La brava ragazza sul marciapiede

La brava ragazza sul marciapiede La brava ragazza sul marciapiede La contessa uscì di casa alle cinque, secondo le buone usanze e secondo la celebre frase. La prostituta esce invece di casa molto più tardi perché vive nelle tenebre ed è schiava di un mondo brutal, secondo la canzonetta famosa. Ma talvolta anche la prostituta scrive dei libri, proprio come fanno tante contesse (penso per esempio alla Contessa Lara), cioè racconta in prima persona la vita sua. E' del resto un'ottima tradizione, che non sembra vicina ad estinguersi. Tanto vero che adesso è la volta di Jeanne Cordelier: leggetevi La dérobade. Vita e rabbia di una prostituta parigina, che Bompiani presenta in Italia. Nella prefazione, Dacia Maraini scrive — e ha ragione — che anche nei Paesi che hanno fatto la rivoluzione « rimane il fatto che il corpo della donna contiene in sé un "destino sociale" diverso », perché continua a essere « un corpo non pensante, non autonomo, il quale, se pensa, pensa con la testa dell'uomo. Le idee, la parola, l'immaginazione, anche dopo la rivoluzione marxista, rimangono d' impronta maschile ». Ma vediamo ora perché, a vent'anni, la piccola Jeanne scelse la prostituzione. La miseria? Un babbo irreversibilmente alcoolizzato? Il pessimo esempio della banlieue parigina? No, no, quando Jeanne si mette a danzare sui matciapiè, ha avuto finora un ottimo babbo astemio e bottegaie e perfino una perla di fidanzato, un disegnatore industriale della Renault, che gode di una busta paga di 120.000 franchi mensili, ha già fatto il servizio militare (quindi non c'è pericolo che prima o poi se la squagli con la scusa dell'esercito), ha perfino comperato la casarella nuziale e soffia presumibilmente nell'orecchio di Jeanne: « Ho comprato una bambola rosa / piccolina come te / è il regalo che s'ottre a una sposa / piccolina come te... ». E poi, più intensamente: « E chissà che non venga una sera / una bambola vera / dai riccioli d'or... ». Dunque: l'avvenire si presenta tutto in rosa ma una mattina, uscendo dalla operosa bottega del babbo, Jeanne rimane folgorata come Cappuccetto Rosso alla vista del Lupo o come Alice alla vista del Coniglio bianco: un'auto di lusso, splende e la provoca con le sue cromature dorate. Scrive la Maraini: « Insomma Jeanne è presa da un impeto ingenuo di ammirazione per un oggetto di lusso così raro nel suo quartiere. Il suo è lo sguardo estatico di una sottoproletaria per un oggetto che solo i ricchi possono permettersi e che promette, nel linguaggio dei segni sociali, delizie profonde e soddisfazioni senza fine. Niente di anormale in questo. Anche un ragazzo sarebbe stato colpito dalla grande automobile cromata. E' il seguito che è tipicamente femminile: l'idea di dare via il proprio corpo per ottenere in cambio quell'oggetto, quel piacere. Il baratto fra due "cose" può venire in mente solo a chi non tiene in nessun conto la sua persona fisica e psichica... ». Cara Dacia, ti prego di chiarirmi le idee: perché tutto questo è « tipicamente femminile »? Mi sembra un'idea, o un'ideologia direi troppo extensa, soprattutto oggi che il « tipicamente femminile » va per fortuna sempre più al macero. Io capisco che questo lo dica un commendatore o un libertino della belle epoque, non capisco perché lo dica anche tu. Certo, il linguaggio dei segni sociali può essere ed è talvolta più perentorio e alienante del « linguaggio » della fame e della miseria, ma abbiamo già accertato che Jeanne viveva in una specie d'idillio prematrimoniale e prefamiliare non eccessivamente abbrutente. Ma forse, senza che lei Io sapesse, era proprio quell'invasione di idilli e pre-idilli che le dava il voltastomaco; bastò allora quell'auto di lusso, quella specie di balena bianca cromata, a operare su di lei come causa scatenante. Allora, il baratto fra due « cose » più o meno di lusso; da