Perché l'arresto può diventare prezzo eccessivo

Perché l'arresto può diventare prezzo eccessivo Il caso degli Enti lirici Perché l'arresto può diventare prezzo eccessivo Della vicenda giudiziaria che ha gettato nello scompiglio l'ambiente degli enti lirici italiani (trenta ordini di cattura, sia pur seguiti a breve distanza da altrettante ordinanze di libertà provvisoria), si può dire tutto, eccetto che fossero in gioco problemi di ordine pubblico, almeno nell'accezione in cui lo si intende oggi secondo l'ottica della legge Reale. L'occasione è, dunque, la più propizia per verificare — al di fuori delle tensioni e, quindi, delle suggestioni che la lotta contro le forme di criminalità attentatrici dell'ordine pubblico porta inevitabilmente con sé — fino a quale punto l'attuale regolamentazione della cosiddetta carcerazione preventiva sia conciliabile con la presunzione di non colpevolezza. Il dubbio che la normativa vigente consenta di far pagare al bene inviolabile della libertà personale un prezzo talvolta eccessivo (tanto più perché irreparabile) non è di data recente, ma proprio questa constatazione rende ancor più sorprendente che nulla si sia fatto sul piano legislativo per attutire in qualche modo i costi troppo duri di un sistema propenso a considerare «normale» un tipo di limitazione che dovrebbe essere «eccezionale». Diremmo, anzi, che la situazione si è aggravata sotto la spinta emozionale di alcuni fattori, innegabilmente importanti, ma pur sempre da affrontare con raziocinio: a parte l'incremento della già ricordata criminalità attentatrice dell'ordine pubblico, che ha portato ad inasprire le norme in materia di fermo, di libertà provvisoria e di scarcerazione automatica l'altrettanto sacrosanta esigenza di perseguire il dilagante malcostume amministrativo, finanziario e commerciale ha moltiplicato non solo il numero dei processi e delle imputazioni, ma anche il numero delle carcerazioni in via preventiva. La genericità, per non dire la vaghezza, della disposizione che legittima l'emanazione di un mandato od ordine di cattura facoltativo è tale da aprire davvero la strada a quello che, non senza polemica ed amara ironia, si suole definire «l'arresto facile». Basta che «esistano su/fidenti indizi di colpevolezza» in ordine ad un «delitio non colposo per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni» (vi possono, quindi, rientrare non pochi reati di competenza pretorile, aggravati e no) oppure in ordine ad un «delitto colposo per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a due anni o nel massimo a cinque anni». Il fatto che, per il computo della pena agli effetti in questione, si tenga conto delle circostanze aggravanti e non delle circostanze attenuanti, spiega quanto sia agevole raggiungere in via previsionali i vertici richiesti. Nessuna remora veramente chiarificatrice è giunta, neppure da parte della Corte Costituzionale, sotto l'angolo visuale delle finalità cui dovrebbe tendere, per trovare giustificazione, la carcerazione dell'imputato in attesa di giudizio. La confusione delle idee, favorita dal silenzio del legislatore, risulta ormai tanta che qualcuno mette in discussione persino il limite sin qui ritenuto come l'unico punto fermo: la custodia in corso di processo non dovrebbe avere mai la funzione di anticipare il momento di espiazione della pena. Ma, anche a prescindere da un cosi aberrante obiettivo, le finalità riconosciute «idonee» a legittimare la carcerazione preventiva presentano contenuti talmente svariati da consentire al magistrato di motivare facilmente il provvedimento limitativo: si va dalla preoccupazione di evitare la fuga dell'imputato alla semplice opportunità di garantirne la presenza in giudizio, dall'esistenza di precedenti analoghe imputazioni al criterio-principe consistente nel soddisfare «esigenze di carattere cautelare o strettamente inerenti al processo». Nella quale ultima formula può rientrare un cumulo di cose, pericolo di fuga compreso, e non soltanto il timore di un inquinamento delle prove. Quando si parla di eccessivo garantismo difensivo, si potrà forse aver ragione sotto il profilo degli avvisi, delle comunicazioni e di altre formalità, ma sicuramente non sotto il profilo della libertà personale. Qui siamo al livello più basso tra i Pae¬ ssbcbnmvnslmnuensclpcPronto il primo aereo antincendio italiano PISA — E' pronto ad entrare subito in azione contro gli incendi dei boschi il primo «aereo pompiere» italiano. E' un C.130 Hercules Con la punta delle ali color arancione, la coda con strisce dello stesso colore per essere meglio individuato da chi deve collaborare da terra, il C.130 antincendio è attrezzato con un sistema mobile americano denominato «Maffs». In un colpo solo, o tre passaggi, a quote di 25-30 metri, il C.130 scarica da due bocche sporgenti dal portellone dodici quintali di una miscela color rosso cupo che si trasforma in una pioggia di acqua e sostanze chimiche ritardanti. si appartenenti all'area della nostra civiltà giuridica. Il principio «in dubio prò liberiate», il canone del «sacrificio minimo per il bene della libertà personale» e l'esigenza di non subordinare indiscriminatamente il valore della libertà al valore della prevenzione non sono affatto un patrimonio acquisito dell'ordinamento processuale penale italiano, per la massima parte imperniato ancora su norme e criteri risalenti al 1930. A questo punto, il bisogno di una riforma organica, calibrata e moderna, si fa sentire in maniera non più differibile. Il «caso» dei trenta ordini di cattura che hanno colpito il mondo della lirica lo evidenzia in modo particolare, proprio per la sua ineccepibilità giuridica. Benissimo processare chicchessia quando emergano indizi di colpevolezza, ma la completa privazione della libertà personale prima di una sentenza di condanna deve trasformarsi in un rimedio estremo, da adottare in casi ben determinati e di innegabile pregiudizio per le indagini. La legge-delega per il nuovo codice di procedura penale, pur tanto criticata, offre un prezioso termine di riferimento, specialmente in questo settore. La custodia in carcere cessa di essere l'unica misura di coercizione personale, per diventare l'ultima di una serie, all'interno della quale il giudice — e non più il pubblico ministero — dovrà operare ogni volta la sua scelta in base ai criteri della «gradualità» (a partire dalla meno grave) e della «proporzionalità» con la pena irrogabile. Pure le finalità delle misure coercitive vi risultano indicate con sufficiente approssimazione: «Casi gravi in cui sussistano specijicate, inderogabili esigenze istruttorie» e «quando, per la pericolosità dell'imputato e per la gravità del reato, sussistano esigenze di tutela della collettività». L'indicazione della gravità del reato emerge, dunque, come l'elemento costante, da proporzionare anch'esso all'entità della singola misura. Ne consegue che, per la custodia in carcere, il livello di gravità dovrà attingere precisi livelli di indiscutibile rilievo. 11 destino, che non di rado si diverte a creare imbarazzanti coincidenze, ha voluto che i trenta ordini di cattura, tipici provvedimenti di competenza del pubblico ministero, venissero emanati all'indomani di un importante convegno giuridico svoltosi a Bologna con chiara intonazione critica nei confronti del nuovo codice di procedura penale. Senza volerlo, ma comunque con grande lealtà, quegli ordini di cattura hanno smentito i critici, dando un avallo prezioso alle istanze di riforma che stanno alla base della legge-delega. Oltretutto, ci vogliono processi più rapidi: le istruttorie che durano anni non vanno incoraggiate. Per questa ragione, l'Italia è stata recentemente dichiarata colpevole di non rispettare la Convenzione europea. Giovanni Censo

Persone citate: Casi, Giovanni Censo

Luoghi citati: Bologna, Italia, Pisa