Un'opera politica che fa storia di Nicola Adelfi

Un'opera politica che fa storia Aldo Moro statista come lo ricorda il suo conterraneo Nicola Adelf i Un'opera politica che fa storia Dopo la lettera scritta al "caro Zaccagnini" la carriera politica del presidente della de rapito si presenta incerta - Nel messaggio il "personale" prevale sul "pubblico" - Ma la sua forza lo fa restare se stesso, anche se dovesse scegliere famiglia e studi Nel momento in cui scrivo, mentre s'ignora se Moro sia vivo o no, una previsione è già possibile: dopo la lettera scritta al «caro Zaccagnini», la sua carriera politica si presenta incerta. In questa lettera il «personale» prevale sul «politico», il «privato» sul «pubblico»: si è dunque in presenza di un atto di abdicazione dal ruolo di capo di partito e di statista? Anche se, come ebbe a dire una volta Fanfani, «la democrazia cristiana è ricca di quaresime, ma anche di resurrezioni», il calvario di Moro, bene che vada, condurrà più probabilmente a una vita familiare, di studi e di meditazioni solitarie. Quali siano le circostanze, quali le violenze fisiche e psichiche che hanno portato Moro a scrivere le sue lettere, sì possono fare solo supposizioni: molte, innumerevoli, ma tutte prive di basi sicure. Dunque non stiamo a perderci nel tentativo di indovinare. Facciamo piuttosto qualche passo indietro, anche per misurare quanto grande sia stata l'inversione di tendenza nel comportamento di Moro appena in un paio di giorni. Torniamo a osservare le due foto di Moro incarcerato. Lì la sua personalità non risulta alterata. Egli appare quello di sempre, l'uomo che conoscemmo nei momenti di disten- storie, per esempio conversando con persone amiche. Lo sguardo è pensieroso, profondo, e agli angoli della bocca le labbra si sollevano all'insù accennando un sorriso melanconico, un po' enigmatico. La condizione eccezionale, sospesa tra la vita e la morte in ogni ora del giorno e nelle mani di gente fanatica, non pare abbia sconvolto i sentimenti e, tanto meno, la mente di Moro. Tenacemente, fortemente, egli rimane se stesso. In breve, tra i carcerieri e Moro, è lui a non perdere la tes*a, a non permettere che le emozioni abbiano il sopravvento sulla ragione. Ma a quale fonte Moro attingeva tanta energia? Teniamo a mente che la fede cristiana e la razionalità critica formano il binario costante nell'esistenza di Moro: e gli servivano di corazza nelle circostanze più disparate, grandi e piccole. Cominciamo dalle piccole. Per esempio, di lui dicono ch'è chiuso, introverso, freddo, incapace di grandi slanci del cuore, negato ai gesti teatrali. Ed è esatto. Moro non è uno che va in giro distribuendo pacche sulle spalle di elettori, carezze ai bambini, sorrisi e promesse a tutti. Egli è soprattutto un uomo i serio, razionale: di conseguenza difende con severità \ la sua sfera privata e non acconsente a calarsi sul piano della demagogia spicciola, delle facili effusioni. Di Moro si dice anche che, rifiutandosi di adeguarsi alle regole più comuni della propaganda politica, egli non ama mettersi in vetrina. E anche questo e vero. Se può farlo, evita volentieri di apparire sugli schermi della tv. Non dà quasi mai interviste. I suoi rapporti con i giornalisti sono molto riservati, al limite della diffidenza. Per esempio, ogni anno a Natale egli mi manda un biglietto di auguri, e se per caso ci incontriamo, non si sottrae a conversazioni di un certo impegno. Però non mi segue più se tento di portare il discorso sul piano dei ricordi personali o paesani, sebbene nati nella stessa regione, in due Provincie contigue. Allora, Moro cambia argomenti, con garbo, ma anche con fermezza. Neppure i suoi rapporti con le centinaia di migliaia di elettori pugliesi che da più di 30 anni lo mandano alla Camera sono improntati a una assidua cordialità. Alla vigilia di elezioni Moro si reca nelle Puglie, tiene un certo numero di comizi, e poi chi si è visto, si è visto. Rari gli accenni alle situazioni locali. Di solito i suoi discorsi vertono su problemi generali, e sempre lo trattiene la ritrosia a degradarsi con retorica e demagogia. Sotto questo aspetto, il rifiuto a mettersi in concorrenza con i politicanti. Moro contraddice l'immagine comune che si ha dei democristiani. Egli non vive di politica alla giornata, ora di qua e ora di là, a seconda di come tira il vento. Viceversa il suo modo di ragionare per analisi e per sintesi lo porta a vivere con lucidità le angosce di fare