A Mosca nell'ambasciata Usa scoperto un tunnel per le spie di Livio Zanetti

A Mosca nell'ambasciata Usa scoperto un tunnel per le spie Un clamoroso giallo nei rapporti Usa-Urss A Mosca nell'ambasciata Usa scoperto un tunnel per le spie MOSCA — Ha dimensioni senza precedenti il caso spionistico denunciato ieri dagli americani a Mosca. Nell'edifìcio che da ben ventisei anni ospita la rappresentanza diplomatica di Washington nella capitale sovietica, il personale di sorveglianza ha improvvisamente scoperto una fitta rete di strumenti elettronici di ascolto che correva lungo l'intera ala sinistra, dal tetto alle fondamenta. Lo scandalo, appena esploso, ha già assunto toni da giallo cinematografico. Il canale in cui erano alloggiate le microspie sbocca infatti in un tunnel sotterraneo che conduce oltre il perimetro dell'ambasciata ed è collegato, sembra, attraverso il sistema di fognature, con le basi dì controllo situate in una costruzione adiacente. Come in una sequenza del celebre film II terzo uomo, ambientato nella Vienna dell'immediato dopoguerra, nella notte tra giovedì e venerdì scorsi i marines di guardia hanno inseguito nell'oscurità del tunnel un uo mo, che è però riuscito a fuggire. Non si sa da quanto tempo funzionasse il complesso apparato di spionaggio. Un apparecchio registrava le frequenze di alcune telescriventi, per ricostruire — si presume — i messaggi trasmessi dall'ambasciata negli Stati Uniti e altrove. Un secondo amplificava le voci raccolte attraverso la pesante intercapedine con la quale era stata foderata la rete d'ascolto. Questi strumenti, ed altri ancora non specificati dai responsabili dell'ambasciata, erano tutti miniaturizzati ed allacciati ad una radio ricevente e trasmittente, dotata di tre antenne e di una batteria a transistor. La strumentazione era sistemata in vari punti della canna fumaria dì un camino predisposto fin da quando fu costruito il palazzo, nel 1952, ma mai allestito. Il tunnel sotterraneo sarebbe stato invece scavato successivamente. La notizia ha fatto in un lampo il giro della comunità diplomatica accreditata a Mosca, sollevando clamore. Nessuna reazione, invece, finora, da parte dei sovietici. Resta senza risposta, per il momento, anche la nota di protesta presentata in nome della Casa Bianca dal ministro consigliere Jack Matlock, al ministero degli Esteri. Precedenti, sebbene non altrettanto romanzeschi, ce ne sono più di uno. Nel 1959, ricordano gli americani, l'allora ambasciatore a Mosca ricevette in dono dai sovietici un grande stemma degli Stati Uniti. Un gesto gentile, si disse. Poco dopo, però, qualcuno scoprì che nella testa dell'aquila contornata dalle bandiere a stelle e strisce era stato sistemato un microfono. Cabot Lodge ne mostrò le fotografie alle Nazioni Unite. Cinque anni dopo, i tecnici del genio navale individuarono altri quarantaquattro microfoni sparsi in vari punti dell'ambasciata e ne nacque un'altra dura protesta. Livio Zanetti

Persone citate: Cabot Lodge, Jack Matlock

Luoghi citati: Mosca, Stati Uniti, Usa, Vienna, Washington