Andreotti di Furio Colombo

Andreotti Andreotti (Segue dalla 1' pagina) — ha detto Andreotti — non ho mai constatato l'esistenza di un progetto aggressivo. Questo mi ha persuaso che, nell'Alleanza Atlantica, l'Italia è parte di un meccanismo difensivo. Essendo fondata sulla difesa, la Nato è dunque un meccanismo dì stabilizzazione tra le aree conflittuali del mondo ». Biferendosi, anche nei colloqui informali che avevano preceduto il suo discorso, alla larga maggioranza che sostiene il suo governo, Andreotti ha potuto mostrare quasi fisicamente ai suoi ascoltatori che stava esponendo una tesi ampiamente condivisa dallo schieramento politico italiano: in platea, tra le delegazioni del mondo presenti, c'era infatti, nella sezione italiana, l'onorevole Giancarlo Pajetta in rappresentanza del partito comunista italiano. Andreotti ha svolto il suo discorso attraverso alcuni punti che ha definito di orientamento. Ha detto, intanto, che si tratta di confrontare un solido e serio progetto politico ed economico con una speranza che troppo spesso è svanita nell'utopia: «Assegnare al disegno politico un fine umano e migliore non è ricadere nell'utopia, purché si lavori a questo fine con realismo e gradualità. Ma l'aspetto essenziale è proprio questo: politica contro utopìa, progetto invece di sogno» Quale progetto? Andreotti ha voluto ricordare che è importante, prima di tutto, stabilire un riferimento per le generazioni che, in tanti Paesi, parlano di violenza o si lasciano tentare da essa, perché non sanno che cosa è la guerra. E' necessario, ha detto il primo ministro italiano, recuperare la memoria della storia, impedire che una tradizione interrotta riporti ondate di violenza e di odio sulle spalle di generazioni più anziane che alla violenza e all'odio hanno pagato prezzi altissimi durante l'ultima tragedia mondiale, dalle persecuzioni alla distruzione di massa. Essere giovani non può costituire una ragione per ignorare l'orrore della violenza. Ma aver provato l'orrore della violenza e aver rischiato la vita per combatterla non basta, se non si è in grado di passare una eredità morale alle generazioni che seguono. Ecco perché, secondo Andreotti, parlare di pace e di disarmo non è un simbolo e non è un sogno. « Prima ancora che di un progetto politico, si tratta dì un impegno pedagogico. Il mondo, e i suoi giovani, hanno bisogno del lavoro dì tutti per allontanare mani, immaginazione, pensieri e disegni dalle armi e dal feticcio dell'uso delle armi, come risposta ai mali del mondo o come vendetta contro il destino. Scienza, esperienza e storia dovrebbero avere insegnato abbastanza sull'orrenda inutilità delle guerre ». Oltre l'impegno pedagogico, ha detto Andreotti, c'è quello tecnico. « Il disarmo è il più delicato, il più arduo dei discorsi, anche perché ci portiamo addosso l'eredità di una storia che vede il continuo crescere delle armi, e si deve dunque procedere controcorrente. Ma un tracciato tecnico può guidare a una serie misurata e realistica di iniziative possibili e accettabili, capaci di lasciare una traccia. Questa traccia può espandersi e diventare tendenza, dare luogo a progetti più ampi, a impegni più estesi ». E' realistico, ha proseguito Andreotti, sapere quanto contano e quanto pesano le superpotenze nel destino di tutti. Ma è altrettanto realistico, e forse desiderato anche dalle superpotenze, che i Paesi minori restituiscano a se stessi un ruolo, ridisegnino uno spazio di iniziativa, e non cedano al pensiero di non avere una responsabilità nella storia. «Poiché le conseguenze di una guerra non farebbero distinzioni tra grandi e piccoli e tra scelte ideologiche, non può e non deve fare distinzioni la scelta della pace». II presidente del Consiglio ha quindi ricordato le iniziative dell'Italia per il disarmo e la distensione. Ma ha anche affermato che il nostro Paese conosce da vicino la tragedia della violenza e il costo sanguinoso della circolazione di armi nel mondo. La conosce attraverso le gravi ferite subite dal terrorismo. Combattendolo, l'Italia sta già lavorando, in una situazione di rischio quotidiano ma anche di unità nazionale, per diminuire i rischi di violenza. Al discorso di Andreotti era presente un folto gruppo di personalità politiche e diplomatiche: oltre al ministro degli Esteri Forlani e gli ambasciatori Vinci (raééresentante all'Onu) e Pansa Cedronio (rappresentante a Washington), c'erano la senatrice Tullia Carettoni, della sinistra indipendente, vicepresidente del Senato; gli on. Giancarlo Pajetta per il pei, Viglianesi per il psi, Carlo Busso, presidente della Commissione Esteri della Camera, per la de, Battaglia, vicesegretario del pri, e Artieri per democrazia nazionale. Furio Colombo

Luoghi citati: Italia, Washington