Ceausescu rompe l'accerchiamento di Frane Barbieri

Ceausescu rompe l'accerchiamento HA FATTO IL GIRO DEL MONDO, NON S'È FERMATO A MOSCA Ceausescu rompe l'accerchiamento Malgrado la congiuntura sfavorevole, è riuscito a trovare all'Est e all'Ovest spazi più ampi per il suo movimento autonomo Washington e Bonn ripristinano i crediti, la Cina offre nuovi mercati - Intanto Bucarest attende tutti i ministri del Comecon DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE BUCAREST — Siamo arrivati nella capitale romena giusto in tempo per assistere a una cerimonia trionfale. Dopo una lunga missione fuori della patria, il presidente Ceausescu è stato accolto con acclamazioni di massa, fanfare, canti patriottici e omaggi delle piii rappresentative personalità del Paese. Nell'aeroporto di Otopeni, tutto ricordava gli antichi ritorni dei vincitori. Questa di Ceausescu è stata una missione di pace, non di guerra, benché per la Romania vincere una pace significa vincere una guerra. «Troppo lontana da Dio e troppo vicina allTJrss», questa la situazione della Romania a cui Ceausescu cerca rimedio con una intensissima attività diplomatica, spaziando nelle zone più svariate e contrastanti del mondo. Alla Casa Bianca Dopo gli incontri con Sadat e Dayan, si era recato a Washington da Carter. Poi, appena ritornato (Burarest è tuttora tappezzata di fotografìe del suo soggiorno nella Casa Bianca), ha intrapreso l'antichissima «via della seta»; Cina, Corea, Vietnam, Laos e Cambogia. All'andata ha fatto scalo a Teheran, incontrando lo Scià Pahlevi, al ritorno si è fermato a Nuova Delhi, incontrando Desai. La scelta della rotta meridionale per raggiungere l'Estremo Oriente non si spiega soltanto con il desiderio di incontrare altri statisti. Si spiega in primo luogo con il desiderio di evitare lo scalo a Mosca. L'incontro con Breznev, infatti, avrebbe stemperato gli effetti che Ceausescu intendeva dare al suo spettacolare viaggio. La tournée del capo romeno è stata seguita dalle più disparate illazioni. Si parlava di una sua mediazione in Medio Oriente, poi dei suoi buoni uffici nel confronto fra Mosca e Pechino, e, infi¬ ne, nello stesso quadro, di un tentativo di pacificare *l conflitto cambogiano-vietnamita. Funzionari autorevoli ci hanno subito smentito simili speculazioni. Non c'è ragione per non credergli. La stessa logica della posizione romena contrasta con ogni velleità mediatoria. In Medio Oriente, fra Egitto e Israele, sono gli Stati Uniti a dover fare da mediatori, essendo ormai la loro posizione determinante da ambedue le parti in causa. Carter, in definitiva, decide oggi per Sadat e per Begin. E Ceausescu, che ha altri interessi verso Washington, non ha ragione alcuna di disturbare Carter in questo suo soliloquio. Quanto a Cina e Urss, anche se potesse servire da ponte, Ceausescu non troverebbe alcuna convenienza nel mettere d'accordo le due potenze comuniste. Più sono lontani e più spazio si trova per il gioco autonomo dei Paesi socialisti minori. Lo stesso vale per Vietnam e Cambogia, essendo il loro conflitto una emanazione di quello cinosovietico. Spogliato dalle combinazioni mediatone, il viaggio del presidente romeno non perde nulla della sua importanza, anzitutto per l'affermazione della peculiare posizione romena. Un anno e mezzo fa durante la visita di Breznev a Bucarest, abbinata significativamente al vertice del Patto di Varsavia, ci trovavamo convinti che l'abbraccio del grande alleato si fosse fatto ferreo. L'Occidente in crisi non accettava più i prodotti romeni e non elargiva crediti necessari per gli ambiziosi programmi già avviati di industrializzazione. Il terremoto, poi, aveva distrutto una buona parte di quanto i romeni erano riusciti a costruire. L'unica via d'uscita sembrava trovarsi a Mosca. Breznev prometteva mercati e crediti a patto che la Romania si adeguasse alle regole della Comunità socialista, come gli altri, rinunciando alle sue velleità autonomistiche. Ora, invece, siamo testimoni di un fatto quasi sconcertante: malgrado la congiuntura più che sfavorevole, Ceausescu è riuscito a sgusciare dall'accerchiamento, e trovare spazi più ampi per il suo movimento autonomo. Carter si è deciso a non applicare la suicida dottrina Zonnenfeld, Schmidt si è spinto a Bucarest, i crediti occidentali sono stati ripristinati. Dopo lunga assenza, Ceausescu ha potuto presentarsi anche a Pechino, sfondando il più sensibile degli sbarramenti postigli da Mosca. La Cina significa nuovi mercati, forse anche crediti, i cinesi inoltre pagano tutto in valute pregiate, ma la ripresa delle cordialità