II serpente italiano provoca Berlino di Giorgio Manacorda

II serpente italiano provoca Berlino GLI HAPPENING TEATRALI DELLA POST-AVANGUARDIA II serpente italiano provoca Berlino BERLINO OVEST — Meteorologicamente non c'è differenza: un tempo splendido come nella migliore Roma primaverile. Non durerà: come a Roma avremo giorni di scirocco e pioggia. La situazione è imbarazzante: come si fa a « vivere » Berlino, così nordica e astratta, così « tecnologica », immersi nell'aria pesante del Mediterraneo? Se è vero che le perturbazioni atmosferiche hanno conseguenze sul comportamento umano, potremmo ascrìvere all'assenza di vento, alla pressione bassa e al patologico tasso di umidità dell'aria, alcuni accadimenti sorprendenti, alcune fatali sbadataggini verificatesi fra ì teatri italiani. Ma procediamo con ordine. I gruppi della « Post-avanguardia » italiana: gli attori singoli e i microgruppi che ruotano intorno al «Beat 72» sotto l'egida di Simona Cardia e Ulisse Benedetti (alludo a Rossella Or, Mario Romano, Marco del Re e Cecilia Nesbitt), « il teatro degli opposti» (Alessandro Figurelli e Giovanni Zanot), « Il carrozzone » di Firenze e « La Gaia Scienza » di Roma, nonché alcuni poeti (occultamente guidati da Franco Cor delti): Valentino Zeichen, Giuseppe Conte, Dario Bellezza, Ceserà Viviani. E, infine, il « Gruppo Strumentale Beat 72 ». Tutta questa gente, la «Post-avanguardia» appunto, è stata invitata a Berlino nell'ambito dei « Theater-treffen ». gli incontri teatrali del 1978. Soltanto a limitarsi alla sezione dedicata alla ricerca internazionale (organizzata dalla Deutsche Akademie der Kunste e per la parte italiana da Giuseppe Bartolucci), erano presenti a Berlino gruppi inglesi (Abrakadabr, Sheer Madness e Nola raeLondon Mime), americani (Noel & Nicola di San Francisco, il Teatro campesino di San Bautista, Ze'va Cooen e Dance Theatre Susan Buig di Parigi) e poi, naturalmente, gruppi tedeschi come la Gruppe Neue Musile e la Theatergruppe Stimme und Bewegung di Berlino, il Folkwang Tanz-Studio di Essen, il Robert Salomon Tanztheater di Dusseldorf ed altri ancora. Tutto ciò accade nell'ambito di una sezione dei « Theater-treffen » intitolata Pantomime, musik, tanz, theater, a sottolineare l'interdisciplinarietà della ricerca in senso lato teatrale. Gli italiani sono «padroni» del «Bethanien», un'ex-casa di cura ora adattata a spazio polifunzionale per attivi- e e , o . a a i , l a a à o n o , a a l e i i , a e e è tà artistiche. A due passi dal « muro », immerso nel verde di un parco ai margini del Kreuzber (il quartiere turco) il «Bethanien» è uno dei pochi oggetti architettonici di Berlino che non sia orrendamente moderno, benché non troppo pregevole. Lo spazio teatrale è l'ex cappella della casa di cura: due brevi navate velate da esili colonne e il palcoscenico (o meglio la pedana) dove una volta c'era l'altare: lì Simone Carella ha piazzato il suo «serpentone» di plastica, le sue luci astratte, il suo piccolo cervello elettronico. Lo spettacolo senza attori l'Esempi di lucidità; ha preso il via nel rimbombo assordante della musica «stratosferica» che lo accompagna. Lo splendido effetto, tra fantascientifico e surreale, che si realizzava nella nera cripta del « Beat 72 » riempita dall'alta marea del «serpentone» che cresce sotto una superficie in qualche maniera marina o lavica, si perdeva qui nell'arco delle navate e nel bianco lancinante e aperto dell'abside. Gli spettatori l'hanno presa come una pura e semplice provocazione: una ragazza, esasperata, ha aggredito «il serpentone » e gli ha materialmente tirato il collo. Al suo segnale altri spettatori hanno assaltato l'informe mostro di plastica: gli attori, con tanta decisione espunti da Carella, si sono violentemente ripresentati sulla scena sotto forma di spettatori. Carella aveva delegato l'azione al calcolatore, ma « gli umani » si sono ripresi l'azione e l'hanno brutalmente conclusa staccando la spina e uccidendo così il cervello «meccanico». E' stato un successo o un fallimento? Uno splendido happening o il franare di una rigorosa ipotesi di teatro concettuale? Gli spettatoriattori hanno capito tutto o non hanno capito niente? Il dubbio rimane, fecondo o infecondo? Nel dubbio La Gaia Scienza inconsapevolmente prepara catastrofi. Lo scirocco risveglia i piromani come le notti di luna il lupo che è sopito in noi? Sogni proibiti era il titolo di ciò che non è accaduto. La Gaia Scienza ha infatti bruciato il proprio spettacolo durante le prove. Letteralmente bruciato, con il fuoco vero. Mentre il fumo denso che sprigiona dal linoleum invadeva il «Bethanien» in un fuggi fuggi generale (grida, estintori impugnati eroicamente, «oh. Dio, svengo»; i pompieri berlinesi erano già lì, come evocati dal nulla, quasi fossero usciti dal fumo, generati dall'incendio. Brucia il teatro In pochissimi minuti tutto era polizia, transenne, autopompe, interrogatori. La Gaia