Anche la Basilicata oggi chiama Roma

Anche la Basilicata oggi chiama Roma MA IL MEZZOGIORNO DEVE PRIMA RISOLVERE I SUOI CONTRASTI INTERNI Anche la Basilicata oggi chiama Roma Il Mezzogiorno torna a Roma. Prima la Campania e la Calabria, con le loro «vertenze». Questa mattina, 7 giugno, in Campidoglio, la Regione Basilicata presenta al governo, nel corso di un'apposita manifestazione, un documento di riflessione, di proposte. Il consiglio regionale si riunisce in seduta aperta, insieme con i sindaci, i parlamentari, gli esponenti sindacali e imprenditoriali, nella sala della Protomoteca, per dare incisività alla «vertenza Basilicata ». Le difficoltà aumentano: la pressione dei disoccupati (circa 60 mila) sull'Ente Regione è divenuta ormai costante, ristagnano i nodi nazionali, come quello della Liquichimica, sulla cui ubicazione la polemica è divampata. Ora, coi guai che corrono in casa Ursini e nel settore, quest'ultima speranza si è allontanata. Tra Baffi e Lama Mentre Baffi chiama Lama, Potenza chiama Roma: la Cassa per il Mezzogiorno, le Partecipazioni statali, la Gepi, 1 ministeri ordinari, quello dei Lavori Pubblici, quello dei Trasporti, il governo nel suo complesso. Nell'elenco dei problemi, al quale gli amministratori regionali hanno voluto togliere ogni carattere di contestazione e di lamentazione, entrano ì problemi dell'irrigazione, degli acquedotti, della difesa del suolo, dellU Diversità, sulla cui struttura e finalità non dovrebbero sussistere dubbi di provincialismo sprecone nè di tardoumaneslmo. Insomma i ritardi generali pesano sulla piccola regione di 600 mila abitanti, che vede ridursi le possibilità future di occupazione, innescando così processi vertenziali regionali che non sem¬ pre in passato in tutto il Mezzogiorno, s'intende, si sono inquadrati in una logica imitarla meridionalista, dando luogo così alla cosiddetta «guerra fra i poveri». Il «ritorno a Roma», per di più. in periodo di grave crisi, dopo circa 10 anni di esperienza regionale, presenta caratteri contrastantì. E' giusto pungolare il governo, la spesa ordinaria, e gli organi dell'intervento straordinario (Cassa per il Mezzogiorno, e, per la formazione e l'assistenza, Formez e Iasm, che già collaborano strettamente con il governo regionale), ma in tal modo l'essenza politica della «questione meridionale» viene stravolta, con risultati di vera e propria diseducazione. Il divario strutturale NordSud può essere colmato da politiche generali (nazionali ed europee) economico-finanziarie programmate. Il Mezzogiorno organizzato deve esercitare la sua pressione nei confronti della Confederazione unitaria dei sindacati, della Confindustria, perché pongano come grande questione nazionale il problema del Mezzogiorno ed indirizzino all'obiettivo Mezzogiorno le politiche salariali, contrattuali, industriali («ristrutturazione al Nord, riconversione e nuove iniziative al Sud»: non era questa l'auspicata valenza meridionalista della legge di riconversione industriale?), di risanamento dell'impresa pubblica o semipubblica. Il quadro di riferimento di ogni piano o progetto o legge non può non essere il divario Nord-Sud. E' vero che il potere centrale si è rafforzato — e questo giustifica in un certo senso il ritorno a Roma —, ma è anche vero che le regioni meridionali debbono ancora dispiegare tutto il loro potenziale organizzativo di moder¬ nizzazione e di spesa programmata e produttiva, cioè non assistenziale, tutta la loro capacità di innescare processi innovativi e di trasferimento delle tecnologie creando le strutture tecnologiche nella pubblica amministrazione, nel sistema produttivo e sociale. Senza capitali Esse debbono presentarsi, tutte insieme — assistite dagli organi tecnici dell'intervento straordinario — nel «cuore del sistema», a Milano, a Torino, nei distretti industriali europei, per dimostrare — dati alla mano — quello che ancora pochi sunno: che il Mezzogiorno presenta nuove ed effettive opportunità, è profondamente cambiato e maggiormente dotato di infrastrutture, di «capacità direzionale», di «soggettività», di «nuovi circuiti di responsabilità», di impegno tecnico-progettuale, così come ha dimostrato un istituto insospettabile qual è il Censis in un recente Spunto per la discussione elaborato da Colavitti, De Rita e Marongiu. Il discorso del riequilibrio e della natura strutturale della crisi va dunque oltre il Campidoglio e investe direttamente i partiti e le centrali sindacali (nelle loro storicamente difficili sintesi unitarie), perchè la nuova loro coscienza si traduca in azioni coerenti. Una sfida concreta, ancorata a esigenze reali, nel momento in cui assume competenza nella gestione del territorio, è stata già lanciata nei mesi scorsi dall'assessore al Turismo, Viti, e dalla Regione Basilicata, alla ricerca della sua identità, come si "spresse il presidente della giunta