BASTERÀ UNA LEGGE A SANARE I NOSTRI SERVIZI SEGRETI? di Igor Man

BASTERÀ UNA LEGGE A SANARE I NOSTRI SERVIZI SEGRETI? BASTERÀ UNA LEGGE A SANARE I NOSTRI SERVIZI SEGRETI? Schedarono anche Saragate il Papa Lo decise il generale De Lorenzo - Nominato nel '55 capo del esplose lo scandalo, ne lasciò 157 mila - Dal '70 proliferò il Sid Sifar, vi trovò circa 10 mila fascicoli; quando dieci anni dopo di Miceli, tollerante verso i terroristi arabi e l'attività del Kgb ROMA — Non è un mistero come gli italiani guardino ai servizi segreti con diffidenza, per non dir di peggio. Perché? Una ragione c'è, rispondono i sociologi: gli italiani non hanno il senso t". Ilo Stato, non solo, ma hanno dello stesso u;."dea vaga, astratta, che sovente coincide con una immagine non proprio edificante. Ma va detto anche, per restare nel tema, come alla creazione di una certa immagine « manzoniana » dello Stato abbiano concorso, in buona parte, proprio coloro che dovevano garantirne la sicurezza e, quindi, la democraticità. La mancanza di un'antica tradizione democratica ha fatto sì che gli uomini preposti agli organismi di sicurezza dello Stato, dal « capo » all'ultima « spia », raramente abbiano lavorato al servizio della comunità, nell'interesse supremo del Paese, preferendo « per mancan¬ za i'l educazione civica », servire questo o quel potente, uno o più gruppi di potere. Diremo allora che non è tanto il lavoro di agente segreto, in se stesso, a provocar diffidenza nel cittadino, quanto il modo con cui codesto « lavoro » è stato svolto, in particolare dalla fine del 1955 ad oggi. Durante il fascismo il servizio segreto si chiamava Sim. Dire Sim e pensare all'assassinio dei fratelli Rosselli è tutt'uno. Del pari, la sigla Sim evoca fantasmi sinistri e anche grotteschi: si pensi all'ineffabile generale Carboni, l'uomo della mancata difesa di Roma. (Subito dopo l'armistizio, il Carboni si rintanò in un appartamento di Piazzale delle Muse, « base esterna » del Sim: il Paese rovinava e lui promuoveva lunghe sedute spiritiche cercando dì ricavare consigli dalla medium, la portinaia dello stabile, che « comunicava » « attraverso una serie di ineducati borborigmi »). Ma del complesso e brutale apparato del Sim — e dei « secondi uffici » degli stati maggiori delle tre armi —, qualcosa si salvò. E, come ha scritto Renzo Trionferà, il maggior storico dei nostri servizi segreti, « solo per la tenace volontà dei carabinieri rimasti fedeli al legittimo governo e per l'efficienza del servizio informazioni della marina da guerra. Si trattò di un salvataggio prezioso: nonostante l'asprezza delle "lausole d'armistizio, gli alleati lasciarono non soltanto sopravvivere i nostri organismi informativi, ma ne consentirono il potenziamento, riconoscendone il valido apporto durante la cobelligeranza ». // compito di consolidare nella legalità il neo-Sifar (che si sostituiva al Sim) toccò al generale dei carabinieri Eugenio Piccardo. Ne fece un organismo agile, ar- ticolato su due uffici fondamentali: l'ufficio I, « offensivo »; l'ufficio D, « difensivo ». Negli anni caldi del referendum istituzionale, il socialista Giuseppe Romita, ministro dell'Interno, creava la direzione affari riservati. I campi di azione, per molto tempo, dovevano rimanere rigorosamente distinti. Così, gli affari riservati riuscirono a debellare le formazioni clandestine neofasciste mandando in galera i cosiddetti « bombardieri neri », mentre il Sifar conseguì risultati, spesso eccellenti, all'estero e in Italia, acquistando autorità e prestigio in seno alla Nato. Sotto la direzione del generale Ettore Musco il Sifar prese a preparare e ad aggiornare fascicoli segretissimi « ad esclusiva disposizione del governo e del capo di Stato maggiore generale ». Quando, alla fine del 1955, il generale Musco passò le consegne al generale Giovanni De Lorenzo, i fascicoli erano non più di diecimila. Dieci anni dopo allorché esplose lo scandalo Sifar, i fascicoli erano 157 mila. Le « deviazioni » del servizio segreto, durate vent'anni, cominciano con l'avvento a Palazzo Baracchini di De Lorenzo, avvento che coincide con la presenza al Quirinale di Giovanni Gronchi. Non ci interessa qui sapere se fu Gronchi, il quale, afferma Renzo Trionferà (cfr. Sifar Affair, ed. Reporter, 1968), «puntava soprattutto al raddoppio del settennato», c. servirsi di De Lorenzo o se fu il veramente diabolico generale a sfruttare le ambizioni dell'allora Presidente della Repubblica e i vari giuochi di sottogoverno per realizzare un perverso disegno politico. Quel che conta, ci sembra, è cercar di conoscere la decadenza dei nostri servizi segreti sulla scorta di fatti precisi. Molti di essi attendono ancora oggi una « spiegazione » e ciò mentre diventano operativi i nuovi servizi segreti (il Sismi e il Sisde), dopo la ristrutturazione sancita dal Parlamento il 24 ottobre 1977. De Lorenzo