Quell'originale di Ronconi è ormai cittadino di Prato

Quell'originale di Ronconi è ormai cittadino di Prato Incontro con il "regista degli esperimenti,, Quell'originale di Ronconi è ormai cittadino di Prato DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE PRATO — Scade a fine mese l'accordo biennale che ha legato uno dei nostri più originali registi, Luca Ronconi, alla città di Prato. E', forse, il «contratto» più inconsueto che sia stato firmato da un uomo di teatro ed un insieme di istituzioni pubbliche. Nel giugno 76, infatti, il Comune di Prato, la Provincia, la Regione, il Teatro Regionale Toscano e il locale teatro Metastasi si quotarono per permettere a Ronconi ed ai suoi attori di lavorare per due anni in città. Non gli chiesero, come avrebbero potuto, di istituire e dirigere un nuovo teatro stabile: e neppure di allestire un repertorio per gli appassionati pratesi e fiorentini. Lo invitarono a lavorare tra loro, mettendogli a disposizione, oltreché il Metastasi (un bellissimo teatro), un ex-convitto, il Magnolfi, e un vecchio, molto ampio capannone di fabbrica, il cosiddetto Fabbricone. Ronconi istituì, accogliendo l'invito, il Laboratorio di Progettazione Teatrale: radunò, cioè, in pianta stabile i suoi attori e associò loro, con diversi, specifici compiti di studio, vari gruppi di ricerca, i cosiddetti «borsisti». Al termine dell'esperimento, o di quello che Ronconi ha sempre definito «il biennio preparatorio», siamo stati a Prato a discorrere col regista. Ne è nata non un'intervista (Ronconi è quasi impossibile da intervistare, nel senso tecnico del termine, perché ha un terrore metafisico delle risposte univoche), ma una sorta di colloquio: nella pausa di una giornata di quattordici ore filate di prove. Tentiamo intanto un bilancio di quello che il Laboratorio ha realizzato a livello di spettacoli. «Avevo impostato un programma di quattro opere, le Baccanti di Euripide, la Vita è sogno di Calderon de la Barca, il Calderon di Pasolini e la Torre di Hofmannsthal. Non erano quattro opere scelte a caso: anzi, sono legate da una profonda affinità. Sono quattro discorsi, in fasi storiche assai diverse, sul potere e sulla ribellione da una parte; e sulla perdita d'identità dell'individuo dall'altra. Su questi due temi fondamentali abbiamo impostato il lavoro: e, naturalmente, sul confronto continuo dei varii tipi di linguaggio: quello lucido, ma, a tratti, densamente ermetico di Euripide; quello altamente retorico di Pasolini; quello continuamente "interrotto", ai confini della noncomunicazione, di Hofmannsthal. Sul piano realizzativo, non siamo riusciti a mettere in scena (anche se lo abbiamo provato a lungo) la Vita è sogno di Calderon: due altri testi sono stati allestiti, le Baccanti sono recitate dalla Fabbri sin da febbraio; il Calderon di Pasolini è al Metastasio da maggio, in due sere distinte. La Torre esordisce al Fabbricone sabato e domenica prossima. Recitiamo i cinque atti della prima stesura in due serate. Intanto abbiamo ultimato, per il secondo canale, le riprese televisive dei primi tre atti: e sembra che non ci chiederanno di riprendere i due restanti». Eppure qualcuno dei responsabili locali vi rimprovera di avere fatto troppo poco rispetto all'investimento. Si parla di un costo complessivo di seicentocinquanta milioni e di un loro «rendimento» relativo. «Mi rifiuto di parlare in termini di investimento e rendimento: e non perché mi senta superiore a questioni di cifre. Se dovessi mettermi su questo piano, do vrei ribattere che tutti gli attori hanno accettato per due anni di essere pagati al minimo sindacale e solo nei giorni in cui provavano o recitavano. Dovrei precisare che a quella cifra ha anche contribuito