una parte la « machine », dall'altra « le con ». In tutta la letteratura libertina francese del '700, la parola « con » è sempre festosamente presente. Rigorosamente escluso è, invece, il termine « coeur ». Lo esclude anche Jeanne. Per quanto in lei non vi sia nessuna « grandezza », viene comunque da pensare alla Juliette del Divino Marchese, che una sua « grandezza » l'aveva e che vedeva chiaro in quel che voleva. Juliette dice infatti al suo grande maestro, il « bien feroce» libertino Saint-Fond: « Ce n'est point un coeur que je t'offre, c'est un con ». Le stesse parole, le dice più o meno Jeanne al suo « bien feroce » magnaccia Gerard detto inoppugnabilmente Gegè, ma essa rimane comunque infinitamente al di sotto di Juliette. Juliette, ha scritto Apollinaire, è « la donna che ha rotto le vecchie catene, è una donna che ha messo le ali: essa è il disordine, il caos, la donna nuova, ancora sconosciuta». La povera Jeanne, invece, non vdrumflefmmptcceni« voleva volare ma soltanto ribadire le vecchie catene, tanto vero che alla fine celebra un rito un po' retorico di tutto pentimento e di tutta redenzione, infatti questa volta è lei a cercare la Buon Costume e quando ne esce attraversa il Quai des Orfèvres e cammina sul marciapiè ma « dalla parte del sole », come sempre sincera e come sempre manierata, piena di sentimentalismo e di ottimismo gergali, e come sempre stracolma di scocciantissima enfasi, molto francese e direi molto latina: « O uomini, tendetemi le vostre braccia »; insomma strilla un addio al « con » e ritrova il « coeur ». Le preferisco una sua « collega » americana degli Anni 20, quella Neil Kimball che nelle Memorie di una maitresse, pubblicate in Italia tre anni fa dall'Adelphi, racconta la sua vita con la pacatezza di un ragioniere alquanto geniale e con la « soddisfazione » di averla interamente vissuta, tanto vero che, anziché agitarsi come la Jeanne, tranquillamente conclude: « La mia religione è vivere, essere me stessa, non far del male al prossimo (...). Se ho un credo è di mantenere la mia parola, pago per tutto ciò che ricevo, non sono amabile, non sono gentile con gli scemi. Per ciò che pago voglio il peso giusto ». Si dirà che però dietro la Jeanne c'è la dissennata e isterica cultura della vecchia Europa, e che dietro la Kimball c'è la morale o l'ideologia americana del pragmatismo e del lieto fine ma a me pare che non sia trop- j po fantascientifico dirlo. i « Cominciai a quindici anni », scrive Neil Kimball, « in una buona casa di Saint Louis, senza nessuna idea... e son finita tenutaria e donna di affari, ho assunto e comandato ragazze, sono stata dura con i duri, ho diretto case di lusso. E che lusso, ragazzi! ». E va bene. Ma ecco ora un brano che non appartiene né alla Cordelier né alla Kimball: « Originariamente, ballavo al Jewel Club a Chicago, per Ned Small. Sissignore, Ned aveva un grande fascino, era famoso perché ti rompeva tutte e due le gambe se non eri d'accordo con lui. E si che ne era capace, ragazzi. Ruppe tante di quelle gambe! Quindici o sedici gambe alla settimana era la sua media. Ma Ned mi voleva bene perché gli dicevo sempre in faccia quello che pensavo di lui. "Ned", gli dissi una volta a cena, "sei un mellifluo truffatore con la morale di un gatto randagio". Rise, ma più tardi quella sera vidi che stava cercando la parola "mellifluo" nel dizionario ». E' un brano di un racconto del comico americano Woody Alien, che ha il santo bernoccolo della buona « parodia » e quel senso dell'humour che in questa tetra Europa si è largamente per-| folle, duto. Confesso di preferire quel breve racconto di Alien alle lunghe pagine della Cordelier e della Kimball, perché Woody lo sento più « vero » della francese e per nulla « ragioniere » come l'americana, anzi perfino più umano di loro perché ilare e Luigi Compagnone

Luoghi citati: Chicago, Europa, Italia