Cagliari guarda a Gioia Tauro

Cagliari guarda a Gioia Tauro SPERA NEL PORTO-CANALE, TEME IL FALLIMENTO Cagliari guarda a Gioia Tauro Per il primo lotto è prevista una spesa di 270 miliardi - L'opera dovrebbe promuovere industrie per venticinquemila lavoratori, ma rischia di rovinare il pescoso stagno di Santa Gilla e le saline di Macchiareddu DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE CAGLIARI — Dall'aereo che sta per toccare la pista di atterraggio si osservano i lavori del nuovo porto-canale: due lunghi moli convergenti partono dalla sottile lingua di sabbia che divide il mare aperto dallo stagno di Santa Gilla, macchine escavatrici solcano le immobili acque interne per aprire una via navigabile alle grandi navi. Alla periferia della città, lungo la strada diretta a Santa Margherita e a Teulada, vistosi cartelli informano che la Comunità economica europea dà un contributo di 22 miliardi di lire alla realizzazione di Quest'opera gigantesca e costosissima (il solo primo lotto richiederà una spesa di 270 miliardi), teoricamente destinata a promuovere insediamenti industriali nell'area cagliaritana e a inserire la Sardegna nel circuito intercontinentale dei traffici marittimi. Se ne parla molto in questi giorni, ma per un risvolto scandaloso: loschi affari all'interno di una rete di subappalti, che la magistratura sta esaminando. Il direttore di una impresa è in carcere, il titolare è fuggito. L'imbarazzo negli ambienti ufficiali è facilmente immaginabile. Il direttore del Consorzio per l'area industriale di Cagliari, avvocato Sirchia, preferisce non parlare dello scandalo: « Teniamolo separato dall'informazione sul progetto e sulle opere in corso». D'accordo, le estorsioni o truffe presunte non devono distrarre l'opinione pubblica dalle domande di fondo: il porto-canale è veramente un'opera necessaria, i suoi costi ambientali ed economici sono proporzionati ai benefici promessi? Come garantire ai sardi che tali benefici, principalmente posti di lavoro, arrivino sul serio e non si traducano in una ennesima beffa ripetendo il disastro della petrolchimica? «Il porto-canale è ormai in avanzata costruzione. Sarebbe un grave errore fermare i lavori per rivedere da capo il progetto. Va tenuto conto del fatto che il piano è stato ridimensionato, in funzione di industrie medie e piccole, rinunciando alle grandi industrie di base dopo la crisi della siderurgia e della petrolchimica», mi dice l'avvocato Sirchia. Quanti posti di lavoro sono previsti nell'area industriale servita dal porto-canale? «Dovremmo arrivare a 25 mila unità, tra occupazione diretta e indiretta». Con quali certezze, in quali industrie? La risposta del direttore del Consorzio per l'area industriale di Cagliari illumina l'intera situazione sarda: «Non dimentichi che noi facciamo i piani, poi il Cipe e le industrie mosse da Roma vanno per loro conto». Morale: il porto-canale viene realizzato, ma nessuno può garantire ai sardi che i 25 mila posti di lavoro siano un giorno veramente disponibili. L'opera, che qualcuno ha malignamente definito «una Gioia Tauro in edizione ridotta», dovrebbe essere pronta nel 1980. Sono avanzati i lavori per l'avamporto, costituito dai due moli foranei già visibili e da grandi piazzali sull'orlo esterno della striscia sabbiosa che delimita lo stagno di Cagliari. Viene scavato, all'interno dello stagno, un primo tratto di canale navigabile lungo 2500 metri e profondo 14, che permetterà a grandi navi da carico (fino a 60 mila tonnellate) di raggiungere gli spazi destinati allo sbarco e imbarco di containers (circa 150 ettari) e alle altre attività portuali. Complessivamente oltre 500 ettari verranno colmati, sottraendoli allo stagno di Santa Gilla e alle saline di Macchiareddu. Previsioni di traffico: 5 milioni di tonnellate l'anno per movimento di merci in containers, 2 milioni e 700 mila tonnellate di altre merci e minerali. Valeva la pena di spendere 270 miliardi, con previsione di arrivare a 400, alterando in modo definitivo e irrimediabile l'ambiente fisico del litorale