con Pechino e il contatto con un emergente e imprevedibile mondo comunista asiatico, comprendente Paesi tanto svariati e addirittura in conflitto fra loro, mette innanzitutto in luce la presenza romena sulla scena mondiale, esaltando la sua tendenza all'autonomia. Una presenza che blocca in buona misura i disegni di un suo riassorbimento più stretto alla disciplina del blocco sovietico a cui formalmente appartiene. Questo sembra il risultato essenziale degli ultimi spostamenti trans-oceanici e trans-continentali di Ceausescu: da Washington a Pechino, con tanti scali intermedi, importanti per la loro varietà, per proseguire il periplo mondiale fra qualche giorno a Londra. Il vertice dei capi del Patto di Varsavia, progettato per la fine di giugno, chiuderebbe la serie in un modo sfavorevole ai romeni. Si sarebbe avuta l'impressione come se fossero riapprodati nel porto-madre dopo una burrascosa e ambigua navigazione sui mari estranei. Se vedrà Breznev E' questo probabilmente il motivo per cui, secondo indiscrezioni che abbiamo raccolto, Ceausescu non è disposto ad accettare un incontro con Breznev e i compagni del Patto di Varsavia a scadenza così ravvicinata. Il vertice potrebbe di conseguenza slittare per questa ragione ad autunno, secondo le previsioni romene. Nel frattempo sì terrà, proprio qui a Bucarest, la riunione del consiglio dei primi ministri del Comecon. La Romania è il presidente di turno. Per un paradosso, il capo del governo romeno dovrà presiedere proprio il dibattito sugli investimenti transnazionali, proposti da Kossighin. Si tratta della richiesta sovietica, di cui abbiamo informato recentemente, atta a far partecipare gli alleati alle spese strategiche sovietiche e agli investimenti in Siberia («Cìà vuole il petrolio e le materie prime deve investire nella loro estrazione »). Fra tutti gli appartenenti al Comecon è proprio la Romania quella che più si oppone ad un simile impegno considerandolo oltremodo condizionante. I sovietici rispondono congelando certe condizioni e certi accordi promessi tempo fa ai romeni. Sono riscoppiate anche le beghe sulla posizione e appartenenza nazionale di gruppi etnici nelle zone limìtrofe fra Romania e Ungheria e tra Romania e Urss, sintomo da sempre di pressioni da una parte e di mobilitazione difensiva dell'orgoglio nazionale dall'altra. Ad ogni modo si ha l'impressione che i romeni non siano più tanto allarmati di fronte ad una possibile stretta o pressione sovietica, avendo trovato ampi spazi di manovra nel corso dell'ultima spettacolare operazione diplomatica di Ceausescu. Chi si è inoltrato nella decifrazione degli infiniti comunicati congiunti firmati dal capo delle varie capitali ha potuto riscontrare un ritorno alle più esplicite e spinte formulazioni romene sulla sovranità incondizionata degli Stati ed autonomia illimitata dei partiti. Sintomatiche a proposito alcune differenziazioni: i più cauti sono stati i vietnamiti, che hanno accettato soltanto la formula usata anche dai sovietici dell'indipendenza in chiave «anti-imperialistica e anticolonialistica », guardinghi sono apparsi anche i laotiani, non lasciando svolgere al capo romeno tutti i suoi temi autonomistici, i cinesi hanno aggiunto al solito «imperialismo» riguardante gli americani anche «l'egemonismo» riguardante i sovietici; i coreani hanno tenuto a mettere in risalto la loro posizione non allineata; mentre i più azzardati sono risultati, stando ai testi, i cambogiani, con i quali Ceausescu ha potuto affermare tutti i suoi principi di «sovranità nazionale e di integrità territoriale», aggiungendo a quelli dell'imperialismo e dell'egemonismo termini nuovi e finora mai usati, come: «annessionismo, pressione, diktat, ricatto e altre forme di dominazione sugli altri Paesi e popoli». Sono espressioni che i sovietici di solito fanno finta di non capire a che servono e a chi si riferiscono, sapendo appunto di essere i veri destinatari. Dopo un momento di perplessità e di stasi, riscontrate durante la nostra visita precedente, capitiamo a Bucarest in una fase piena di espansione della diplomazia romena. Si tratta ovviamente di un'espansione difensiva. Nel caso romeno non potrebbe essere diversamente. Negli effetti esterni, comunque, la Romania sta riconquistando spazio e respiro. Il quadro interno allo stesso tempo si presenta molto più complesso, con spazi e respiri paradossalmente più ristretti: un tema ancora da svolgere nell'inchiesta che ci ha portati a Bucarest. Frane Barbieri mmm \ % .... Il presidente romeno Ceausescu, prima dell'importante «giro del mondo» diplomatico ss