Segreti grandi e piccoli di Papa Giovanni di Lamberto Furno

Segreti grandi e piccoli di Papa Giovanni CE LI RACCONTA IL SUO SEGRETARIO LORIS CAPOVILLA Segreti grandi e piccoli di Papa Giovanni ROMA — «Prego Papa Giovanni ogni giorno come un santo». Sembra una delle migliaia di lettere a Specchio dei tempi, ed è invece una lettera speciale e di commovente attualità dopo la tragedia di via Fani, conclusasi il 9 maggio in via Caetani. La scrisse Aldo Moro nel giugno del '63 a monsignor Loris Francesco Capovilla per ringraziarlo di un «prezioso libro», molto caro a Giovanni XXIII, che gli aveva inviato come ricordo personale del grande Papa. A quindici anni dalla sua morte, l'ex segretario privato parte da questo episodio inedito per restituirci un ritratto vivo e sorprendente di quel Papa che, come scrisse A. C. Jemolo, «segnò un prima e un dopo». Incontriamo Capovilla al Centro culturale per l'informazione religiosa. Il suo racconto è una miniera di rivelazioni: dall'udienza ad Adjubei e a Rada Kruscev, ai contrasti con la Curia romana, dalla meticolosa preparazione dell'enciclica Pacem in Terris, al desiderio di Papa Giovanni di essere sepolto in una cappella del palazzo Laterano (non nell'attigua basilica di San Giovanni), a una serie di fatti tuttora sconosciuti. «Ho ripensato alle parole di Moro sulla sua tomba, a Torrita Tiberina. Ho pianto, come il 3 giugno '63, quando Papa Giovanni morì. Stimava Moro e desiderava incontrarlo sin dai primi mesi dopo la sua elezione al pontificato. Ma quanto sospirò quell'udienza e credo che anche Moro la sospirò. Ebbe luogo soltanto il 3 agosto del '62, qualche settimana prima dell'apertura del Concilio. Di Moro disse: "E' un cristiano ammodo e un uomo di aperto spirito sociale" ». Monsignor Capovilla rivela che Papa Giovanni «aveva avuto il coraggio» di leggersi, coscienziosamente, tutto il di¬ scorso di sei ore pronunciato da Moro a Napoli, quello in cui la de attuò l'apertura ai socialisti. L'avvìo del centro-sinistra. «Lo fece esaminare ai teologi della Curia, se ci fosse qualcosa che repugnasse alla dottrina cristiana. Era perfetto con il patrimonio rivelato. Allora, sottopose il dìscorso a dieci esperti in scienze sociali (monsignor Pavan, Ferrari-Toniolo, altri). La socialità di Moro era in linea con l'insegnamento della Chiesa » ricorda Capovilla. Un episodio ignoto E' un episodio sinora ignoto, che conferma la presenza pastorale e aperta di Papa Giovanni anche in quel delicato settore socio-politico nel quale seppe — come Paolo VI — rispettare la sovranità dello Stato, senza rinunciare ai diritti della Chiesa Mater et Magistra (così intitolò la sua grande enciclica sociale). «Fu veramente Papa di transizione, ma non nel senso restrittivo che molti gli attribuirono quando fu eletto. Lo fu nel senso di Papa che segnò il passaggio dall'era costantiniana all'epoca conciliare, di apertura profetica della Chiesa sul mondo». «Pontefice quasi ottantenne, rileva Capovilla, avrebbe potuto forse accontentarsi di distribuire benedizioni e ammonimenti. Nessuno l'avrebbe accusato di immobilismo, con gran probabilità la Chiesa avrebbe ugualmente avviato il processo di canonizzazione, anzi lo avrebbe condotto a termine con maggiore speditezza ». Poche settimane prima di morire, il 10 aprile 1963 aveva promulgato la Pacem in Terris, la sua straordinaria enciclica, il 7 marzo aveva ricevuto Adjubei, genero di Kruscev, e la moglie Rada. Due eventi che turbarono le prudenze vaticane e fecero protestare uomini al vertice della de, timorosi per le imminenti elezioni politiche del 28 aprile '63. Capovilla ha un importante episodio da narrare: «Io stesso un giorno mentre eravamo nel suo "office" gli domandai se non sarebbe stato meglio rimandare l'enciclica e inviare un bel regaio ad Adjubei, evitando l'udienza». Papa Giovanni, battendo una mano sulla spalla del segretario, replicò: «No, no. E' stato bene così. L'enciclica è dottrina purissima. Quanto ad Adjubei e Rada avrei smentito tutta la mia vita se non avessi ricevuto chi bussava alla mia porta ». Capovilla (che suoi critici di Curia definirono « notaio del centro-sinistra », « prete rosso» ecc.) confessa: «Feci di tutto anch'io perché Adjubei non venisse. Ma dovevamo pur ringraziare i sovietici che avevano