, chiama il suo segretario e gli confida l'intenzione di dimettersi. Bisaglia (affabile): «Carissimo, ho deciso, me ne vado». Segretario: «Ma come? Così, su due piedi? D'estate, col caldo che fa?». Bisaglia: «Come sai, le dimissioni non seguono il termometro». Segretario: «E l'industria di Stato? E i miliardi che s'impiegano nelle industrie decotte? E le polemiche sull'Iri? E quelle sulla Rai?». Bisaglia: «Appunto, mi ritiro perché venga fatta chiarezza. E' un gesto che non mi indebolisce, e che mi guadagnerà in Veneto nuove simpatie. Rumor, a suo tempo, non avrebbe avuto questa grandezza». Segretario (ammirato): «E' vero, lodo il tuo intuito politico». E poi, naturalmente, ci sono le ipotesi scontate, come quella del professor Orio Giacchi, che doveva giudicare i fratelli Lefebvre dopo essere stato accusato di rapporti d'affari con loro. Giacchi: «Ho deciso, dò un taglio alle polemiche e mi dimetto dalla Corte Costituzionale». Collega misterioso (sottovoce, nell'ombra): «Non fare il ragazzo romantico. Formalmente hai diritto di stare qui. Che altro vuoi?». Giacchi (con semplicità): «La stima incondizionata dei miei concittadini». Collega misterioso: «Bene, se sei a questo punto, dimettiti pure. Suppongo che dovrei lodarti, ma ho consumato le mie energie nello stupore». E all'Università? Alcuni amministratori che hanno dichiarato, come riferiscono le cronache, ventotto ore di straordinari al giorno, convocheranno una conferenza stampa. Amministratori (all'unisono): «Gente come noi è indegna di un posto normale. Andremo a fare gli straordinari altrove». Insomma, ci sono casi in cui le dimissioni non possono che far bene. Ma se sì dimettesse (sì fa per dire) il sovrintendente della Scala, Badini, costretto, come altri colleghi, da una legge assurda ad arrangiarsi nella ripartizione delle spese? Probabilmente sbaglierebbe. E se Zanone, segretario liberale, si dimettesse per protestare contro l'equo canone che a lui piace poco? Direbbero che è una fuga. E se Lama, amareggiato dalle critiche, sì dimettesse? E se Berlinguer, vedendi i socialisti contrari al compromesso storico, si dimettesse? Entriamo in un dominio deve le dimissioni sono opinabili, il consenso incerto, il dibattito aperto. Sentiamo nell'aria romana una voglia di dimissioni che tocca, invece dei personaggi discussi, gli uomini carichi di responsabilità difficili, i mediatori stanchi di mediare, i trottatori stanchi di trattare, i politici stanchi di far politica. Ci pare un'estensione indebita di un istituto benefico. C'è ancora tanta gente che deve dimettersi; ma molti altri, si dice, hanno solo l'obbligo di rimboccarsi le maniche, e di lavorare.

Luoghi citati: Cile, Italia, Santiago