Forse una sola centrale operativa coordina tutti i gruppi terroristi di Silvana Mazzocchi

Forse una sola centrale operativa coordina tutti i gruppi terroristi L'inchiesta per la strage di via Fani è affidata alla Procura generale Forse una sola centrale operativa coordina tutti i gruppi terroristi Conferenza del procuratore De Matteo - Nap, brigatisti rossi e "Prima linea" sarebbero in collegamento fra loro per un medesimo disegno - Il magistrato parla di "ramificazioni su gran parte del territorio nazionale" ROMA — «Lo ammetto, non abbiamo identificato gli autori materiali della strage di via Fani, ma abbiamo elementi per ritenere che essi fanno capo a una centrale operativa ideologico-eversiva che ha ramificazioni anche fuori», il procuratore capo Giovanni De Matteo con ima conferenza stampa — la prima dall'inizio del «caso Moro» — ha annunciato ieri mattina la trasmissione degli atti dell'inchiesta alla procura generale. A determinarne il passaggio è stata «la convinzione che l'istruttoria, nata per la morte dei cinque agenti di scorta e per il rapimento del presidente de, è destinata ad allargarsi oltre il circondario del tribunale di Roma e addirittura fuori dalla corte d'appello». In altre parole, partita come un'inchiesta sulle Brigate rosse, sull'eccidio di via Fani e sul sequestro di Moro, l'indagine nelle mani della magistratura sarebbe approdata alla considerazione più grave, secondo la quale «la colonna romana» delle Br, autrice dell'agguato, è solo una branca di una centrale operativa ben I più vasta il cui vertice non si trova nella capitale. «Voglio precisare — ha detto De Matteo — che quanto affermo non trova riscontri di prova nei fascicoli processuali, ma è solo un mio convincimento: penso che si tratti di una organizzazione con ramificazioni su gran parte del territorio nazionale». E' stato «questo salto di qualità» a provocare il passaggio degli atti dell'inchiesta al procuratore generale Pietro Pascalino che ora dovrà decidere se formalizzarla o se trattenerla nel suo ufficio per compiere, magari con l'aiuto di un sostituto procuratore generale, ulteriori accertamenti. «Ci sono altre ragioni, che determinano la trasmissione del processo — ha spiegato ancora De Matteo — ; dopo l'iniziativa di Craxi, l'ultima lettera di Moro di ieri notte, l'ultimatum delle Brigate rosse non può più essere considerato tale, perciò pensiamo che l'inchiesta sia destinata a dilatarsi nello spazio e nel tempo. Per tutte queste considerazioni si ritiene che la procura generale della corte d'appello, con i poteri più ampi che possiede, sia in grado di affrontare meglio questa delicata sìttiazione». Sul tavolo del procuratore capo c'è tutto il materiale raccolto in questi quarantacinque giorni di indagini: 9 grossi raccoglitori, due buste gialle, una cartella, due pacchi grandi e quattro piccoli contenenti le bobine delle intercettazioni telefoniche eseguite (una decina riguardano solo le conversazioni effettuate nel quotidiano «Il Messaggero» uno dei canali più utilizzati dalle Brigate rosse per i loro messaggi). In serata fascicoli e scatole sono stati trasferiti negli uffici della procura generale. Il «blocco» del processo era accompagnato da una relazione di tre pagine, scritta da De Matteo, in cui sono riassunte le indagini; a partire dalle 9 del mattino del 16 marzo hanno partecipato alle ricerche la polizia, i carabinieri, la guardia di finanza; c'è stato un collegamento continuo con il Viminale, sono state eseguite centinaia di perquisizioni, sequestrate armi e «reperti importanti» nella base romana delle Br di via Gradoli, sono stati interrogati testimoni oculari, effettuati confronti e ricognizioni fotografiche e il risultato — si dice nella relazione — è contenuto nel «dossier». «Ho condotto questa inchiesta per sei settimane, aiutato da più dì un pubblico ministero — ha continuato De Matteo — al Sud abbiamo accertato che alcune basi sono collegate tra loro come in una catena di Sant'Antonio e si presume che a Napoli, Torino, Milano e Genova operino colonne delle Brigate rosse». Il procuratore capo ha insistito sullo spirito di «collegialità» seguito durante l'istruttoria e, citando l'episodio, ha dato la notizia che un suo sostituto ha interrogato, tempo fa, come testimone, il segretario del pei, Enrico Berlinguer, ma non aggiunge su quale argomento. La conferenza stampa di De Matteo ha suscitato scalpore e preoccupazione: il convincimento del procuratore capo che le «Brigate rosse» facciano capo ad «una centra-1 le più vasta con ramificazioni ovunque» ha fatto affacciare la vecchia ipotesi accarezzata già lo scorso anno in procura dell'esistenza di un «piano eversivo» su scala nazionale cd«clfcgnagccppccdprsgbn che porrebbe la magistratura dinanzi al grave reato della «cospirazione politica». Contemporaneamente al colloquio avuto con i giornalisti da De Matteo nel suo ufficio infatti, in procura sono circolate voci precise. «Indagando sulla strage di via Fani, ci siamo trovati dinanzi ad una realtà processuale più grave», ha affermato con una certa «leggerezza» un pubblico ministero, ipotizzando la possibilità di contestare alle persone colpite da ordine di cattura (siano anche fiancheggiatori) il reato previsto dall'articolo 305 del codice penale che punisce la «cospirazione politica mediante associazione». Questa ipotesi, realizzabile solo se la procura generale prendesse l'improbabile decisione di rinviare di nuovo gli atti alla procura della Repubblicaa, preluderebbe ad una inchiesta parallela. Secondo la teoria ventilata nei corridoi di Palazzo di Giustizia le «Brigate rosse,» i «Nap», «Prima linea» ed altre organizzazioni ideologicamente affini, si sarebbero «federate» in un'unico gruppo allo scopo di «cospirare». Una af¬ fermazione tanto grave però richiederebbe l'avallo processuale della prova, una circostanza che nell'istruttoria sul «caso Moro» non è stata raggiunta. Le indagini infatti, come ha confermato lo stesso procuratore capo durante la conferenza stampa di ieri, non sono giunte a raccogliere questi elementi. Silvana Mazzocchi

Luoghi citati: Genova, Milano, Napoli, Roma, Torino