per la prima volta votato a favore del Premio Balzan per la pace a un Papa. Comunque, per colmo di prudenza mettemmo accanto ad Adjubei, non il suo interprete di fiducia, ma il rettore del "Russicum". Degnissima persona, ma per un comunista non proprio un riguardo...». Quel mattino del 7 marzo '63, Giovanni XXIII vide entrare i due ospiti intimiditi, Rada vestita di un abito nero, con velo nero « come una buona cattolica ». Andò loro incontro a braccia tese, sorridente. E disse: « Avanti, io ho dimestichezza con la vostra liturgia ortodossa. Quando ero in Bulgaria, in Romania... Quando ero a Prinkipo fisoletta dei Dardanelli, n.d.rj, quante volte ho trovato il vostro Trotzki per strada. Mi faceva certe scappellate... ». Adjubei gli presentò i saluti di «mio suocero» , ossia nientemeno che Kruscev. Giovanni lo pregò di ringraziarlo, anche per la liberazione dell'arcivescovo ucraino Slipyi, decisa da Kruscev pochi mesi prima, nel dicembre '62, «come regalo di Natale per il Papa », disse. Capovilla rileva che molti, dopo il ritorno del prelato a Roma, se ne attribuirono i meriti. « Invece dovemmo quel gesto a Kennedy e a Norman Cousins, giornalista e parente di Kennedy. Fu Cousins che chiese a Kruscev di dare un segno di buona volontà liberando Slipyi». Adjubei disse: «Mio suocero domanda se non si potrebbe trovare un canale di comunicazione fra Vaticano e Urss, fuori dei rapporti diplomatici». La risposta di Giovanni XXIII sembra tratta dalla Bibbia: «Lei è giornalista? Allora conosce la Bibbia. Lei sa come si esprime il linguaggio biblico sulla creazione. Nel primo giorno Dio fece la luce e vide che era bella. Anche per noi è il primo giorno. I suoi occhi sono nei miei occhi. Questa è la luce per noi, per ora». / nipoti di Kruscev Poi, rivolto a Rada: «Quali sono i nomi dei suoi ragazzi?». Ma aggiunse subito, celiando: «Li conosco benissimo. Vede, i miei uffici me li hanno scritti in questo foglio che riguarda voi. Sono le informazioni di ogni udienza... Ma altra cosa è sentire pronunciare i nomi dei figli dalla mamma». Rada elencò: «Nikita, Alexis, Ivan...». Papa Giovanni commentò ogni nome. «Ivan sono io, disse, Ivan significa Giovanni Allora, signora Rada, una carezza a Ivan da parte mia». Domandiamo: qual è l'interpretazione fedele della famosa distinzione fra «ideologie false» e «movimenti storici» con i quali i cristiani possono collaborare, contenuta nella Pacem in Terris, quando si tratta di ateismo? «Corrisponde esattamente alla dottrina cristiana, replica Capovilla. Papa Giovanni diceva: "Quando confessi, non hai davanti la bestemmia o l'adulterio, ma il bestemmiatore o l'adultero". Si richiamava a Sant'Agostino. La Pacem in Terris fu seguita parola per parola dal Papa con monsignor Pietro Pavan, che la scrisse materialmente. Ma passò al vaglio di tutte le commissioni possibili e immaginabili, congregazioni e Sant'Offizio compreso. Su quel brano della distinzione non ci furono osservazioni di sorta. Ma siccome in Italia tutto è riportato alle elezioni, dopo le "politiche" del 28 aprile '63 in cui il pei aumentò c'era chi diceva: "Questa benedetta enciclica proprio non ci voleva, è stata intempestiva"». Appena eletto Papa (28 ottobre '58), dispose che le preghiere quaresimali sui «perfldis judaeis » fossero abolite, nella sua cappella privata e in San Giovanni, sua cattedrale come vescovo di Roma. In seguito le soppresse dai riti della settimana santa in tutta la Chiesa. E nel '60 chiese al cardinale Bea: «Che cosa si può fare per i figli di Israele? ». La definizione « Papa buono» fu usata per la prima volta in uno striscione esposto alla borgata Quarto Miglio in occasione di una visita di Giovanni XXIII. La scritta fu decisa — chi lo direbbe? — dal parroco e dai segretari di tutti i partiti della borgata, inclusi il pei e il psi. che volevano andare a ricevere Papa Giovanni. «Papa buono»: «E' un capolavoro in bocca agli umili, commenta Capovilla, è offensivo in bocca a certi potenti». Quando mori, il 3 giugno '63 alle ore 19,49, si realizzò una rara unita degli uomini. Capovilla ricorda: «Il senatore Gianquinto, comunista, ex sindaco di Venezia, mi scrìsse due giorni prima: "Mi dica che non è vero". Invece, Papa Giovanni stava morendo, sereno come sempre». Lamberto Furno