Quel terremoto di Papa Giovanni

Quel terremoto di Papa Giovanni Come lo ricordiamo a 15 anni dalla morte Quel terremoto di Papa Giovanni Quale idea noi abbiamo di Giovanni XXIII a quindici anni dalla morte: il tema è da proporre. Non è per assolvere al rito delle commemorazioni a data fissa, anche perchè la scadenza di un quindicennio non è tra quelle consacrate dalle tradizioni in materia; è piuttosto perché i tre lustri trascorsi da quel giorno di giugno del 1963 sono ormai sufficienti per un bilancio del pontificato giovanneo. Non vorrei prenderne in considerazione gli aspetti religiosi, come l'avvìo dato al Concilio, al rinnovamento teologale, alla riforma liturgica e cosi via: quel terremoto nella Chiesa, del quale ancora oggi ci sono riconoscibili i confini, è argomento da dibattere in un differente contesto, non occasionale. In quanto laico, d'altra parte, io non intendo espormi alla consueta accusa rivolta ai laici, e cioè di pretendere di far lezione in materie che non sono di loro pertinenza, o addirittura erigersi ad insegnare a un Papa il suo mestiere. Ma il rapporto fra un Papa e la società civile del suo tempo ritengo sia un soggetto che a un laico è consentito esaminare. Soprattutto in Italia, oso dire. Il nostro rapporto con i papi è sempre stato — a differenza che per altri popoli cattolici — di natura non solo spirituale ma anche terrena, cioè politica in rilevante proporzione. Ne abbiamo derivato un atteggiamento che ci distingue da cattolici più lontani dalla sede di Pietro, cioè una certa disposizione a cercare con i papi un approccio diretto, non tanto per irriverenza quanto piuttosto per familiarità. E' la quotidiana abitudine di tenere in conto fra le varie componenti della nostra vita collettiva, sociale e politica, anche la componente papale, spesso determinante e in ogni modo sempre influente sulle decisioni finali. Fio XI ebbe una grossa parte nella stabilizzazione della dittatura quando concesse al regime fascista il riconoscimento di legittimità lungamente negato ai governi liberali. Pio XII fu tra i protagonisti delle campagne elettorali democristiane in tempi di guerra fredda, e cosi via: l'elencazione di esempi analoghi sarebbe facile, ma allungherebbe e allargherebbe il discorso, al rischio di farne confondere o smarrire il senso essenziale che mi sembra semplice. Ci sono stati esempi in cui la Santa Sede, l'episcopato, il clero figurarono come naturali alleati della reazione con Pio XI, e con Pio XII apparvero protesi alla conquista dello Stato mercè le prestazioni del braccio secolare democristiano. Il sempre delicato problema italiano dei rapporti fra lo Stato e la Chiesa sembrò in certi momenti avviato alla soluzione finale di una clericalizz azione dello Stato. Ci potrà essere una dose di esagerazione in queste analisi; ma quando parlo di una certa idea che ci rimane a riguardo di un Papa nei suoi rapporti con la società civile, indico appunto la schematizzazione di maniera che resta fissa nella memoria: Pio XI che benedice in Mussolini l'uomo della Provvidenza; Pio XII che vendica Porta Pia facendo prendere al papato la rivincita sul Risorgimento. Poi finalmente, come dice il Vangelo (10.1.6) «fuit homo missus a Beo, cui nomea erat Iohannes», ci fu un uomo di nome Giovanni, mandato da Dio. Anche i non credenti debbono concordare sulla nuova missione che, o gli era stata affidata dall'arcano o si era assunta egli stesso da solo, e che nel quadro dei rapporti che mi interessano è possibile cosi sintetizzare: disimpegno politico ed accentuato impegno pastorale. Sembra una cosa da nulla, ma era la scoperta dell'immenso, di quello che Giovanni nel suo «Giornale dell'anima» del 13 agosto 1961 indicava come il compito sublime, santo e divino del Papa: «Predicare il Vangelo, condurre gli uomini alla salute eterna, con la cautela di adoperarsi perché nessun altro affare terreno impedisca o intralci o disturbi questo primo ministero». E' detto cosi chiaro che non c'è bisogno di far seguire commenti esplicativi. Si ebbero naturalmente occasioni di scandalo perché Giovanni dette praticamente via libera alla costituzione di governi di centro sinistra: i socialisti accettati all'onor del mondo cattolico! Pareva di sognare, Giovanni addirittura ebbe uno scambio di corrispondenza con il diavolo Kruscev, e non rifiutò di riceverne in Vaticano la figlia Rada ed il genero Alexis Agiubej. Per quanto riguardava i comunisti di casa nostra ed in genere gli atei, la sua norma era fare distinzione fra il peccato e il peccatore. Pare che Giovanni — si dice adesso — non sia stato un gran teologo, ed egli stesso lo ammetteva. Pare che abbia aperto nella Chiesa una crisi di tali proporzioni che chi sa quanto tempo ci vorrà per rimediare alle sue conseguen- ze: ma questo credo che sia falso perché la crisi preesisteva, ed a Giovanni caso mai va il merito di averla fatta maturare alla luce del sole perché fosse più facile apprestarne la cura. Da un punto di vista laico e italiano mi sembra molto interessante notare che è con Giovanni che definitivamente si esaurisce una delle più tristi componenti della nostra storia, l'anticlericalismo. Era questo il retaggio quasi miracoloso che Giovanni lasciava al suo successore e che in verità Paolo VI non ha disperso nei suoi quindici anni. Tenendoci al discorso dei rapporti difficili tra un Papa e gli italiani, occorre dire che papa Montini si è trovato a fronteggiare situazioni — dal suo punto di vista — estremamente drammatiche. Basti pensare al divorzio e all'aborto, vale a dire a peccati mortali che sono invece ammessi, «depenalizzati», nella nostra legislazione: e noi vediamo Paolo VI battersi fino allo stremo delle sue forze contro tali offese a Dio, come è nel suo dovere di vicario di Cristo, ma non per questo egli attenta in alcun modo alla sovranità dello Stato. Quando un Papa si attiene a questa linea, i suoi rapporti con la società civile — quelli che interessano un laico — rimangono su un piano di correttezza assoluta e le sue condanne — anche se portate al limite della scomunica — sono legittime e previste. In questo senso nessun appunto si può muovere a Paolo VI, un papa che ha vissuto difficilissimi momenti, e anzi corso il rischio di una separazione dalla coscienza civile di un Paese in via di rapida trasformazione, cosi celere che la Chiesa difficilmente può adeguarvisi. Eppure, in un certo grande momento della nostra cronaca nazionale la parola di papa Montini è risuonata come la più alta, nella straordinaria lettera inviata agli uomini delle Brigate rosse, e nella biblica preghiera in San Giovanni a Roma per la morte di Moro. Sono parole che basterebbero a meritargli un posto di gloria cristiana nella storia dei pontificati, sublimi perché al culmine della giustizia e della carità. E' appunto su questo piano che noi tutti, non soltanto i cattolici — guardiamo ai papi e li valutiamo, sia pure con quella familiarità di cui prima dicevo, che non è irriverenza ma consuetudine di rapporto. Così se accade alla signora Moro di definire «singolarissima» l'iniziativa di Paolo VI di andare ad assistere ad una messa funebre nella sua episcopale basilica lateranense, non bisogna pensare a una mancanza di riguardo, ma a quella forma di rassicurante familiarità che gli italiani hanno verso il Papa. Vittorio Gorresìo Giovanni XXIII, morto alle 7 di sera del 3 giugno 1963

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