Gli ultimi Ulisse
Gli ultimi Ulisse Gli ultimi Ulisse (c. m.) Fogar non è ancora arrivato a Città del Capo, nessuno sa con esattezza come si sia svolta la tragica avventura, ma già si scatena la polemica: a che cosa serve? Che senso c'è ad affrontare gli oceani con una barchetta, mentre esistono transatlantici e jumbo? Valeva la pena che Mancini morisse per un ideale, che molti dicono illusorio? C'è in queste domande un sospetto di malafede. Già chiedere «a che cosa serve» il gesto di un uomo, che non abbia immediati risvolti tecnici, sociali od economici, significa partire con il piede sbagliato. Penso che nessuno creda che Leopardi abbia scritto «L'infinito» per incas¬ sare diritti d'autore, eppure ■ quei pochi versi hanno con- ! solato e fatto sognare milio ni di uomini. Certamente quando Whymper scalò per primo il Cervino non si proponeva di guadagnare una sterlina: pagava di tasca sua. conquistò j il «più nobile scoglio d'Europa» semplicemente perché voleva vivere un'avventura personale, primordiale ed illimitata. Un grande scalatore inglese si sentì chiedere: «Ma lei, perché si è messo in testa di salire sull'Everest?» e rispose semplicemente: «Perché l'Everest c'è». E cosi Cesare Maestri, dopo aver salito da solo il Cervino che non aveva mai visto in precedenza, avendo- i gli chiesto che cosa avesse j provato una volta giunto \ sulla cima, rispose, dopo > averci meditato a lungo: «Non ho provato niente». | In realtà, anch'egli aveva provato molto, come prova no — inconsciamente — tutti coloro che in questi giorni leggono appassionandosi e discutendone le avventure di Fogar. di Di Majo e degli al- ! i tri oceanici. Perché il destino dell'uomo, offuscato da mille impegni, pur trattenuto alla scrivania, al tavolo da lavoro, alla macchina, da mille lacci, è proprio quello I di correre un'avventura j qualsiasi: l'immersione ma- rina, la scalata verso il cielo, \la traversata di un deserto, la solitudine di una barchetta lunga pochi metri, persino la corsa — in tuta e scarpe di gomma — in un luogo solitario, disagiato. Per fare qualcosa di diverso, per spezzare una catena, per sentirsi più vero. In fondo ad ogni uomo deve restare, anche se soffocato e languente, un brandello di Ulisse: l'Ulisse di Dante, che va verso l'ignoto perché "ueUo es"° meraviglioso ed inesplicabile destino. Non valgono critiche né divieti: ESSÌSJ anni fa, sotto alla micidiale ;parete Nord dell'Eiger. gli svizzeri piazzarono gendarmi per impedirne la scalata: le salite continuarono, il governo capi che doveva lasciar fare. Il giorno che nessuno al mondo potesse vivere un'avventura, l'umanità poesia di vivere. Per questo non si può chiedere «a che cosa serve?» un gesto che a molti appare senza scopo. Serve, eccome: anche a chi lo disprezza. Ricordo ancora un mattii no, allo zoo. Un tipo era ferj mo davanti al recinto del ri\ noceronte: un bestione pos> sente, con due corna, carico di pieghe. L'uomo lo colisi| derò a lungo, beffardo, poi 'snrphhp finita e tnpnta nani I sareooe jiniia e spenta ogm | ! si volse e disse: «Ma a cosa i serve?». Anche il rinoceronte serve, proprio perché è fuori di ogni logica: come Ulisse ed i nav'ratori dell'Oceano, I che im^ce del jumbo usano J la barchetta.
Persone citate: Cesare Maestri, Di Majo, Fogar, Leopardi, Mancini, Whymper
Luoghi citati: Città Del Capo, Europa, Ulisse Di Dante
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