Le lettere: strategia Br e resistenze di Moro di Vittorio Zucconi

Le lettere: strategia Br e resistenze di Moro Gli obiettivi raggiunti e mancati dai terroristi Le lettere: strategia Br e resistenze di Moro ROMA — Il dibattito sulla attribuzione delle lettere di Moro — sottoprodotto del contrasto fra «falchi» e «colombe» — rischia, nel suo relativismo, di perdere di vista due fatti owii e perciò trascurati. 1) Quale che sia la genesi degli scritti — libera, coatta, drogata, negoziata fra chi detta e chi scrive — se essi sono pubblicati, cioè fatti recapitare dalle Brigate rosse, sono certamente rispondenti e funzionali alla strategia e alla tattica dei rapitori. Se Moro ne è l'autore, comunque le Br ne sono gli editori. 2) Il dilemma tra vita e morte che gli scritti propongono non è una scoperta dell'ultima ora, o il prodotto di un messaggio firmato da Moro o dalle Br, ma è l'essenza stessa del ricatto. Nessuno scritto del presidente de rapito ha spostato in alcun modo i termini classici di questo e di ogni altro ricatto, che proprio in quanto «vile», «straziante», «feroce» è efficace. In una vicenda cosi tremenda e soprattutto insolita (non v'è in Italia alcun precedente al quale appellarsi) sembra consigliabile ritornare, ad ogni nuovo sviluppo, agli elementi di fondo che la governano; gli obiettivi cioè che ì rapitori si erano proposti con la loro azione. Ricordiamoli. Il primo, raggiunto, era la dimostrazione delle loro forza ed efficienza. Chi conosce Aldo Moro e le sue abitudini sa che egli era una vittima «facile», più volte visto a passeggiare solo o in compagnia unicamente del caro maresciallo Leonardi. Dunque i brigatisti, scegliendo il momento di maggior protezione dell'uomo politico, hanno voluto dare una lezione di strapotenza a tutti, prima ancora di impossessarsi di Moro. Il secondo obiettivo, espressamente dichiarato nei comunicati e nelle «risoluzioni strategiche» e finora non realizzato, era l'introduzione nel sistema politico di un fattore detonante che facesse esplodere le eventuali contraddizioni esistenti all'interno dei partiti, fra i partiti e l'esecutivo, nei corpi separati e nella intellighentsia del Paese. Infine, terzo obiettivo era trarre, dal confronto fra l'efficacia ed efficienza del «partito armato» e l'impotenza dello Stato, spinta per nuova crescita organizzativa e più profondo appeal politico. Insomma, usare la vicenda Moro come le Br hanno usato tutte le altre loro «imprese», semplice gradino di una scala sempre più alta. Ogni azione come occasione anche preparatoria di un'azione successi- va e pm importante, mai fina- lizzata in sé stessa, dunque sempre con contenuti dimo-strativi. Per chi deve reagire a questo stato di cose si apre apparentemente una «no win situation», una situazione in cui sembra di non poter mai vincere. Se si accetta con fermezza lo scontro dimostrativo, si rischia il paradossale rovesciamento dell'accusa di «ferocia». Se si negozia sul fatto concreto, sul che cosa, si accetta quel meccanismo che l'atto del rapimento ha voluto montare, dunque se ne decreta il successo ideologico-propagandistico e si crea un precedente per i comportamenti futuri. E questo anche se, come qualcuno immagina, i brigatisti decidessero di scontare il «prezzo» e ridurre le loro richieste, magari a progetti come la riforma carceraria, quasi che le Br condividessero visioni «riformiste» e dunque «razionalizzatoci» del sistema democratico borghese. Sappiamo che questo progetto, purtroppo niente affatto delirante a guardare la storia delle Brigate rosse e il loro sviluppo, si è scontrato con il rifiuto in genere dei partiti. Un rifiuto che chi disegna la strategia dei brigatisti non poteva però non avere messo fra le possibilità, e per il quale la contromossa sono le lettere autografe del prigioniero. Nelle intenzioni di chi le ha dettate o ne ha condizionato la compilazione esse dovevano saldare nella de la pietà cristiana e le paure politiche di un intero gruppo dirigente, finalmente scardinandolo. Ma il «cervello Br» è alle prese con un problema: le lettere, pur dolorose, non sono abbastanza violente per agire in questo senso. Viene il sospetto, più di una congettura, che a questa parte del piano abbia fatto ostacolo proprio Aldo Moro. La presenza negli scritti di elementi strazianti accanto a notazioni grottesche, la sconnessione formale e sostanziale che esiste fra le lettere Ini pieno e incontrollato dominio» subito nella prima, e il anessuna coercizione» dell'ultima) e all'interno delle stesse fanno pensare al prodotto di un sottile, estenuante gioco di resistenze e pressioni fra chi detta e chi scrive. Messaggi che avrebbero dovuto, nelle «solenni» promesse delle Br, lasciare alla fine distrutto il partito al governo ci dispensano, finora, pettegolezzi da giornale di boulevard («non avevo un ufficio adeguato») e polemiche banali con esponenti minori della de, rievocazioni sbagliate di fatti di cronaca (lo Zaccagnini che «strappa» Moro agli studi per farlo presidente), disposizioni organizzative tanto autoritarie quanto assurde: «Stabilisco di convocare il Consiglio nazionale, e così stabilendo...». Le lettere non dicono nulla, se non l'angoscia di un uomo sulla quale non servivano certo resoconti. Contro la de Moro scaglia vignette satiriche, non rivelazioni squassanti. Minaccia, ma non colpisce, come se dovesse tener buoni i carcerieri, evitando insieme dichiarazioni davvero compromettenti. E' l'ipotesi, che alla de si mormora, che Moro in qualche modo riesca a gestire una piccola parte della tragedia che lo ha colpito, forte del fatto che le Br dipendono dalla sua mano per reggere il ricatto morale, ormai supporto indispensabile di quello politico. Ma per uscire dal terrorismo ed entrare nella guerriglia i brigatisti avrebbero bisogno di un successo politico e le lettere di Moro glielo negano, pur tenendo viva la tragedia. L'ultima risorsa, l'ultimo inganno di chi detiene Moro è allora nella speranza di prendere tempo, di lasciarsi dilaniare sull'«è sua», «non è sua», affannati intorno ad interpretazioni tutte soggettive, e a proposte di cui nessuno conosce la sincerità o il fine nascosto. Insomma sperare che siano il mondo politico e i suoi interpreti a togliere i brigatisti dalle loro secche. Magari solo per il gusto di essere, come disse Liebknecht della cultura suicida di Weimar, «sempre più brillanti e polemici che intelligenti». Vittorio Zucconi

Persone citate: Aldo Moro, Leonardi, Liebknecht, Moro, Zaccagnini

Luoghi citati: Italia, Roma, Weimar