Scienza è finita al completo nelle mani della «Kriminalpolizei», così sicuramente proibito è risultato il sogno di recitare a Berlino. A meno che non sia stata tutta una citazione (non casualmente goethiana!): nell'ultimo spettacolo della Gaia Scienza si partiva dal Wilhelm Meister ed ora si brucia il teatro come nel romanzo! E' veramente troppo: questa trasformazione della letteratura in vita; o il suo contrario? Per accreditare questa nobile, eccitante, pazzesca e letteraria ipotesi, Giorgio Barberio Corsetti, munito di adeguato pennarello, ripete il nome del protagonista goethiano sulle pareti bruciate del «Bethanien». Chi ci ha rimesso in tutto ciò è stato l'innocente Alessandro Figurelli, privato dal rogo dello spazio previsto per il suo spettacolo ^Scambi;. A nulla sono valsi i suoi tentativi di utilizzare comunque la sala bruciata o un altro spa¬ zio. Le autorità sono state inflessibili. Nella cappella bianca magicamente indenne infanto sì esibiva «Il Carrozzone», con uno spettacolo ^Vedute di Porto Said; decisamente inferiore a quelli precedenti. Anche l'aspetto più interessante, il lavoro sullo spazio, denotava una certa stanchezza, l'utilizzazione di schemi facili: per negare la legge di gravità non basta mettere un lampadario per traverso e tenere alzato il lembo di un tappeto: siamo in piena didascalia. Con questo non voglio dire che manchino momenti di invenzione felice, come lo spiazzamento finale in cui l'azione sì ripete di colpo identica sulla verticalità delle pareti, spericolata esibizione, degna dell'uomo ragno o d'altri inconsueti supermen. Il pubblico infatti non ha gradito e le recensioni locali (Die Welt; ironizzano lievemente. Forse le cose migliori, anche se le meno complesse, e quindi di più facile riuscita, sono Berlino 56 di Marco del Re e Cecilia Nesbitt e Solo performance di Rossella Or. Un fascio di luce rotante proietta sciabolando sulla scena un film sulla Berlino del '56, di lato stanno Marco e Cecilia che lentamente attraverseranno la scena da sinistra a destra: danno le spalle al pubblico e suonano un organetto. E' tutto e niente. Chissà, un ricordo chapliniano o comunque due figure che si fanno la loro umile e autonoma musica mentre il cielo è violentato da luci ancora belliche. L'inconsistenza dell'accadimento è in qualche modo poetica: la dilatazione del tempo, la minaccia aerea, il silenzio e l'organetto (un po' patetico?), l'assenza di recitazione, il solo movimento dei piedi e delle mani che suonano la voce di uno strumento perduto. Perduto è, invece, per Rossella Or un rapporto «naturale» con gli oggetti. Una donna si muove in un paesaggio astratto e quotidiano. Cadono vetri, si tendono fili. E' la pura alienazione, il recupero di singoli innominabili gesti di tutti i giorni e della loro profonda e appena percepibile angoscia: un processo paratattico di accu¬ mulazione di piccoli atti mancati, mera iterazione. Questo per ciò che riguarda il teatro. E la poesia? Tra tanti ospiti di tante parti del mondo, gli unici a portare anche la poesia sono stati gli italiani. Dietro il tavolo della cappella del «Bethanien» si sono avvicendati in semplice lettura Giuseppe Conte con i suoi rampanti Animali etruschi, Valentino Zeichen in leggiadra e svagata Ricreazione, Ceserà Viviani, quadrato e rigoroso, ha letto (anche lui) da un nuovo libro. Dario Bellezza invece si è rintanato in un angolo della cappella mentre la sua voce al magnetofono raccontava agli attoniti spettatori l'ilare e disperata esperienza di otto ore di camera di sicurezza nella Berlino - Est, causa lo smarrimento di un fondamentale permesso. La musica vince Incontrastato e caloroso il successo del «Gruppo Strumentale Beat 72» (Antonello Neri, pianoforte; Giovanni Piazza, corno; Renato Aprea, tromba zingara e tamburo; Giorgio Battistelli, percussioni; Peppe Basile, percussioni; Claudio Mapelli, sax). Bravura? Certo, ma anche vantaggi del linguaggio internazionale della musica, benché pure la parola dei poeti abbia avuto la sua parte di attenzione. Un giudizio complessivo su questa «avventura berlinese» è difficile: carenze organizzative vistose, incidenti clamorosi, ma all'interno di una presenza artistica compatta e corposa e, soprattutto, con caratteristiche di ricerca che nel contesto internazionale risaltavano per omogeneità di intenti. C'è insomma in segno italiano della ricerca teatrale, qualcosa che permette di riconoscere questi gruppi e di collocarli. Non è né il gesto, né la parola, né l'immagine: è lo spazio. L'uso dello spazio. Impressionante in questo l'entusiasmo dei ragazzi del «Carrozzone» per il muro di Berlino, a loro dire geniale intervento nello spazio urbano. Non avevo mai pensato al «muro» come ad un'opera di landart. Giorgio Manacorda Berlino. Concerto del gruppo strumentale « Beat 72 » al « Bethanien » (Foto Marsili) gruppi inglesi (Abrakadabril Robert Salomon Tanztheatà artistiche A due passi dal Bntasd