Don Riboldi diventato vescovo di Acerra in visita ai compaesani emigrati a Torino

Don Riboldi diventato vescovo di Acerra in visita ai compaesani emigrati a Torino II parroco che dal Belice guidò marce di protesta a Roma Don Riboldi diventato vescovo di Acerra in visita ai compaesani emigrati a Torino "Continuano ad essere presenti nella nostra comunità" - Aggiunge: "Il Belice è ovunque l'uomo sia disgregato dall'ingiustizia" - Ai fedeli: "Torino vi sarà amica quanto voi le sarete amici" Il lungo viaggio dell'xapartheid» sociale di mons. Antonio Riboldi, già parroco di Santa Ninfa, ed ora vescovo di Acerra, ha fatto tappa a Torino. Famoso per le sue battaglie In favore del Belice terremotato e da un decennio abbandonato agli sciacalli dall'Incuria statale, il vescovo ha compiuto una visita di due giorni nella nostra città per raccontare la sua esperienza ed Incontrarsi con altri gruppi di « terremotati » sociali: gli appartenenti alle due comunità siciliana e campana (Acerra è In provincia di Napoli) residenti a Torino. Sebbene i problemi degli immigrati in una grande città del Nord non siano infatti gli stessi di coloro che tutto hanno perso nella calamità che dieci anni or sono distrusse una vasta zona della Sicilia, 1 drammi di chi è costretto ad abbandonare la propria terra in cerca di lavoro e di un nuovo tetto possono essere altrettanto penosi. « / tremila emigrati da Santa Ninfa non sono per noi degli assenti — ha detto — sono ben presenti nella nostra comunità anche se inseriti in altri tessuti sociali ». Il fenomeno dell'attaccamento alle origini appare agli occhi di don Riboldi particolarmente sensibile in Sicilia dove 1 vincoli con la propria origine sono a « prova di tempo ». « Quando tornano — afferma ancora il pre¬ lato — nulla hanno con sé della cultura in cui sono stati forzatamente immersi per tanti anni. Lavandosi il viso nell'acqua natta sciacquano via ogni polvere di città Industriale ». Che cosa ha Intenzione di dire mons. Riboldi a chi, per cause di forza maggiore, si è autoescluso dalla comunità di origine, affrontando 1 disorientamenti di una città e mentalità diverse, nel miraggio di una vita « migliore »? « Torino — dice il vescovo — dì sarà tanto più amica quanto più vot, ospiti, le sarete amici. Anche se la vostra condizione di partenza è indubbiamente inferiore. Certamente — aggiunge I" "avvocato del poveri" — è difficile che nasca questa amicizia se si specula su di loro ». Prende corpo in questo Invito alla cristiana convivenza l'ombra del famigerati « letti caldi », le promiscuità del centro storico, 1 servizi in comune, le strumentalizzazioni e 1 ricatti di un mercato del lavoro, che ad Acerra, dove il vescovo è attualmente « incardinato », sono pratica quotidiana. « Il Belice è anche là nella mia nuova diocesi — dice Riboldi — e dovunque l'uomo (non solo l'ambiente urbanistico) è disgregato dall'ingiustizia e da un'economia ai limiti della sopravvivenza animale ». Se Torino non conosce, come Acerra, la turpitudine di un terzo dei suoi abitanti ammucchiati nel « bassi » (specie di covili dove le persone vivono a decine su letti ammucchiati alla rinfusa), d'altronde anche nella nostra città è ben presente un pericolo certamente attuale In tutto il Meridione: che la « anormalità » figlia della quotidiana disappli¬ cazione della legge, scivoli nella « norma » diventando malcostume. « Il sigillo di questo nuovo stato di cose — dice Riboldi — è dato dal silenzio. Più nessuno ne parla e l'ingiustizia prevale: d'ora in poi sarà assai più difficile smuoverla ». Nasce in questa fase l'Impegno più esaltante e difficile di un sacerdote certamente «scomodo», che forse proprio per questo è stato rimosso e fatto vescovo. « Non sostituirsi ai politici, ma sollecitarli. Dialogare, confrontandosi, con le forze sociali. Non piegarsi al malcostume, bensì modificarlo. Nel Belice — dice Riboldi — abbiamo vinto una battaglia perché persone che avevano detto di sì per tutta la vita, una volta tanto hanno osato sperare: "Ce la faremo" ». Massimo Boccalettì Mons. Antonio Riboldi

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