trasformò il primo reparto dell'ufficio D in una sorta di nuova Ovra. La consegna: « Schedare tutti ». Tutti, compreso Saragat, non escluso il cardinale Siri e persino Giovambattista Montini, nel frattempo divenuto Papa. Ma le deviazioni del Sifar non si limitano alle schedature che nulla avevano a che vedere con il controspionaggio. L'elenco delle « operazioni » volute da De Lorenzo è lungo e sembra incredibile che un uomo solo, per quanto intelligente e spregiudicato, abbia potuto fare e disfare a proprio piacimento durante lunghi anni. Prima come capo del Sifar, poi come comandante generale dei carabinieri (lo divenne diffamando con una « velina » il generale De Francesco) infine quale capo di stato maggiore dell'esercito, continuando ad essere il controllore assoluto del servizio segreto. « Operazione Terminillo » contro Cesare Merzagora; « Operazione Ammiraglio » contro Randolfo Pacciardi, un affare grottesco con la polizia in allarme sull'intero territorio nazionale durante un mese per scongiurare il sequestro, da parte di fantomatici barbouzes, del presidente Gronchi... E poi i microfoni nello studio del Presidente della Repubblica, al Quirinale; il « Piano Solo » e le famose liste di proscrizione compilate nel 1964 dal Sifar per ordine dì De Lorenzo in vista di una « emergenza », forse non troppo immaginaria se veramente, come sembra, il generale pensava a un colpo di Stato. Infine l'« Operazione biancheria », con cui De Lorenzo cercò di silurare il generale D'Aloja accusato di aver fatto il corredo alla figlia pescando nella cassa del reggimento. D'Aloja dimostrò di aver le mani pulite e riuscì a far saltare il generale Allavena, responsabile del servizio, fedelissimo di De Lorenzo. Il 12 giugno del 1966, l'ammiraglio Eugenio Henke diventa capo del Sifar: scopre subito come dall'archivio siano scomparsi trenta fascicoli riservati, fra cui quello del presidente Saragat. L'inchiesta Beolchini, il « rapporto Manes », l'indagine Lombardi fanno scoppiare quello che passerà alla storia come lo « scandalo Sifar ». De Lorenzo viene spedito in Giappone come consulente dell'Jri. Finirà poi in Parlamento, insieme con i suoi più tenaci accusatori, i giornalisti Scalfari e Jannuzzi, a suo tempo condannati dal tribunale. Non perché avessero detto il falso ma perché impossibilitati a provare il vero dai famosi omissis che mutilarono importanti documenti, nella presunzione di salvare il segreto militare. Nell'ottobre del 1970 capo C-ìl servizio segreto, trasformato in Sid, diventa il generale Vito Miceli. Nonostante la raccomandazioni della commissione parlamentare d'inchiesta, condensate in duemila pagine, il Sid viene abbandonato a se stesso. E prolifera mostruosamente. L'ufficio D invade la sfera di competenza degli Affari riservati (il rapporto dei fondi è di uno a cinquecento tra gli Affari riservati e il Sid). Sono gli anni della estrema tolleranza nei riguardi dei terroristi arabi, e dell'inaudita noncuranza verso l'attività del Kgb. Il Sid tesse trame oscure, Giannettini e Pozzan « fanno premio » sul controspionaggio. Sicché gli agenti stranieri sono liberi di servirsi dell'Italia come « di un terreno gentilmente concesso per le loro più o meno occulte manovre »: sono parole di Andreotti, quand'era ministro della Difesa. E sì deve praticamente ad Andreotti se il bubbone Sid scoppia. Miceli finisce in carcere ma, successivamente, arriva — anche lui — in Parla: lento coi voti dei neofascisti. E' « storia » di ieri, è « storia» di oggi. Il macchinoso processo di Catanzaro sulla strage di Piazza Fontana forsi ci dirà un giorno se le gravi accuse che pendono sul capo di Miceli e di alcuni suoi collaboratori sono fondate. Ma il governo, il Parlamento non potevano aspettare « quel giorno » per decidersi a voltar pagina. La ristrutturazione dei servizi segreti è stata sancita dalla legge 24 ottobre 1977 n. 801. I servizi segreti, dal 22 maggio, sono due: uno interno, Sisde (Servizio per l'informazione e la sicurezza democratica), ed uno esterno, Sismi (Servizio per le informazioni e la sicurezza militare). Coordina i servizi il Cesis (Comitato esecutivo per l'informazione e la sicurezza), alla diretta dipendenza del presidente del Consiglio, cui compete « l'alta direzione, la responsabilità politica e il coordinamento della politica informativa e di sicurezza ». L'art. 8 della legge vieta l'inquadramento di persone che « per comportamenti od azioni eversive (...) non diano sicuro affidamento di scrupolosa fedeltà ai valori della Costituzione repubblicana e antifascista ». Tina simile norma conferma a quale livello di inquinamento erano scaduti il Sifar e il Sid. Ma basterà una legge (che. fra l'altro, come vedremo altra volta, suscita non poche perplessità) a sanare l'annosa piaga dei servizi segreti italiani? Igor Man Il generale Vito Miceli

Luoghi citati: Catanzaro, Giappone, Italia, Roma