Henze diverte l'Opera di Vienna di Massimo Mila

Henze diverte l'Opera di Vienna MOLTI APPLAUSI PER LE BEFFE DE "IL GIOVANE LORD,, Henze diverte l'Opera di Vienna DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE VIENNA — Anche l'Opera di Vienna, come i nostri Enti Lirici, mette ogni anno in cartellone un'opera contemporanea, del che viene redarguita severamente, non tanto dal pubblico, quanto dalla stampa locale, singolarmente retriva. Quest'anno la scelta è caduta su Der junge Lord di Henze, un'opera comica scritta nel 1965 e nota fra noi per le rappresentazioni avvenute a Roma. Nonostante il titolo, l'ambiente non è inglese. La vicenda che la poetessa Ingeborg Bachmann aveva tratto da una breve favoletta dello scrittore Wilhelm Hauff, si svolge nell'immaginaria cittadina tedesca di HùlsdorfGotha, sbalordita per l'arrivo d'un misterioso scienziato inglese, con largo seguito di segretari, servitù esotica ed animali. Dopo avere eluso i tentativi delle autorità cittadine e dei mag- giorenti di fargli omaggio, il taciturno gentiluomo sottoporrà la loro anglomania a una crudele beffa, ricevendoli infine nei propri saloni per presentare loro un non meno misterioso nipote: il giovane Lord del titolo, che alla fine si rivelerà essere nient'altro che la scimmia ammaestrata di un circo equestre. La pittura satiricamente affettuosa della provincia tedesca rivissuta attraverso la letteratura è un pregio indiscusso del libretto, e la musica lo raccoglie attraverso un tessuto d'allusioni che vanno da Mozart a Strauss e ricuperano attraverso la parodia il carattere di autenticità tedesca. Meno confacenti allo scopo sembrano invece i frequenti ricorsi a stilemi strawinskyani, e anche di Prokofiev (L'amore delle tre melarance). Nonostante la consueta aspirazione di Henze a realizzare un primato vocale all'italiana, l'opera è percorsa da una corrente di sinfonismo autoritario che penetra pure nel canto, esattamente come avviene nella concezione operistica di Wagner e di Strauss. Anche se nel testo originale la declamazione melodica presenti maggiore naturalezza di quanta ne avesse nella pur ottima versione italiana di Fedele D'Amico, la natura dell'invenzione musicale è sostanzialmente strumentale. La tenue trama, che non pretende elevarsi a dignità di commedia, ma resta sul piano del grottesco e del divertimento caricaturale, senza produrre caratteri ma solo servendosi di tipi e macchiette precostituiti a disegnare un ambiente, è come oppressa dalla sovrabbondanza d'una scaltrissima abilità musicale, che si adopera in mille modi ingegnosi — principalmente coi mezzi del timbro e del ritmo — a sostituire la fantasia, il buon umore e la vocalità dell'opera comica. Ne risulta un'opera di eccezionale intelligenza e maestria, dove il comico è raggiunto non attraverso la giocondità dell'invenzione, ma attraverso l'impiego di mezzi prestabiliti atti a suscitare il riso: intervento di bande municipali sulla scena, stonati coretti di scolari, pretenziose velleità oratorie del borgomastro, in breve, elementi caricaturali. Lo spettacolo è sapiente e ricorre ad ogni sorta d'ingredienti buffi, ben dosati nel corso dei sei quadri che compongono l'opera (in due atti), con il contrappunto d'una tenue trama sentimentale in cui sono impegnati soprano e tenore: una replica abbastanza evidente dei verdiani Fenton e Nannetta. L'esecuzione, diretta con sicurezza dall'attivissimo Horst Stein (in questi giorni dirige pure il Fidelio e vari concerti sinfonici), richiede un numero altissimo di cantanti, più un personaggio muto che è lo scienziato inglese. Nei frequenti ed elaborati concertati sostituiscono il coro che non c'è (se non di bambini). Impossibile indicare un protagonista in quest'opera (il giovane Lord appare soltanto nelle ultime due scene). Tanto vale allora ricordare, con commozione e malinconia, la presenza di quella grandissima mozartiana che fu Wilma Lipp, in una particina quasi di comprimaria, e rilevare la comicità vigorosa, non solo nei gesti, ma proprio nella voce, del contralto Debria Brown — una specie di Fedora Barbieri, tanto per intenderci — nella parte di una cuoca giamaicana dedita al rhum e a citazioni napoleoniche. Le scene di Federico Pallavicini colgono l'affettuoso umorismo del paesino tedesco, arroccato su per un colle, coi suoi tetti puntuti e i balconi fioriti, e la regia di Gustav Sellner vi muove saporitamente i numerosi personaggi. Ho assistito alla seconda rappresentazione. Salvo che non c'era molta gente (mentre per il Fidelio è impossibile trovare un posto), m'è parso un successo: la gente non solo applaudiva, ma dopo una certa freddezza iniziale ha cominciato a ridere a proposito, e aveva tutta l'aria di divertirsi. Massimo Mila Henze durante la recente visita a Torino (foto La Stampa)

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