Il lago "incantato" di Morselli di Lorenzo Mondo
Il lago "incantato" di Morselli Un romanzo postumo, sull'incesto e altri drammi Il lago "incantato" di Morselli Guido Morselli: «Un dramma borghese », Ed. Adelphi, 296 pag., lire 5500. Dalle carte postume di Guido Morselli continuano a uscire romanzi, questo è il sesto, da quando Roma senza papa inaugurò nel 1974 la serie, e non sarà nemmeno l'ultimo. Al di là dell'impronta comune, che è la propensione saggistica, il gusto dell'analisi introspettiva, l'esattezza del linguaggio che solo incidentalmente sembra inarcarsi nella trepidazione lirico-metaforica dell'immagine (ti accade subito di pensare che dietro queste pagine funziona un buon cervello speculativo) stupisce in Morselli la varietà della tastiera tematica. C'entra probabilmente, insieme alle molte curiosità dell'uomo, una certa insicurezza che assume volentieri il carattere della sfida: propria di chi non si è mai visto pubblicato, non ha potuto misurarsi con la critica. Certo, qualunque cosa faccia, Morselli non è mai banale. Qui, in Un dramma borghese, si confronta addirittura con uno degli archetipi della letteratura d'Occidente, con il tema dell'incesto. Un uomo maturo, corrispondente dalla Germania di un giornale che s'indovina essere il Corriere della Sera, si trova a Lugano per una vacanza-convalescenza. Per lui sono acciacchi di prevalente natura psicosomatica, per la figlia diciottenne, che condivide le due camere dell'albergo, sono i postumi di una operazione di appendicite. Ma bisognerà tenere conto della reclusione volontaria dei due, protratta oltre ogni necessità di guarigione, in un clima di asfittica concentrazione: del resto, il medico che viene periodicamente a visitarli, cerca soprattutto conforto ai propri mali, più gravi e irrimediabili. Questo universo della malattia prende ulteriore spicco dall'uggia e dai miasmi che esalano dal lago: non ci vuole molto a ricordarsi che il decoro liberty dei sanatori svizzeri, acque e montagne incantate, sono diventati luoghi topici della letteratura della crisi già a cavallo del secolo. La connotazione « borghese » del dramma prende maggiore significato, forse, attraverso questi echi e rimandi: per cui si potrebbe vedere nel romanzo il pannello di un dittico che risponde, in modo più allusivo e sviante, al pannello costituito dal romanzo // comunista. Ma torniamo ai due prigionieri dell'albergo, e delle reciproche febbri. Lui è vedovo e quasi non conosce questa figlia cresciuta in collegio. Spirito scettico, concreto, raziocinante, coltiva la regola del distacco con una disinvoltura che può scambiarsi per giovanile alacrità. Il suo autore è Montaigne: « Il suo umanesimo, duttile, positivo, ha l'odore un po' agro delle sanse a dicembre quando si accumulano nei frantoi... ». Poi c'è Lucrezio: « Il suo materialismo sostanzioso rimane un'ancora in mezzo al frastuono delle ideologie, inclusa quella che si appropria quell'impavido nome... ». Di fronte all'uomo, la figlia ha l'esuberanza carnale ed emotiva della giovinezza, scavalla innocentemente impudica per le stanze, non accetta sacrificio che non sia devozione totale alla passione che sente crescere, tremenda, per il padre troppo a lungo sublimato negli anni dell'assenza. Il tema dell'incesto affascina Morselli, lo attrae per la difficoltà implicita nella resa di situazioni inesplorate e scabrose, ma insieme lo respinge: lo di¬ mostra l'insolita e un poco esasperante lentezza del romanzo che sembra stia sempre per arenarsi nelle sabbie mobili della riflessione e che è appunto una lentezza numinosa, una turbata approssimazione alla verità e all'epilogo triste del dramma. Morselli si comporta tale e quale il suo personaggio, che arriva a compiacersi dell'imbroglio eccezionale in cui si trova (« Non ci sono per me orme da ricalcare »), salvo poi a cercare immemore diversivo e scampo nella bruciante avventura con l'amica della figlia. Anche se poi l'incesto sfiorato e non consumato consente di mettere in movimento una serie di altri temi e interrogativi: resi più acuti, più violenti, dal¬ la distanza ravvicinata della consanguineità, dallo choc del corto circuito parentale. « L'accidiosa malizia dell'analisi » contro la generosità improvvida della passione. Oppure l'inermità della ragione contro le forze sotterranee dell'istinto, la « malizia » ancestrale dei sensi contro l'albeggiante maturità del raziocinio. E, forse, un mondo destinato a scomparire davanti a un altro, impetuoso e selvaggio, di ragazzi suicidi. Nel tempo quieto del romanzo si segnalano tratti di fulminante intelligenza epigrafica: « ...mi domando per che motivo, nella sua fredda oggettività, lo specchio come accessorio amoroso abbia fama di illecebrosa efficacia. Forse che per suo mezzo si dà sfogo alla vista, cerebrale fra tutti i sensi e con ciò lascivo. L'istinto porterebbe a escluderla, quasi per punirla del privilegio che ha di solito sugli altri sensi; la natura fa cercare l'ombra, e alla fine induce la più fulgente delle cecità ». Un habitus da moralista che riesce a scalpellare an| che i momenti di più sensitivo e « poetico » abbandono: « Stavo bene, respiravo l'ombra acquosa, le felci intente fra i miei piedi sognavano il loro devoniano. A me piace il mutismo di queste piante rudimentali, arcaiche senza enigma. Emblematiche di un'abissale durata; e nessuno se ne accorge... ». Lorenzo Mondo
Persone citate: Guido Morselli, Morselli
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