Questa femminista non fa più paura di Lidia Ravera

Questa femminista non fa più paura Emancipazione come moda Questa femminista non fa più paura Prima c'erano le mamme e le oche. Le mamme erano grandi, buone, asessuate, dolci come il miele e infaticabili. Chiunque ne aveva almeno una, e non andava certo a vedere se era stupida o intelligente, non essendo il cervello richiesto a chi deve esercitare la pazienza e il sacrificio. Nemmeno alle oche era richiesto il cervello, anzi, se si trovavano per caso a sfoggiare qualche frase ben costruita o qualche giudizio originale, rischiavano, la loro bellezza improvvisamente offuscata dai colpevoli guizzi dell'intelligenza, di vedersi cacciate dal Paradiso degli Amanti, Fidanzate, Etere, o Muse, capolavori ornamentali della civiltà degli uomini, e di ritrovarsi, di colpo, nell'Inferno delle Abbandonate. Lì sarebbero state in buona compagnia insieme alle paria, cioè alle intellettuali e alle zitelle, oche senza bellezza, oche con l'aggravante dell'intelligenza, magari addirittura della cultura, né mamme né troie. Stare all'inferno non è piacevole per nessuno, ed è quindi naturale che le donne si impegnassero a fondo per non essere né intellettuali né zitelle, bensì belle e sposate. Le poche che rifiutavano il percorso tracciato, si sottoponevano a una fatica tale, in una tale sostanziale assenza di gratificazioni, che diventavano veramente brutte e tristi, aggressive, cupe, monotone, travestite da uomini nella sciatteria e nel disprezzo indiscriminato per tutte le altre donne. Gli uomini, che ottenevano gli stessi risultati con la metà della metà della fatica, le guardavano con sufficienza, dicevano: «Ha i bal/i, quella lì ha baffi», oppure: «Legge tanti libri, perché è frigida, o perché è sterile o perché il ragazzo l'ha tradita». E la povera donna intellettuale, isolata e derisa, occultava le sue passioni culturali: se scriveva, come Jane Austen nascondeva il foglio e la penna a ogni scricchiolio della porta, o magari, se preferiva, come Silvia Plath, alle chiacchiere la poesia, si uccideva, finiva in manicomio, impazziva. Gli ottimisti dicono che adesso i tempi sono cambiati. Oggi alle donne è concesso, pubblicamente, di pensare. Il merito, va da sé, è del femminismo, che ha arricciato capelli, scoperto efelidi, svelato ossessioni nascoste e rotto il muro del silenzio. Immediatamente dopo lo scoppio della contraddizione uomo-donna, e per un po', gli uomini non hanno saputo che cosa dire. Se ne stavano lì, piuttosto spaventati, non riuscivano a far rientrare le loro compagne in quella o in quell'altra categoria. Dov'erano le oche, le mamme e le zitelle? Sembrava che tutte fossero diventate «donne coi balli», cioè intellettuali. Eppure non erano brutte, non erano frigide, e magari avevano anche figli... Per gli uomini, abituati alle loro certezze categoriche, è stato un momento di panico totale e le donne ne hanno approfittato per crescere, per sfasciare matrimoni, andarsene di casa, riflettere e capire. Ma ormai le festa è finita. A cinque anni dall'epicentro del terremoto la terra non trema j più, o quasi: gli uomini hanno inventato un'altra categoria, le femministe. Ovvero le impiegate, quelle che si lamentano del i maschio, che polemizzano, che leggono Lacan o Zlena Gianini Bel lotti. che alle vetrine del centro preferiscono la roba usata e Effe ad Annabella, che vanno al teatro per sole donne «La Maddalena» o al cinema a vedere il film di Sofia Scandurra. Esteticamente le dipingono coi riccioli e la faccia scontenta. Dicono: parlano sempre, raccontano storie terribili di stupri e stanno sempre fra loro, e non sentono la mancanza degli uomini, anzi, se ne parlano è solo per deridere il loro modo distratto o egoista di consumare qualche frettoloso atto sessuale. Ormai le hanno tanto descritte e definite così bene che non ne hanno neppure più paura, anzi, la moglie femminista è diventata come la 128 Fiat, una cosa un po' banale, ordinaria, che però viaggia, funziona bene e consuma poco. Di «mogli femministe» ormai è piena la nazione: prendendo il tè discettano di orgasmo, ostentano romanzi di Ivy Compton Burnett, difendono Madame Bovary e spasimano davanti alla versione televisiva della storia di Sibilla Aleramo. Ai figli che vogliono bambole o pistole comprano solo trottole, giocattoli neutrali. E non si sognano di sorridere e tacere, parlano sempre e quando non sanno cosa dire, dicono che non le si lascia mai parlare. Sicuramente non sono queste le femministe vere, quelle che la contraddizione uomo-donna, la vivono sulla loro pelle, soffrendo e pagando di persona, ma gli uomini, purché sia facile da colpire, scelgono volentieri il ber- saglio sbagliato. Grazie alle si-gnore femministe per moda, tor-baffi sulla donna impe¬ nano : gnata e «il maschio» tira il fiato, sollevato. Lidia Ravera

Persone citate: Burnett, Etere, Jane Austen, Lacan, Muse, Sibilla Aleramo, Silvia Plath, Sofia Scandurra, Zlena Gianini

Luoghi citati: La Maddalena