politica in un Paese difficile come il nostro. Sono problemi e problemi, vecchi e nuovi, alcuni che imputridiscono perché a lungo trascurati, e altri che si inacerbiscono perché risolti male, frettolosamente: e tutti si aggrovigliano tra loro, tutti esigono di essere affrontati subito, con precedenza sugli altri. Intanto, il Paese nel suo insieme continua a crescere, non sta più nei panni vecchi; talora pretende cose al di sopra delle possibilità reali, talaltra è deluso nelle sue giuste aspettative e diventa sempre più esasperato, intollerante. Quindici anni fa, quasi di questi giorni, il 9 marzo 1963, Moro era segretario della de e parlando alla Camera disse: «Un partito che non si rinnova con le cose che cambiano viene prima o poi travolto dagli avvenimenti, viene tagliato fuori dal ritmo veloce delle cose che non ha saputo capire e alle quali non ha saputo corrispondere». La considerazione vale per i partiti come per i governi: o adeguarsi al passo della società oppure sparire. E vale anche per gli uomini politici. Se dunque oggi vediamo Moro al primo posto sulla scena politica, questo avviene perché nessuno come lui ha saputo vedere in anticipo e con uguale ampiezza le trasformazioni che stavano mutando la nostra società, le sue crisi, i cedimenti e le manchevolezze. Naturalmente prevedere con lungimiranza e provvedere, tempestivamente, non sono la stessa cosa. Anche se noi, i cittadini, nelle nostre impazienze, nei nostri sussulti di rivolta e di sdegno, stiamo sempre a domandarci: «Ma il governo che fa?» ; ebbene, sarebbe giusto porci qualche volta anche un'altra domanda: «Ma il governo che può fare?». Sempre dovremmo tenere presente che il governo è soltanto una delle forze che agiscono nella vita di un Paese, e che a ogni suo passo, se c'è democrazia, il governo viene a trovarsi con le mani legate dal Parlamento, dai partiti, dai sindacati, da gruppi economici. E per carità, non parliamo della burocrazia. Sono tutte cose che Moro sa benissimo. Anni fa, accennando in un discorso alle sue ambasce come presidente del Consiglio, Moro disse che, spesso, gli impulsi politici non generano gli effetti desiderati. In altre parole, anche quando il governo riesce ad azionare le leve del comando, dall'altra parte i motori restano per lo più fermi oppure girano con esasperante lentezza. Piano piano, e in ogni momento minacciando di arrestarsi. Contemporaneamente in un Paese moderno e democratico, diventa via via maggiore il numero e l'importanza di quei motori così indolenti E' questo il caso dell'Italia. I motori vecchi funzionano male perché nati nel secolo scorso o anche prima, e perciò appartengono a un altro tipo di società. Quanto ai motori nuovi, poiché sono costretti ad adeguarsi al ritmo tenuto dagli altri motori, i vecchi, essi perdono colpi su colpi e in poco tempo anche loro tendono a guastarsi. E c'è di peggio. Quando ci si ingegna di rammodernare e razionalizzare l'officina statale per renderla idonea alle attese di una società in evoluzione, ecco che subito insorgono accanite resistenze da più parti, improvvisamente, e spesso sono di natura ottusa. Sono difficoltà grandi, esasperanti. Tutte insieme formano quell'indecifrabile guazzabuglio che viene genericamente definito «il caso italiano». Ed è una situazione di cui le Brigate rosse non pare tengano conto nei loro giudizi sommari contro Moro, più o meno come facevano altri, molti altri oppositori, negli anni scorsi. Tuttavia la virulenza di polemiche partigiane e le beffarde condanne a morte non possono costituire validi capi d'accusa. Al pari di qualsiasi uomo politico. Moro merita di essere giudicato attraverso la sua attività politica. Brevemente si può dire che da essa emerge un preciso disegno politico: da una parte l'elevazione economica, sociale e civile del Paese, dall'altra l'allargamento dello spazio democratico. E sono due cose inscindibili. Un albero tanto meglio cresce, si espande e dà frutti, quanto più ampio è il terreno libero che gli sta intorno e quanto più profondamente riesce a gettare le sue radici. Orbene, il centro-sinistra agli inizi degli Anni Sessanta e l'ingresso dei comunisti nell'area della maggioranza governativa sul finire degli Anni Settanta rientrano per l'appunto nella fondamentale prospettiva politica di Moro e fanno ormai parte della storia italiana. Nicola Adelfi i \ Aldo Moro in una fotografia ufficiale di alcuni anni fa con la famiglia in udienza dal Pontefice

Luoghi citati: Italia