la nostra Cooperativa Tusculano; che c'è un recupero sull'allestimento televisivo, Preferisco dire che abbiamo dato a Prato cinque spettacoli (ognuna delle due serate da Pasolini e Hofmannsthal è un grosso spettacolo a sé): e certo non abbiamo nuociuto, sul piano culturale, all'immagine della città». Dimmi allora cosa proponi ai politici pratesi. «Di rinnovare l'accordo per un anno. Riprenderemo Pasolini e Hofmannsthal, che molti devono ancora vedere. Daremo come novità la Vita è sogno. Come quarto vorrei realizzare un grosso spetta¬ L'albero degli zoccoli venduto a 9 Paesi ROMA — L'albero degli zoccoli il film di Olmi pròdotto dalla Rai e dall'Italno leggio e vincitore della- Palma d'oro al festival di Cannes, sarà proiettato nella prossima stagione nelle sale cinematografiche delle più importanti nazioni europee. La Sacis (la consociata della Rai per le attività commerciali) e l'Italno leggio, che effettuano congiuntamente la distribuzione, hanno già ceduto il film di Olmi a Francia, Germania Spagna, Austria, Belgio, Olan da, Norvegia, Svizzera e Grecia. Ieri il consiglio di ammini strazione della Sacis ha approvato il contratto di ces sione per i diritti cinema e televisione nei Paesi di lingua tedesca dove verrà distribuito dalla Janus. Altri due film di Olmi, prodotti dalla Rai, La circostanza e / recuperanti sono stati ceduti durante il festival di Cannes dalla Sacis per la distribuzione televisiva e cinematografica in Francia. colo all'aperto, forse in campagna. Non chiedermi a che testo penso. Non ho ancora le idee chiare, in proposito». Lasciamo da parte i problemi organizzativi. Come consideri questi due anni sul piano della ricerca teatrale? «Molto positivamente. Abbiamo potuto lavorare con quella concentrazione e quella tranquillità che solo una cittadina di provincia garantisce. Dodici attori il primo anno, sedici il secondo (senza contare la quindicina di ricercatori e borsisti) sono stati insieme giorno dopo giorno, ora per ora. Hanno avuto la possibilità di una verifica costante e continua. Hanno potuto provarsi capillarmente e in profondità. Non li ho mai visti irrequieti o insofferenti: ma sempre vigili, tesi, appassionati. E' un grosso privilegio e un grande risultato, già di per sé». E per te cosa hanno contato questi due anni? «Moltissimo. Ho dato, ma ho ricevuto, è ovvio. Certi problemi che mi stanno a cuore da quando ho cominciato, dodici anni fa, qui li ho sviscerati a fondo, da capo: come la strutturazione dello spazio e il problema della comunicazione». Però, ogni tanto, fai delle piccole evasioni, fai re¬ gie per la lirica o per altri teatri. «Evado sempre meno, di qui. L'anno prossimo vorrei fare una sola regia teatrale, fuori: Il pappagallo verde di Schuitzler, un testo molto divertente, per lo Stabile di Genova. Poi ho un paio di impegni con il teatro d'opera, ma nel '79: la ripresa della Tetralogia wagneriana con Zubin Mehta, prima al Comunale di Firenze, poi alla Scala; e un Macbeth a Berlino Ovest. Il resto del tempo vorrei passarlo qui. Adesso è davvero venuto il momento di lavorare con Prato e per Prato. Quando ci sono arrivato, ho detto a chiare lettere che non eravamo un gruppo di animazione teatrale o roba del genere. Ho precisato che avremmo dialogato con i pratesi dinanzi al nostro lavoro e a lavoro finito. Adesso bisogna farlo diventare oggetto di discorso». Ma non hai mai voglia di riposarti, di allestire qualcosa di leggero, di inutile? «Guai se lo scrivi, ma quest'anno ho pensato per un po' alla Dolce intimità, o Vite private che dir si voglia, di Noel Coxvard. Ti ricordi com'è carino? Volevo recitarci anch'io, con gli altri. E pensa che non faccio più l'attore da quindici anni...». Guido Davico Bonino