sen. Verrastro. Di che si tratta? Il Mezzogiorno ha storicamente sofferto di deficienza di capitali e di quadri tecnico-manageriali. Per realizzare un catasto delle risorse storico-ambientali (la peculiarità storico-culturale-archeologica della regione è innegabile) e per gestirle l'Ente Regione provvederà ai finanziamenti per la formazione dei quadri e per la ricerca creando a Maratea, nella casa di P.S. Nitti, un centro di formazione. Esiste un progetto in piena regola. L'hanno elaborato il Formez, che non da ora rivolge la sua attenzione al nesso pianificazione per ambiti-formazione dei tecnici addetti, e la Fondazione Lerici, che si avvalgono di un comitato tecnico-scientifico composto da esperti nazionali e locali di insospettabile competenza. « Mezza Italia, sacra a' terremoti e a' vulcani», come scrisse Giustino Fortunato, «agronomicamente vai pressocché nulla» se non si risolve il rapporto uomo-natura. Ma la storia delle frane, delle alluvioni, degli smottamenti degli abitati continua. Non è questa ima priorità assoluta? In questi giorni è ancora viva una contesa che risale a molti anni addietro. Il consorzio di bonifica dell'Arneo, a nome di tutto il Salento, ha avanzato alla Cassa per il Mezzogiorno una proposta di studio e di progettazione di massima, firmato da un tecnico di fama internazionale, il prof. Cotecchia, di una direttrice Grottaglie (Taranto) — Ugento (Lecce), lungo la quale si dovrebbe articolare la captazione e l'uso integrato di disponibilità idriche di diversa provenienza. Qui comincia la storia odierna. A questa direttrice, secondo la Regione Puglia, dovrebbero confluire le acque che si rendessero disponibili del sistema Sinni, uno dei cinque fiu¬ mi lucani, inteso come disponibilità attuali (M. Cotugno) e future (da altri fiumi e torrenti). La Regione Basilicata sostiene che il serbatoio di M. Cotugno non rende disponibili attualmente acque da convogliare alla Puglia. Questa ribatte che il sistema Sinni è molto più esteso e si inquadra nella metodologia dell'analisi dei sistemi, di cui si occupa il consigliere della Cassa, Petriccione, che consente una pianificazione ottimale idrica delle due regioni limitrofe. Il presidente della Cassa, Servitilo, ha tentato più volte di mediare, così come aveva fatto il suo precedecessore, Pescatore, fra chi detiene abbondanti risorse ìdriche e chi ne è privo, col mettere a diretto confronto i tecnici pugliesi e lucani e utilizzando approfondite indagini produttive e socio-economiche condotte sia dai tecnici della Cassa (Giulio Leone e Antonio Jamalio) sia da studiosi italiani esterni di tutto rispetto. Per il Duemila La Basilicata dice: teniamoci le nostre risorse per il 2000, garantiamoci per lo sviluppo futuro. Pesa ancora, forse, il retaggio dell'antica miseria, dell'emarginazione, j II problema ha risvolti politici. Chi vuol dare l'acqua al I Salento che non ne può fare I assolutamente a meno, per miscelare le sue acque salmastre, è considerato un traditore; chi vuol tenersela in casa un provinciale arretrato. Le popolazioni del bacino del fiume Cavone si oppongono alla costruzione di un invaso in pianura, che andrebbe a scapito dell'agricoltura già esistente. A Senise c'è stata battaglia accesa negli anni scorsi. L'attuale contesa «per l'ultima goccia» non tiene conto delle infinite possibilità future grazie alle tecnologie avanzate. Si deve continuare a studiare, col metodo dell'analisi dei sistemi, che non consente limiti territoriali di indagine, si debbono continuare a fare i calcoli. Bisogna esplorare altre fonti idriche, bisogna verificare i bilanci idrici. Superare i contrasti e identificare rapidamente soluzioni di comune accordo. Ecco quello che tutti si aspettano. Verrà dal Campidoglio una chiara risposta meridionalista da parte della dirigenza lucana, che ha dato finora notevoli prove complessive di efficienza, dal consiglio regionale e dal suo presidente, Schettini, dal governo e dal suo presidente Verrastro, da Cascino, uno dei tre rappresentanti delle regioni meridionali nell'esecutivo del comitato delle Regioni? Se la risposta sarà positiva — come non dubito — essa sarà conforme alle grandi tradizioni del meridionalismo lucano che ancora oggi si esprime in termini aggiornati, con la rinnovata presenza di « Basilicata», la rivista di Leonardo Sacco, con lo studio di Salvatore Cafiero della Svimez, con la recentissima antologia «Fra passato e presente», curata dal deputato comunista Nino Calice, pubblicata dall'editore Teti di Milano, dove il lettore attento troverà almeno sette saggi, nella sezione «Economia e territorio», di altrettanti studiosi, dedicati all'agricoltura e all'ambiente, da Colangelo a Casilio, da Mastroberti a Puglisi, da Carena a Damiano e infine a Deciò Scardaccione che, per le sue specifiche competenze e la sua esperienza diretta, si è occupato delle risorse idriche. Vittore Fiore