di ponente e degli stagni di Cagliari, un tempo fonti notevoli di occupazione attraverso lo sfruttamento delle saline e l'attività dei pescatori dì Santa Gilla? I fautori del porto-canale negano che il porto commerciale di Cagliari possa assolvere compiti analoghi, benché sia stato ingrandito. Resta il fatto che nel porto commerciale esistono vastissimi specchi d'acqua inutilizzati, spazi a terra del tutto deserti, banchine ancora da attrezzare. Alle spalle del vecchio porto, sulla riva sinistra dello stagno di Santa Gilla, spazi estesi quanto una buona metà del costruendo terminal containers sono occupati da rifiuti, da ruderi di magazzini e stabilimenti abbandonati. Appare quasi assurda la ricerca di nuove aree a spese degli stagni preziosi mentre le aree disponibili vengono trascurate e offrono uno spettacolo a dir poco indecoroso. Non dovrebbe essere difficile variare vecchi piani regolatori per destinarle a usi più appropriati, risparmiando lo spreco e i danni ecologici dell'interramento degli stagni. Un tempo il progetto del porto-canale aveva favori quasi unanimi. L'idea, già contenuta nel vecchio «piano di rinascita», si era affermata dieci anni fa, sull'onda dei successi di altri porti industriali europei (Marsiglia-Fos e la siderurgia, Rotterdam, e la petrolchimica però non prevalente fino a essere monocoltura). Il fronte ecologico, disunito e debole, non aveva opposto inizialmente valide critiche e non aveva informato la stampa sulle conseguenze ambientali. La difesa degli stagni, che costituiscono una vera e propria laguna un tempo vasta oltre 4000 ettari, appariva di importanza secondaria di fronte alle promesse di svi- luppo industriale e di occupazione. Poi ci fu la lezione della petrolchimica: migliaia di miliardi sperperati, il golfo di Cagliari inquinato come quello di Porto Torres, gli stagni di Cagliari avvelenati da mercurio, fenoli e altre diavolerie, la valle del Tirso stravolta per sempre. L'occupazione promessa si è ridotta oggi a un vero e proprio fallimento dell'impero petrolchimico, che chiede altri miliardi minacciando licenziamenti in massa da stabilimenti appena costruiti. Quell'esperienza ha reso diffidenti i sardi. Molti oggi chiedono che prima di ultimare il porto industriale si compiano due operazioni indispensabili: indagine ecologica sulle conseguenze dello scavo del canale e dell'interramento di centinaia di ettari, indagine economica sui costi e benefici. Non bastano le assicurazioni generiche di «ricupero ecologico» degli stagni e di loro destinazione alla piscicoltura. «L'ottima ricerca svolta anni fa dall'università di Cagliari, per conto della Regione, sull'inquinamento dello stagno di Santa Gilla non va contrabbandata come una conferma scientifica del progetto portuale. Nella relazione si diceva che il canale potrebbe far aumentare la salinità dello stagno, migliorando la qualità delle acque. Ma si avvertiva anche che gli idrocarburi portati dalle navi potrebbero causare gravi danni, che il canale rappresenta una scelta infelice, che la pesca e l'acquacoltura saranno possibili a Santa Gilla soltanto dopo grandi opere di sistemazione idraulica e di bonifica ambientale», mi dice il presidente della sezione di «Italia Nostra», Romagnino. E' tramontato il tempo delle promesse e dei «miliardi facili», delle aggressioni alla natura e alla cultura della Sardegna compiute senza resistenze. Non sarebbe ragionevole chiedere sommariamente il blocco dei lavori al porto-canale. Ma è lecito esigere indagini scientifiche specifiche, bilanci precisi dei costi-benefici in termini ambientali ed economici. Quanti posti di lavoro darebbe la pesca su scala industriale nella laguna rigenerata e riportata alle sue dimensioni naturali? Quali industrie di avanguardia possono essere invitate nell'area di Cagliari, senza necessità di smisurate banchine portuali? Anche in Sardegna i responsabili della cosa pubblica devono convertirsi alla concretezza, e al dialogo che può evitare altri errori. Mario Fazio

Persone citate: Mario Fazio, Romagnino, Sirchia